Recensioni L’omaggio dal vivo di Cristiano ad un album importante e avversato come "Storia di un impiegato" del padre Fabrizio, è pregevole, fedele ed emozionalmente coinvolgente, e diventa un manifesto di protesta ante litteram attualizzato in questo tour che è passato dal Metropolitan di Catania. Il suo è un mettersi a servizio della grande poetica del padre, un rispettoso omaggio sentimentale e di notevole resa artistica
Ventidue anni dopo (era il 4 novembre 1997) torno al Teatro Metropolitan di Catania con lo stupido pregiudizio che “Anime Salve” è solo un bellissimo ricordo legato alla grandezza di un artista immenso come Fabrizio De Andrè. Trovo, invece, una magnifica sorpresa, variante sempre presente nella vita. Cristiano De Andrè, del resto, in quel concerto c’era, assieme alla sorella Luvi, ad accompagnare il padre in quell’indimenticabile tour capolavoro che rappresenta il testamento sublime del cantautore genovese. E Genova c’entra molto in questo concerto di Cristiano De André che ci apprestiamo a raccontare, interamente città genius loci di Bindi, Paoli, Tenco, Lauzi e Faber, una città che si nutre di mare e che con la sua malinconica personalità ti ammalia e ti conquista, ti respinge e ti attrae.
Scoprire il fermento esistenziale che provoca rappresenterebbe un ambizioso racconto sulla superba città marinara che ha sfornato chansonnier con il vizio del suicidio e dell’alcool. Cristiano De Andrè è uno di questi, genovese nell’anima, fin da quando a dieci anni si svegliò nel cuore della notte per ascoltare la struggente “Verranno a chiederti del nostro amore” che il padre stava cantando per la prima volta alla madre Puny Rignon a cui l’aveva dedicata: “…continuerai a farti scegliere o finalmente sceglierai”. Quella canzone d’amore sarebbe rientrata nell’album più controverso di De Andrè, “Storia di un impiegato”, uscito nel 1973, sei anni dopo la morte di Luigi Tenco e del calciatore del Toro, simbolo del beat e dell’anarchia, Gigi Meroni. Storie tragiche ed eclatanti che già annunciavano i germi della rivoluzione giovanile italiana e che sfoceranno in Faber nel manifesto musicale della sua scelta anarchica, disco che sarà duramente attaccato, soprattutto da quella Sinistra italiana che aveva monopolizzato l’esperienza del Maggio francese. Scriverà Luigi Manconi con lo pseudonimo di Simone Dessì: «”Storia di un impiegato” è un disco tremendo: il tentativo, clamorosamente fallito, di dare un contenuto “politico” a un impianto musicale, culturale e linguistico assolutamente tradizionale, privo di qualunque sforzo di rinnovamento e di qualunque ripensamento autocritico: la canzone Il bombarolo è un esempio magistrale di insipienza culturale e politica».
Eppure dopo decenni di rimozione quel disco è considerato una pietra miliare, assieme a “La buona novella”, nella produzione di De Andrè. L’omaggio del figlio Cristiano è pregevole, fedele ed emozionalmente coinvolgente, e diventa un manifesto di protesta ante litteram attualizzato in questo tour che sta girando i teatri italiani con grande successo. Il suo è un mettersi a servizio della grande poetica del padre, un rispettoso omaggio sentimentale e di notevole resa artistica, anche se non disdegna (e non dispiace) un arrangiamento di suoni moderni. Accompagnato sul palco da Osvaldo Di Dio, Davide Pezzin, Davide Devito e Riccardo Di Paola, scorrono immagini in bianco e nero di manifestazioni studentesche parigine che introducono le vicende dell’impiegato che sogna la rivoluzione individuale sull’esempio del 68’ francese. Cristiano non fa pause, rispettoso delle leggi del concept album, e attento a restituire in pieno il messaggio anarchico del padre Fabrizio, cantando in maniera naturale, pur consapevole della somiglianza con la voce del padre. Di quelle canzoni resisteva nel repertorio solo quella canzone che Fabrizio aveva cantato all’ex moglie e che furtivamente Cristiano, rapito, aveva ascoltato. E ha restituito lo stesso rapimento quando ha eseguito “Verranno a chiederti del nostro amore”. Poi spazio ai capolavori paterni come “Don Raffaè”, “Smisurata preghiera”, “Il testamento di Tito”, “Khorakanè”, “Disamistade”, “Amore che vieni”, “Quello che non ho”, “Fiume Sand Creek”, e a chiudere le due ore concerto il bis travolgente con “Crèuza de ma” e “Il Pescatore” mentre nel frattempo scorre nelle immagini un fiume di sardine.
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