Blog Passeggiando lungo l’elegante sala de “Le musée d’histoire de la medicine” a Parigi, salta subito all'occhio che la strumentazione medicale e chirurgica esposta, appare come vera e propria ferraglia di tortura, vista con gli occhi di oggi. Tra gli strumenti esposti però quello principe e non a caso è il bisturi originale con cui Luigi XIV fu operato per una fistola anale dal chirurgo di guerra Charles-Francois Felix de Tassy
Passeggiando lungo l’elegante sala de “Le musée d’histoire de la medicine” a Parigi, un brivido e non certo di freddo, percorre la schiena dei visitatori che ringraziano il cielo di essere nati al loro tempo. La strumentazione medicale e chirurgica esposta, appare come vera e propria ferraglia di tortura, e se oggi riposa innocua sui rossi velluti delle grandi teche illuminate, un tempo aveva di sicuro rappresentato l’avanguardia cruenta di temute terapie condotte in piena sepsi e senza alcuna anestesia se non un po’ di oppio. Così come mirabilmente raffigurato in opere d’arte come “L’ambulance de la Comédie Française“o Une leçon clinique à la Salpêtrière di André Brouille o descritte dal grande Moliere, i grandi luminari della scienza si riunivano in consesso erudito al capezzale del malato.
Era questa l’occasione per esibirsi in dotte disquisizioni tra colleghi, davanti ad un nutrito seguito di allievi a cui dispensavano principi di anatomia e di fisiologia ed offrivano valutazioni circa le soluzioni da porre in atto in questa o quella malattia. Sotto pesanti e ricciolute parrucche incipriate la pletora di sapienti, affollandosi intorno al letto dello sventurato, tra le trine dei loro polsi, passavano di mano in mano i pitali in porcellana valutando le caratteristiche delle deiezioni ed odorandone gli effluvi per decretare lo stato di salute del malato. Si riteneva al quel tempo che il benessere di un individuo fosse determinato dall’equilibrio tra fluidi corporei. Vigeva in particolare “la teoria dei quattro umori” dove le sang, la pituite, la bile jaine e la bile vert presiedessero all’omeostasi del corpo e che l’eccesso dell’uno sugli altri determinasse lo stato di malattia. Ecco dunque la giustificazione a salassi, cataplasmi, induzione al vomito e clisteri che venivano prescritti in modo continuo e a volte mortale. In particolare l’uso delle sanguisughe il cui mercato divenne ben presto una voce molto importante nell’economia dello Stato, veniva utilizzato anche dal popolo minuto. Questo, già depauperato per le condizioni ambientali ed alimentari con il salasso stava subito meglio raggiungendo prima lo svenimento che era considerato benefico. Tra coltelli da amputazione e clisteri in metallo, divaricatori per ogni sorta di distretto da quello vaginale a quello vescicale, litotritori urologici, speculi ginecologici per isterectomie ma anche occhi di vetro realizzati su misura, gastroscopi e dentiere in pura porcellana.
Tra gli strumenti esposti però quello principe e non a caso è il bisturi originale con cui fu operato Luigi XIV per una fistola anale. Le cronache dell’epoca riportano di come il re fosse un provetto cacciatore e come conoscesse ogni albero e ogni radura del suo territorio: Costretto a non poter andare più a cavallo e relegato all’utilizzo della portantina impose che della malattia e della sua localizzazione non se ne dovesse sapere nulla; ma quell’iniziale segreto di Stato ben presto divenne di dominio pubblico travalicando i confini stessi della Francia. Dai diversi distretti del Paese ed oltre giunsero le eccellenze nel campo medico ognuna proponendo rimedi diversi dall’acqua benedetta ai cataplasmi alla patata, dagli impacchi di argilla a quelli di formiche triturate. Ma tutti i rimedi proposti ed eseguiti risultarono fallimentari decidendo così per l’intervento chirurgico. Mentre gran parte della corte di Versailles fu inviata a Fontainebleu l’intervento ebbe inizio la mattina del 18 novembre 1686.
Con un pizzico d’immaginazione ci ritroviamo in un angolo buio de la chambres à coucher di Luigi XIV. Le pareti rivestite di broccato intessuto in oro, smorzano i rumori così come i folti tappeti attutiscono i passi del chirurgo, dei suoi collaboratori, del Primo Ministro Louvois, di Madame de Maintenon e del confessore che si avvicendano intorno al baldacchino istoriato. L’enorme camino di marmo manda sinistri bagliori quasi a voler competere con la crudeltà dell’operazione che di lì a poco verrà eseguita ed il calore della fiamma esalta l’odore acre e nauseabondo che il bubbone reale produce dalla sua apertura: “Sire, inclinate bene le vostre terga a ché la Vostra Maestà non senta troppo dolore”. A parlare è Charles-Francois Felix de Tassy, medico e chirurgo di guerra chiamato al regale capezzale per ridurre il fastidioso ascesso. Sua maestà ha timore ma forse ne ha di più il famoso chirurgo. Sa infatti che, dopo l’aspra contesa con lo staff medico di corte, che non aspetta altro che qualcosa vada storto, un insuccesso rappresenterebbe per lui la perdita di ogni credibilità professionale e forse della vita stessa. Chiaramente il Felix è in assoluta buona fede essendosi esercitato fino allo stremo sui malati indigenti che per loro disgrazia e soprattutto per altri malattie giacevano nelle camerate del vicino ospedaletto di Versailles. Molti di questi, sepolti velocemente in albe buie e silenziose non furono mai risarciti se non nella veloce menzione di aver concorso, loro malgrado, al progredire della scienza ed al benessere della monarchia.
Ma se “il bisturi piegato alla Royal” ebbe l’onore della cronaca e diede fama e successo al Felix, quasi come fu per il medico del faraone Senuosret , pomposamente definito “Custode dell’Ano Reale”, a Felix diventato Conte di Tassy, fu riservato anche l’onore di essere fondatore dell’Accademia Reale di chirurgia con l’editto personale del Re Sole. La sua fama fu così conclamata che alcuni nobiluomini della corte di Versailles non esitarono, pur non avendone bisogno, a sottoporsi al doloroso intervento.
In conclusione, il celebre bisturi, se ha avuto il merito di gettare le basi mediche sul crescente interesse verso l’utilizzo di risorse strumentali ci ha reso testimonianza di come in fondo le patologie siano profondamente democratiche rendendo un personaggio così potente un po’ più simpatico nell’immaginarlo in una situazione di comune fragilità umana quando, messo a quattro zampe su una coperta, magari d’ermellino, si lamentava come uno qualunque, per un dolore così acuto ed irriverente.
Commenti