Recensioni La piéce snella e sintetica, diretta da Laura Sicignano che ha aperto la nuova stagione dello Stabile, nulla ha tralasciato del senso originario dell’immortale opera di Sofocle
Attualizzare i classici non è mai una buona prassi perché, se c’è un aspetto della cultura antica che la rende affascinante, è proprio la sua estrema diversità rispetto a quella in cui viviamo.
E non si è proprio lasciata tentare da questa fuorviante tentazione Laura Sicignano, direttore artistico del Teatro Stabile di Catania che, insieme a Alessandra Iannucci, ha firmato un’ottima regia di “Antigone” spettacolo d’esordio della Stagione 2019/20 che ha debuttato lo scorso 15 ottobre e replicherà fino al 27 ottobre.
Innanzitutto dando luogo a una piéce sì snella e sintetica, che nulla però ha tralasciato del senso originario dell’immortale opera di Sofocle: l’insanabile conflitto tra legge degli Dei e legge umana, tra diritto naturale e diritto positivo.
Così su uno scenario cupo, caratterizzato da alberi grigi e inquietanti, si è mossa la vicenda della giovane ribelle e sognatrice Antigone, cui Barbara Moselli ha dato voce e volto adeguati, con una recitazione sempre controllata e mai sopra le righe, anche nei momenti più drammatici, restituendo così al personaggio, nata per condividere non l’odio ma l’amore, tutta la fierezza che le si addiceva; Lucia Cammalleri è stata una brava Ismene, quella “sorella mia”, puro legame di sangue, che costituisce l’incipit secco della tragedia sofoclea. Un plauso anche a Egle Doria che, nel ruolo di Euridice, moglie del re Creonte, ha offerto per quasi tutta l’opera una recitazione straordinariamente efficace affidata solo alla mimica, fino a diventare mater dolorosa nel bel finale, urlando il suo dolore in un disperato e commovente tentativo di allattare il figlio ormai cadavere.
Sebastiano Lo Monaco ha incarnato un Creonte umano, con una voce a tratti rotta, che ha commosso e inquietato, e una gestualità molto efficace, per ricordare al pubblico che in fondo Antigone è una tragedia senza eroi ed eroine; Luca Iacono ha donato un Emone tenero e delicato, mai patetico. Silvio Laviano, nel doppio ruolo di primo soldato e del messaggero, ha saputo trasmettere pura emozione prima con l’intensa recitazione del celebre coro che esalta l’ingegno umano, poi col sofferto racconto del suicidio di Antigone ed Emone, reso con evidenza quasi visiva attraverso un sapiente uso della voce e delle pause. Franco Mirabella è stato uno straordinario Tiresia, portando sulla scena un personaggio allucinato con un’entrata ad effetto di grande presa sugli spettatori, mentre Simone Luglio ha saputo garantire al personaggio della guardia reticente tutta la leggerezza sofoclea.
Bellissima anche la soluzione scenica finale di Guido Fiorato: gli alberi che crollano diventano il simbolo di un mondo senza Legge che piange i suoi imperfetti e fragili figli, un dulcis in fundo che ha coronato degnamente l’intero spettacolo, allietato dalle deliziose musiche dal vivo con strumenti a fiato etnici di Edmondo Romano.
In perfetta sintonia con l’intento di Laura Sicignano di puntare sul teatro politico e sociale, la prima dello Stabile catanese non è stata altro, dunque, che un grande discorso sulla democrazia dialettica e discorsiva, dove lo scontro ideologico e dialogico tra Antigone e Creonte si è davvero fatto carne e anima.
Risultato? Una grande lezione sull’eterno scontro tra res publica e res privata. E Antigone è rimasta lì, non si è fatta banale cronaca, ma voce eterna che ci parla da secoli lontani, ricordandoci, come l’indimenticabile coro del primo stasimo, che “molte sono le cose mirabili e tremende sulla Terra, ma nessuna più mirabile e tremenda dell’uomo”.
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