Recensioni Il concerto della cantante romana, tenutosi a Zafferana Etnea il 28 luglio, è stata una splendida anteprima della XVII edizione dell’Alkantara Fest, festival internazionale di folk e world music, organizzato dall’Associazione culturale Darshan, con la direzione di Mario Gulisano. Tosca, primadonna di un concerto corale, ha condotto magistralmente un viaggio attraverso l’intreccio e la contaminazione tra i popoli
C’è un grande feeling tra il pubblico siciliano e Tosca Donati. Ed è un feeeling fecondo di sviluppi, come è accaduto al bel concerto “Morabeza” tenutosi a Zafferana Etnea il 28 luglio, splendida anteprima della XVII edizione dell’Alkantara Fest, festival internazionale di folk e world music, organizzato dall’Associazione culturale Darshan e diretto artisticamente da Mario Gulisano.
E’ stata una serata di grande e bella musica animata da un progetto che svela l’anima più profonda di una delle cantanti più interessanti del panorama italiano attuale: la sua vocazione alla ricerca musicale, alla contaminazione, alla sperimentazione sonora nonché linguistica, se la stessa Tosca ha potuto così definire il suo ultimo lavoro: «È la resa della mia quotidianità musicale, è il modo che ho scelto per tradurre in canto il puro piacere dell’ascolto con l’unica volontà di unire le sole emozioni alle note e alle parole».
Così a Zafferana, dinanzi a un pubblico attento ed entusiasta, le note si sono unite alle parole per generare emozioni, profonde e condivise. Come la passione unita a un indefinito senso di nostalgia, frutto di un’esperienza profonda vissuta dalla cantante romana, un tour mondiale durato tre anni, che ha toccato Algeria, Tunisia, Brasile, Francia e Portogallo, da cui Tosca ha ricavato linfa per creare quest’album intrigante che ha deliziato le orecchie degli spettatori.
E già la scena, ideata da Alessandro Chiti, molto ben curata, dai colori intensi evocanti un salotto sudamericano e con un bel mappamondo luminoso in evidenza, lasciava ben sperare; come colpiva, fin dall’inizio, la preponderanza di donne sul palco, quattro a fronte di due uomini (Giovanna Famulari, eccezionale polistrumentista al violoncello, percussioni, pianoforte e melodica, Fabia Salvucci vocalist e percussionista, Elisabetta Pasquale al contrabbasso e voce, Massimo De Lorenzi alla chitarra classica, Luca Scorziello alle percussioni), anche questo non casuale, se il tema della serata si sarebbe poi svelato quello della passione, centro nevralgico di tutte le canzoni.
Tosca ha condotto magistralmente un viaggio attraverso l’intreccio e la contaminazione tra i popoli (tra francese, brasiliano, portoghese e tunisino), intervallando le canzoni, stupendamente arrangiate da Joe Barbieri, con una vera e propria chicca, stralci dal suggestivo Canto alla durata di Peter Handke, una perla poetica che si è rivelata una scelta azzeccata e perfettamente a tema, se «Il canto della durata è una poesia d’amore. Parla di un amore al primo sguardo seguito da numerosi altri primi sguardi. E questo amore ha la sua durata non in qualche atto, ma piuttosto in un prima e in un dopo, dove per il diverso senso del tempo di quando si ama, il prima era anche un dopo e il dopo anche un prima».
Ma in questo viaggio non è stata mai primadonna assoluta. La bellezza del concerto è stata la sua vocazione corale, con tanto spazio dato alle belle e suadenti voci delle bravissime Fabia Salvucci e Elisabetta Pasquale (che ha incantato tutti con un assolo contrabbasso e voce) e al geniale estro di Giovanna Famulari, capace di inventarsi fantasmagoricamente sonorità inconsuete. E d’altronde Morabeza, come dice il suo stesso nome, si è rivelato un colorato mosaico poliglotta, un omaggio all’isola di Capo Verde, punto di incontro fra Africa, Europa e Caraibi, e al concetto di vaga e passionale nostalgia per le proprie origini.
Dal suggestivo esordio con “La mia casa” alla splendida “La bocca sul cuore” (con quel bell’inizio “Mettiamoci una pietra su, del conto facciamo a metà…”), punteggiata dal sapiente accompagnamento alla chitarra dell’intenso Massimo De Lorenzi e il grazioso coretto delle vocalist, attraverso il toccante omaggio a Lucio Dalla con una belle versione di “Piazza Grande” e la deliziosa “Giuramento”, dove Tosca ha sfoggiato le sue eccelse doti canore, la musica e le parole hanno creato una tessitura davvero preziosa, raffinata, spontanea, mai artificiosa che ha avuto uno dei suoi momenti eccelsi in Ahwak, un gioiello tunisino tutto da godere.
Merito di un ensemble affiatatissimo, applauditissimo che ha regalato due bei bis: naturalmente l’attesissima “Ho amato tutto” e, dulcis in fundo”, un graditissimo omaggio a Franco Battiato con una intensa esecuzione di “Mesopotamia” e quei versi-manifesto “Che cosa resterà di me, del transito terrestre? Di tutte le impressioni che ho preso in questa vita?”.
Ma non è finita qui. Perché Tosca, dopo averla ceduto più volte durante la serata, ha voluto infine offrire la scena al suo amato pubblico siciliano. Tutti in piedi, dunque, per cantare a una sola voce la bellissima “Torna” in un ideale abbraccio tra i musicisti e gli spettatori per dire addio al terribile periodo della pandemia.
Quando i concerti sono opere culturali dove si fondono bravura, passione, eleganza ed estro, non può che finire così.
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