Blog Alla felice indeterminatezza dell’adolescenza, piuttosto che i “sempre” da sussurrare a una compagna, si addice semmai specchiarsi in un amico, e con lui favoleggiare sì di donne, ma solo per confrontare due anime in travaglio; e con lui praticare i rituali camerateschi degli eroi di Roncisvalle o di Fort Alamo, con lui officiare i gravidi silenzi della complicità maschile
Alla felice indeterminatezza dell’adolescenza, piuttosto che i “sempre” da sussurrare a una compagna, si addice semmai specchiarsi in un amico, e con lui favoleggiare sì di donne, ma solo per confrontare due anime in travaglio; e con lui praticare i rituali camerateschi degli eroi di Roncisvalle o di Fort Alamo, con lui officiare i gravidi silenzi della complicità maschile.
Il “migliore amico”: ricerca e poi certezza di quegli anni fervidi e illibati; a “farsi la ragazza” si penserà pure, ma meglio dopo: e saranno triboli e disdette. Meglio, come i poeti stilnovisti, fantasticarne tra ragazzi, e insieme evocare irraggiungibili miraggi di fanciulle in fiore, ma più per sviscerare e condividere i propri ardori che per formulare concreti propositi.
E così, quando io e Flavio, il migliore amico della mia prima giovinezza, c’innamorammo della stessa ragazza, invece di comunicarlo all’interessata c’intrattenevamo giorno e notte a dipingerne insieme il profilo con parole colme di lode e di già soddisfatta gratitudine. Eppure occorreva dirglielo, prima o poi: chi di noi due l’avrebbe fatto? E chi di noi due era più degno dell’agognato assenso?
Ne discutemmo a lungo. E ciascuno di noi, manco a dirlo, pretendeva che fosse l’altro a farlo; e sui maggiori meriti e le più amabili risorse dell’altro era disposto a giurare. La cavalleresca contesa ebbe termine tirando a sorte; e la sorte premiò Flavio. Avrebbe dovuto dichiarare il suo amore l’indomani mattina, domenica, all’uscita dalla messa che raccoglieva ragazzi e ragazze in cerca meno di Dio che di elementi dell’altro sesso da frequentare in libertà. E invece Flavio – soavemente frivolo com’era – appena giunto mi comunicò d’averci ripensato nottetempo, e che forse era un’altra che amava. Eccomi con le spalle al muro, costretto a farmi avanti buttando a mare i miei tanti amori intensi e pudichi, mai dichiarati e perciò protetti da un confortevole involucro di silenzio nobilmente dolente.
E fu così che varcai mio malgrado la linea d’ombra dell’età adulta e delle scelte responsabili, “miglior massaio fatto” come messer Federigo degli Alberighi. Ma torniamo a Flavio, alla sua incantevole incostanza. Per incrociare una data storica: 21 agosto 1968, i carri armati sovietici a Praga. Eravamo in campeggio sul Gargano con un gruppo di giovani universitari cechi (senza i, vale a dire boemi): grandi amicizie, effimeri amori. Su quest’idillio piombò, ferale, quella data. Disperazione e lacrime di quei poveri ragazzi. Ricordo uno di noi, cara persona ma segnata dalle stimmate del primo della classe (timidezza, occhiali spessi, gestualità impacciata), che s’era scelto l’esatto corrispettivo tra le ragazze praghesi: imbranata, occhialuta, studiosissima. Mentre noi si cercava di confortare gli amici d’oltrecortina con pacche sulle spalle e banali frasi di incoraggiamento, lui e lei potevano ricorrere al loro colto alfabeto. Perciò lui le prese la mano e, occhiali negli occhiali, le sussurrò (era un giorno piovoso): “coelum quoque luget vobiscum”. Quante ignobili risate, nei giorni a seguire, su quella memorabile formulazione.
Flavio, anziché all’austero latino dei classici, dedicava le sue attenzioni alle morbide forme delle turiste presenti in quel campeggio. Una di loro, un’avvenente ragazza romana, proprio quel giorno a pranzo, al di sotto della tavolata comune, gli fece piedino con uno sguardo carico di promesse. Lui non se ne faceva scappare una: figurarsi questa, così agevole e seducente! E invece… Invece, per la prima e unica volta in vita sua, in ossequio alla generale costernazione, Flavio fece finta di nulla: rinunziò con la stessa cavalleresca nobiltà e lo stesso mesto sorriso con cui Rick rinunzia a Ilsa in Casablanca.
Eroici impeti dell’adolescenza, “gran bontà de’ cavalieri antiqui”! Mentre Sciascia dedicava a Dubcek la sua Controversia liparitana, Flavio gli votò il suo gran rifiuto. Che non valeva di meno.
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