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Sambuca di Sicilia, la resilienza a passo slow

Itinerari Nel borgo agrigentino, "il più bello d'Italia" nel 2016, la gentilezza - anche nei confronti del territorio - è una qualità di cui non si può fare a meno. Nonostante le difficoltà del momento economico e la posizione geografica, che certo non li favorisce, i sambucesi tentano una rivoluzione sociale riappropriandosi dei modi e dei tempi del passato ma guardando al futuro

A volte si muovono in gruppo sulle verdi sponde del lago Arancio, altre, levano la testa dalla sommità dei tralicci dova hanno nidificato, per poi librarsi in volo ad ali spiegate. Sembra l’immagine rubata da un libro di favole, ed invece le cicogne bianche sono parte integrante del paesaggio di Sambuca di Sicilia, in provincia di Agrigento, la “porta” delle Terre Sicane nella parte sud-occidentale della Sicilia che racchiude i comuni di Contessa Entellina, Menfi, Montevago, Santa Margherita di Belìce e Sciacca. L’arpa che si staglia all’ingresso dell’antica Al Zabut, se da una parte simboleggia l’impianto del centro storico del paese, dall’altra ricorda al visitatore di bandire la fretta per recuperare la bellezza anche di un semplice saluto. La gentilezza è la rivoluzione che non fa rumore. Se chiedi ad un sambucese un’indicazione, non soltanto si farà in quattro per dartela, ma ti accompagnerà di persona. Perchè qui il visitatore è ancora un ospite di riguardo. Anche in agricoltura, i sambucesi hanno deciso di non calcare troppo la mano, coltivando il 50 per cento del territorio in bio. Proprio per questo, Sambuca di Sicilia è stata scelta per ospitare la sede regionale delle “Città del Bio”, l’associazione nazionale a cui aderiscono i comuni che condividono la scelta di promuovere l’agricoltura biologica.

Sambuca di Sicilia, Lago Arancio

Sambuca di Sicilia, Lago Arancio

«Sono stati lungimiranti, perchè hanno capito che soltanto rispettando la natura si può preservare la bellezza dei luoghi e dei paesaggi da tramandare alle generazioni future». E’ una donna decisa Antonella Murgia, presidente del Bio- distretto dei Borghi Sicani a cui aderiscono 45 aziende agricole biologiche dell’area compresa tra i comuni di Contessa Entellina, Giuliana, Caltabellotta, Burgio e Santa Margherita del Belice. Un work in progress che ha festeggiato lo scorso 6 aprile la prima candelina con la nascita di Iterbio delle Terre Sicane, un progetto che coinvolge anche operatori della ristorazione e dell’accoglienza. Un circuito virtuoso. «Perchè siamo convinti – spiega la presidente- che fare sistema sia importante per la crescita economica del territorio». Un percorso in salita, affatto scontato, che lega gli attori della filiera biologica alle nuove frontiere della green economy, per attrarre con una strategia di marketing territoriale il turista . Anzi, «il viaggiatore- sottolinea Antonella Murgia- perchè noi più che un tour frettoloso, mordi e fuggi, intendiamo fargli vivere delle emozioni».
Da maggio il progetto Iterbio sarà on line, con una piattaforma web ed un’ app per poter acquistare i prodotti bio delle aziende del territorio sicano. Ma è soltano il primo step per valorizzare tout court le peculiarità storico- culturali e naturalistiche di un territorio . «Il progetto ha conquistato anche i tour operator- spiega Giuseppe Oddo, direttore del Bio distretto dei Borghi Sicani e assessore comunale alle politiche agricole- perchè rappresenta una bella idea la vacanza all’insegna del mangiare e vivere sano. Ci si potrà spostare da un’azienda agricola biologica all’altra dove poter comprare direttamente il prodotto: dagli ortaggi alla frutta, al latte al’olio». L’agro-turista 2.0 non rinuncia ai piaceri della cucina gourmet. «Nei ristoranti associati– continua Oddo- i menù Iterbio saranno identificati dalla tracciabilità di filiera delle materie prime utilizzate per la preparazione dei piatti. E sarà anche possibile prenotare b&b e agriturismi immersi nel loro contesto ambientale, ad impatto zero»

Uno scorcio di Sambuca di Sicilia

Uno scorcio di Sambuca di Sicilia

Baldo Lo Giudice con il suo ristorante “Pane & radici”, aperto lo scorso dicembre, non ha avuto dubbi a partecipare al progetto. «Credo sia giusto che il cliente possa scegliere un menù sano, che sappia la provenienza di ciò che mangia e che soprattutto si possa dare una mano a chi lavora e produce nel territorio». Baldo, 45 anni, è stato sul punto di emigrare quando la crisi nell’edilizia ha colpito anche la sua attività di imprenditore edile. Poi ha scelto di “coccolare” il cliente con una cucina preparata al momento, recuperando dalla memoria olfattiva, i piatti di nonna Maria: le sue polpette di pane, lo sformato di melenzane, i carciofi “ammutunati” senza salsa e la tradizione tipica sambucese come le busiate con il sugo di lumache o il gambero rosso fresco di Mazara del Vallo con pistacchio di Bronte. «Sarei potuto andare fuori, a Lecco da mio fratello Salvo – dice Baldo- ma alla fine abbiamo preferito restare qui. Ci stiamo provando».

Uno dei piatti di Pane&Radici di Baldo Lo Giudice

Uno dei piatti di Pane&Radici di Baldo Lo Giudice

Il progetto Iterbio schiude prospettive nuove per Sambuca di Sicilia: l’eccellenza è la chiave di volta per un’offerta turistica unica nel suo genere che fa la differenza. «Di niccchia sì, ma di qualità, che si rivolge ad un turista disposto a spendere, anche bene, per una vacanza che sappia coniugare relax e benessere all’insegna della salubrità. Dal territorio all’aria, fino ai prodotti agricoli- dice Gunther Di Giovanna, presidente della Strada del Vino Terre Sicane, la cui famiglia produce vino biologico da vent’anni- è arrivato il momento affinché gli agricoltori, supportati dalle iniziative di carattere politico, possano imprimere una svolta più decisa e coltivare il 100 per cento del territorio in modo biologico».

 Gunther Di Giovanna, presidente della Strada del Vino Terre Sicane

Gunther Di Giovanna, presidente della Strada del Vino Terre Sicane

Al primo posto nella top ten dei Borghi più belli d’Italia nel 2016, Sambuca di Sicilia ha avuto negli ultimi due anni un boom di presenze, registrando circa 70 mila visitatori annui, attratti dalla malia di un luogo che conserva intatte le suggestioni da mille ed una notte, tra i vicoli del quartiere arabo, che rivive in estate con le feste saracene, alle chiese, preziosi scrigni d’arte tutte da scoprire.

Chiesa del Purgatorio, polo sambucese del Mudia

Chiesa del Purgatorio, polo sambucese del Mudia

Come l’ex Chiesa di san Calogero che ospita la Pinacoteca del maestro Gianbecchina, l’artista noto in tutto il mondo per le sue opere dedicate al mondo agreste, ed ancora la Chiesa del Purgatorio che da qualche mese ospita uno dei poli del MuDia, il Museo d’Arte Sacra diffuso di Agrigento. Qui, fino al 27 maggio, si può ammirare uno dei capolavori di Tiziano, il “Ritratto di Paolo III Farnese”, donazione “temporanea” del comune di Troina, con cui il comune sambucese ha creato una sinergia rivolta alla valorizzazione dell’arte. «Sambuca di Sicilia- spiega Giuseppe Cacioppo, assessore al turismo ed alla cultura- ha fatto della bellezza la cifra del suo percorso identitario. Ma le sorprese non mancano, e a fine maggio riaprirà la Chiesa Madre, dopo 50 anni dal terremoto».

Il quadro di Tiziano esposto al Mudia

Il quadro di Tiziano esposto al Mudia

Con un biglietto di appena tre euro è possibile fare un tour museale tra memorie rare e preziose, che comprende anche la visita a Palazzo Panitteri, sede del museo etnoantropologico che conserva le vestigia puniche rinvenute nell’area archeologica del Monte Adranone, il più alto insediamento punico del Mediterraneo.

Palazzo Panitteri

Palazzo Panitteri

Ma Palazzo Panitteri è anche sede delle Strade del Vino delle Terre Sicane e del Bio-distretto, come a voler suggellare il connubio tra cultura ed enogastronomia. Visitare Sambuca di Sicilia significa andare a spasso nell’arte, quella di ieri con la visita al piccolo teatro “L’Idea”, un gioiello dell’800 ancora attivo, e quella di oggi, con le grandi opere tessili realizzate in corda dall’artista francese Sylvie Cleval.

Il teatro L'Idea di Sambuca di Sicilia

Il teatro L’Idea di Sambuca di Sicilia

In questi giorni fervono i preparativi per una delle feste più importanti di sambuca, quella dedicata alla Madonna dell’Udienza che si tiene ogni terza domenica di maggio, e per la quale quest’anno verrà riproposta la drammatizzazione della peste a cui partecipano oltre duecento figuranti. Una calma solo apparente pervade Sambuca, che negli ultimi quattro mesi dello scorso anno ha conquistato il primato, tra i comuni dell’agrigentino, per la gestione dei rifiuti con circa il 76,61 per cento nella raccolta differenziata. Un appeal di sicuro impatto turistico, a cui si lega anche l’iniziativa dell’amministrazione comunale della vendita di 17 immobili nel centro storico ad 1 euro, con l’obiettivo di recuperare il patrimonio urbanistico e di creare un argine allo spopolamento dei centri storici. «Da quando abbiamo diffuso la notizia il centralino non ha smesso di squillare- dice Leo Ciaccio, sindaco di Sambuca- sono in molti che dalla Lituania e dalla Svezia vogliono venire ad abitare qui».
Il problema di Sambuca di Sicilia, come per gli altri comuni siciliani, è la mancanza di fondi che garantiscano la manutenzione ordinaria delle infrastrutture. «Un problema che- continua il primo cittadino- se trascurato nell’ordinarietà, assume poi un carattere straordinario di difficile risoluzione, che rischia di vanificare gli sforzi di attrarre turisti nelle nostre zone».

Il sindaco Leo Ciaccio e Dan Decker

Il sindaco Leo Ciaccio e Dan Decker

Tra gli interessati potrebbe esserci Dan Decker, 67 anni, che spinto dalle ragioni del cuore, tre mesi fa ha lasciato Chicago per ripercorrere a ritroso quel viaggio che fece la nonna nei primi del ‘900, Vincenza Sacco, che da Sambuca si trasferì in America in cerca di fortuna. Appassionato di Shakespeare, gli piacerebbe comprare casa a Sambuca e dare lezioni di inglese e di teatro. «Lo farei gratis- sottolinea Dan nel suo italiano stentato e con qualche curiosa incursione dialettale– sono felice di aver trovato le mie radici e soprattutto lo stesso sapore di quei piatti che mi preparava mia nonna».

Ma c’è anche chi dieci anni fa, in controtendenza, si è trasferito qui, attratto dalla quiete di questo piccolo paese. «Dopo aver vissuto per 12 anni con mio marito (Filippo Landi, giornalista di Rai 3, nda) tra il Cairo e Gerusalemme, decidemmo dopo una vacanza in questi luoghi, di acquistare una casa. I nostri amici ci presero per matti». Ci racconta la sua storia Paola Caridi, giornalista, scrittrice, esperta dei sistemi politici del Medio Oriente, che da quattro anni a Sambuca di Sicilia anima un circolo di lettori con l’intento di condividere, al tempo di internet, il gusto della lettura. Dai 40 ai 75 anni, sono circa una cinquantina i partecipanti, provenienti anche dai paesi vicini, che si danno appuntamento per riflettere, discutere su argomenti di attualità con protagonisti del mondo dell’editoria e del giornalismo. In un ambiente caldo e accogliente, sotto le volte di pietra di un’area di Palazzo Beccadelli, il circolo organizza ogni due domeniche del mese “Torte, thè e chiacchiere a tinchitè”. Guidato da Valeria Maggio, avvocato penalista 40enne che fa la spola tra Palermo e la cittadina sambucese, il circolo dei lettori è un presidio civile di legalità. Il lenzuolo giallo di Amnesty International issato sul balcone con la richiesta di giustizia per la morte del giovane ricercatore italiano Giulio Regeni, è la testimonianza di solidarietà della gente di Sambuca.

Il circolo dei lettori di Sambuca di Sicilia

Il circolo dei lettori di Sambuca di Sicilia

Uno sguardo sul mondo solo apparentemente lontano. A passo lento, e non può essere vista la salita che ripida si inerpica su per il paese sovrastato dal palazzo municipale, si può godere appieno dell’atmosfera rilassata che si respira lungo corso Umberto I, dove si susseguono gli antichi palazzi nobiliari di pietra arenaria. Le strade pulite e i balconi fioriti restituiscono il senso di quella lentezza che non è sinonimo di mollezza, ma di costante operosità. Lo sa bene Filippo Cipolla, 50 anni, che nella sua pasticceria il “Caffè Beccadelli”, che gestisce insieme alla moglie Angela, prepara le famose “Minni di Virgini”.
«Dopo aver preparato la pasta frolla- spiega Filippo- bisogna aspettare ben 12 ore prima di lavorarla. Ogni giorno ne preparo dalle 40 al 50, con punte di 250 la domenica ed anche di più nei giorni di festa, perché le persone arrivano anche da fuori per venirle a comprare». Sambuca è senza fretta. Il “Caffè Beccadelli” sorge in un ex magazzino ristrutturato del palazzo dell’omonima nobile famiglia che diede l’input alla creazioni di quelle che il Principe di Salina definisce nel Gattopardo “impudiche paste delle vergini” per la loro forma magnifica di seno di donna, con il capezzolo ben pronunciato. Il dolce di pasta frolla con zuccata aromatizzata al limone, cannella e una punta di cioccolato fondente, ripieno di quel famoso bianco mangiare, nasce dalla creatività di suor Virginia Casale di Rocca Menna nel 1725, in occasione del matrimonio del primogenito Don Pietro Beccadelli con Donna Marianna Gravina. Leggenda o realtà, chi può dirlo? La verità è che le “minni di virgini”, buone al palato e suadenti alla vista, vanno a ruba.

Filippo e Angela Cipolla

Filippo e Angela Cipolla

Incastonata tra i Monti Sicani, a cavallo tra la provincia di Palemo e quella di Agrigento, nello splendido scenario naturalistico della Riserva Naturale Monte Genuardo – Santa Maria del Bosco, Sambuca di Sicilia, con i suoi seimila abitanti è un borgo che come tutti i piccoli centri dell’entroterra si va svuotando. Resilienza, la parola d’ordine che accomuna le storie di uomini e donne che con intelligenza e cuore, hanno deciso di rimanere qui a lavorare la terra. E il progetto Iterbio sembra essere un’opportunità di speranza per i tanti giovani che pensano di andare via.

La famiglia Lamanno dell'Antico Frantoio

La famiglia Lamanno dell’Antico Frantoio

«Sono cresciuta a pane e formaggio e ne vado fiera, perché la mia famiglia ha un’azienda zootecnica a Nurri, in provincia di Cagliari, dove sono nata, e la terra fa parte del mio dna». Antonella Murgia è l’amministratrice dell’Antico Frantoio azienda che ha creato nel 2010 insieme al marito, Salvatore Lamanno. Prima di dedicarsi alla produzione di olio, Antonella per 12 anni ha lavorato in una gioielleria. Poi l’amore l’ha riportata alla sua antica passione. «Volevo aiutare Salvatore a realizzare il suo sogno, che era quello di continuare l’attività agricola nei terreni che appartenevano alla sua famiglia». Con quel coraggio che solo l’amore sa dare, Antonella si butta a capofitto nella sua nuova attività di impreditrice agricola. «Giuro, non ho rimpianti» dice con la serenità di chi guardando indietro, sa di aver fatto la scelta giusta. Nel 2000 costruiscono il frantoio. Gli uliveti di famiglia coltivati senza l’uso di concimi chimici e antiparassitari sfruttano un blend naturale ottenuto dalle cultivar Biancollila e Nocellara del Belice, e i riconoscimenti non tardano ad arrivare. Sono presenti nella “Guida agli extravergini 2012” di Slow Food e nel “Golosario”. Nel 2009, un altro passo in avanti: acquistano 18 ettari di vigneto e costruiscono quella che Salvatore definisce «una cantina su misura». Ottocento metri quadri dove con l’enologo Vito Giovinco producono ventimila bottiglie con le tipologie di vitigni Nero D’ Avola, Merlot, Cabernet Sauvignon, Sangiovese, Nerello Mascalese (per i rossi), e Moscato, Catarratto, Chardonnay e Viognier (per i bianchi). Un passo alla volta, lo sguardo di Salvatore e Antonella punta all’export, grazie anche all’aiuto dei figli Nicola, 27 anni e una laurea in economia gestionale, e Sofia, 22 anni, studentessa di mediazione linguistica, che li seguono in azienda fin da piccoli. «Mi auguro- dice Salvatore- che i miei figli possano continuare ciò che abbiamo iniziato noi, spero di vederli realizzati qui, senza essere costretti ad andare via».

Lo staff di Casa Montalbano

Lo staff di Casa Montalbano

Per Alessandro, Laura e Sergio Montalbano, tre laureati di 41, 37 e 35 anni, le opzioni erano due: o restare e continuare l’attività del papà Salvatore che commercializzava vini e conserve, o emigrare. Hanno deciso di rischiare aprendo “Casa Montalbano l’azienda che si occupa di trasformazione, conservazione e commercializzazione di prodotti rigorosamente all’insegna della freschezza, della qualità e del rispetto delle stagioni. Nell’area di circa millemetriquadri sulle rive del lago Arancio, nascono i loro patè, zuppe, marmellate, sughi con i profumi ed i sapori della Sicilia più autentica, pronti per essere utilizzati. Senza conservanti né additivi chimici. Dalla sala di ricezione delle materie prime fino alla cucina, qui si respira fermento ed orgoglio. Di chi, a fatica, un passo dopo l’altro, sta conquistando fiducia e credibilità.

«All’inizio -dice Laura, con una laurea in economia gestionale in tasca – non è stato facile. Un investimento economico importante, la difficoltà di reperire il credito, di farci conoscere sul mercato. Ma adesso le soddisfazioni non mancano, tanto che stiamo pensando di ampliare gli impianti». Per questa piccola ma compatta squadra, in cui lavorano 19 persone su due turni, la sfida è doppia: da una parte soddisfare le richieste del mercato mantenendo alti gli indici di qualità, dall’altra la consapevolezza di lavorare in una terra, come sottolinea Sergio «fuori dal mondo. Molto spesso quando si rompe qualcosa, sono costretto al fai da te, piuttosto che aspettare che arrivi da fuori».
Dalla salsa di pomodoro siccagno, preparata secondo la ricetta di mamma Maria, a quella con sarde e finocchietto, ai patè di olive con olio evo, alle confetture di fichi bianchi, i prodotti di Casa Montalbano voleranno in Francia, nella grande distribuzione. Sessantamila le richieste quest’anno, e altre 100mila per il prossimo anno. «Il nostro nuovo marchio sarà curato dalla più grossa compagnia di marketing francese- dice Sergio soddisfatto- la stessa che si occupa di Cartier e di Hogan». Dalla terrazza del loro ufficio si vedono le cicogne volare. E forse è da loro che i fratelli Montalbano hanno imparato a far prendere il volo ai loro sogni.

La Masseria Ruvettu della famiglia Mangiaracina

La Masseria Ruvettu della famiglia Mangiaracina

Ma non sono gli unici di questo territorio. Con Melchiorre e Anna, la famiglia Mangiaracina della Masseria Ruvettu, è già alla quarta generazione. L’antico casale di pietra con l’adiacente baglio, risalente ai primi del’900 e da cui si gode di un panorama mozzafiato, è un’azienda agricola circondata da 30 ettari di vigneti ed uliveti, dove si allevano anche ovini e si coltivano cereali. «Non abbiamo nessuna intenzione di mollare- spiega decisa, Anna, 41 anni- anzi, con noi lavorano anche i miei nipoti. Perchè questo non è soltanto un luogo di memorie familiari, ma un posto da far conoscere, soprattutto ai bambini. Perchè devono tornare a sporcarsi le mani con la terra, a vedere come vivono gli animali, ad innamorarsi della natura».
Dall’orto alla tavola, qui la cucina è tipica siciliana: schietta e sincera. «Adesso va di moda- spiega Anna– ma per noi è tradizione, da sempre, far sentire il cliente come a casa, con piatti che da noi si tramandano da generazioni». Il cosciotto di maialino in crosta di pane o le melenzane alla tabacchiera, che affondano le origini alla tradizione dei pastori di portarsi dietro il cibo quando andavano su per i pascoli, sono piatti che riannodano i fili del tempo. «Abbiamo il dovere- dice Anna con un filo di emozione nella voce-di portare avanti le nostre radici».
A questo punto tornano in mente i versi dell’elogio della lentezza di Lamberto Maffei, scolpiti nella lumaca di bronzo che si incontra lungo corso Umberto I, qui a Sambuca di Sicilia. “In un mondo che corre vorticosamente con logiche spesso incomprensibili, la lentezza si affaccia alla mente con prepotenza, come una meta del pensiero”.

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