Visioni Saverio Costanzo vince l’Efebo d’oro a Palermo con la serie “In Treatment” mentre sta per uscire nelle sale il suo ultimo film: “Hungry Hearts”. L’intervista
“Aspetto con molta curiosità l’uscita del mio ultimo film “Hungry Hearts” prevista per il 15 gennaio cui seguirà l’avvio della nuova serie di “In treatment” su Sky Atlantic”. Così Saverio Costanzo (39 anni) che il 5 dicembre prossimo riceverà a Palermo l’Efebo d’oro per la regia televisiva, proprio per aver introdotto un forte linguaggio cinematografico nella prima serie italiana di “In treatment”, il serial isareliano basato sulla psicoanalisi, protagonista assoluto Sergio Castellitto. Nel cast anche Kasia Smutniak, Adriano Giannini, Barbora Bobulova, Licia Maglietta, Valeria Golino. “Sono molto felice di questo Premio prestigioso perché riconosce un fatto importante e cioè che “In treatment” è una scuola di drammaturgia nelle cui sceneggiature c’è lo stesso movimento della narrazione classica: prologo, primo atto e secondo atto. E l’azione della parola conta enormemente”.
Ma tornando al cinema, Costanzo sottolinea che “la regia di un film risponde ad una necessità. Attualmente sto lavorando a diverse cose però ancora non c’è niente di definito. Aspetto l’uscita di “Hungry Hearts”, anche se è andato a Venezia, ed è stato già venduto in diversi Paesi, quindi per me è già metabolizzato. Ma sono certo anche che si tratta di un film emozionante e so di averlo fatto pensando non solamente a me stesso ma molto al pubblico. Ed è il bello del cinema perché quando un film va nelle mani dello spettatore apre altre opzioni rispetto a chi lo ha fatto”.
E “In Treatment”?
“È stato di grandissimo aiuto per quello che ho fatto successivamente: uno stimolante viaggio nel mondo interiore ed esteriore dell’individuo, ma la forza del mezzo televisivo consiste nel fatto che gli spettatori hanno l’idea di essere andati in questa situazione piuttosto che in un’altra. Esattamente come nella grande letteratura. Pensiamo alle prime dieci pagine della Recherche, danno l’impressione di potere raccontare un risveglio che agisce a priori nella propria interiorità permettendole di vedere che cosa è viaggiare dentro e fuori di sé. Poi la Tv non è Proust, è televisione e come tale rimane “volgare”, è alta, ma è show, ed il suo bello è il colpo di scena, cui si lega l’attenzione dello spettatore”.
E avere un protagonista come Sergio Castellitto?
“Lui è grandissimo come attore e come uomo, è uno che sa leggere la vita e la fa diventare rappresentazione. Si dice sempre che nessuno è insostituibile. Nel suo caso non è vero. È riuscito a fare meglio di Gabriel Byrne, il protagonista americano”.
Perché dopo la regia de “La solitudine dei numeri primi” ha accettato di passare dal cinema alla televisione?
“Perché mi è stato detto che non dovevo inventare niente, così mi sono messo nei panni del pittore di icone, che nel farle, nel ricopiare le immagini d’arte, annulla sé stesso. Ora con ciò non voglio dire di avere raggiunto la felicità e l’estasi come il pittore di icone dà a vedere, ma mi ha permesso di coniugare brani di cinema in tv”.
E la sfida continua.
“Sì perché la televisione è industriale, e l’idea di riuscire a fare 35 episodi in un giorno e mezzo ciascuno è stata una sfida incredibile: lavorare perché ogni attore fosse se stesso e trasmetta questa dimensione al pubblico”.
La seconda serie è già pronta?
“Sì e con un cast – se possibile – più impegnativo. Con Licia Maglietta che rimane la terapeuta di Giovanni (Castellitto), restano la Bobulova e Giannini che portano il figlio dallo psicanalista, e si aggiungono Maya Sansa, Michele Placido, Greta Scarano, Alba Rohrwacher, Isabella Ferrari e in un piccolo brano torna Valeria Golino. Ma “In Treatment” è il cast. Volevo vedere grandi attori che si confrontano e che accettano la sfida di lunghi ciak in cui la memoria deve essere forte, e a un attore può capitare di perdersi. La sua bravura è messa continuamente alla prova”.