Libri e Fumetti Nel nuovo romanzo, edito da Mondadori, del giornalista e scrittore palermitano vi è una dimensione di analisi sociale ed antropologica con una specifica attenzione alla storia cittadina che si interseca con quella d'Italia. Un libro che fa rivivere momenti cruciali del '900 siciliano ed italiano, con una visione della letteratura come dimensione della ricerca del senso autentico delle cose
Un romanzo che si interseca con la storia d’Italia, un libro che attraverso l’invenzione narrativa fa rivivere momenti cruciali del Novecento siciliano ed italiano. Con una visione della letteratura come dimensione della ricerca del senso autentico delle cose. Il libro che condensa in maniera sinergica tutti questi elementi appena citati è il nuovo romanzo di Gian Mauro Costa, “Luci di luglio”, edito da Mondadori. Costa palesa ulteriormente la sua capacità poliedrica di cambiare genere e saper affrontare tematiche differenti con stili linguistici diversi. Sempre mantenendo l’identità della sua scrittura, raffinata e chiara, diretta ed efficace. E non vi è alcun dubbio che la lunga esperienza giornalistica abbia aiutato Costa a forgiare la sua capacità di racconto concreto delle cose. L’autore è sempre attento agli aspetti sociali, antropologici, la sua conoscenza di Palermo e del mondo palermitano è un elemento di forza della sua narrativa. Lo si è già visto con i suoi gialli, strutturati con originalità, pubblicati da Sellerio.
In questo romanzo vi è una dimensione di analisi sociale ed antropologica. Con una specifica attenzione alla storia. E vi è un approfondimento in chiave filosofico-esistenziale, nel senso che la lettura psicologica dei personaggi narrati è intrisa di diverse concezioni della vita. Vi sono storie di vita, di speranza, di illusioni. Sogni individuali e collettivi. Vi è il racconto della tv che diventa strumento di costume sociale, di intrattenimento e creazione di una nuova opinione pubblica. Il contesto storico del romanzo è quello del luglio 1960 a Palermo. Durante una delle fasi più delicate e drammatiche della giovane Repubblica italiana la polizia del governo Tambroni spara sui manifestanti dello sciopero generale e lascia morti in piazza a Palermo. In un’altra piazza vicina, quella di Monreale, la gente si accalca invece sotto il palco di “Campanile sera”, una trasmissione tv di grande successo popolare condotta da Mike Bongiorno in cui alcuni Comuni italiani si sfidano su cultura e sport. Monreale è impegnata in una sfida con Chioggia, una gara Sud contro Nord. Storia, politica, tv, religione e feste popolari. Vi sono infatti a Palermo i preparativi per la festa di Santa Rosalia. L’insieme dei molteplici aspetti vive narrativamente nel romanzo di Costa.
La trama si dipana con le vicende di due ragazzi, un apprendista muratore e un cameriere. I due adoloscenti si incontrano per caso e decidono di “incrociare i loro destini in un progetto balordo, un sequestro che cambierà per sempre le loro esistenze”. Racconto e memoria. L’incipit del romanzo si gioca su questi aspetti: “Tra poco si accenderanno le luci del Teatro Massimo. E si spegnerà un’altra delle mie giornate. Lo studio è in penombra, ma preferisco tenere ancora il lume spento, rendermi invisibile alla piazza nel tramonto. A un mondo senza più testimoni, senza più amici. Il lavoro è nelle mani dei miei assistenti. Non sospettano che ormai alle pratiche do solo un’occhiata distratta. Adesso Adelina busserà alla porta, mi chiederà dove voglio cenare. ‘Qui, in questa stanza’ risponderò, come già da un mese. Voglio raccontare la storia per intero, prima che evapori insieme alla notte. Ora che so usare le parole, prima che arrivi lui ogni cosa dev’essere scritta. Qui, in questa casa. Dove tutto è cominciato in un luglio di tanti anni fa. Luglio 1960. Una data sbiadita, per tanto tempo ibernata, di nuovo bruciante, una condanna senza remissione. Siamo rimasti in pochi a ricordarla. Lui, sicuramente. Anche se ancora non conosce la verità”.
Cruciale nel romanzo la figura del giovanissimo Franco Sommariva, aspirante muratore: “Anche grazie a me, Franco Sommariva, di anni sedici compiuti a maggio: perchè ogni pomeriggio, finite le lezioni della scuola d’avviamento professionale, mi aspettavano a casa zio Ignazio e la pignata di pasta preparata da mia madre Carmela. Il tempo di mandare giù due forchettate e sotto con il lavoro. Mi piaceva mettere sulla testa la barchetta di carta di giornale che completava la divisa da muratore: la canottiera di mio padre, più larga di due misure, e i pantaloncini vecchi che invece mi venivano già stretti, soprattutto quando riuscivo a dare una sbirciatina di fronte, dove abitava Rosetta. E mi piaceva farmi vedere da lei così conciato, con un secchio ai piedi e una cazzuola in mano, ad ascoltare serio gli ordini di mio zio”.
Costa riesce a ben delinare anche il contesto dei costumi sociali dell’epoca, una dimensione di micro-sociologia della vita quotidiana palermitana resa vivida dalla letteratura: “Quella sera il prezzo della mangiata sul terrazzino per festeggiare il compleanno di zia Margherita era stato rinunciare alla visione di “Campanile sera”, il programma condotto da Mike Bongiorno che metteva a confronto due paesi in una sfida di quiz e gare sportive. Monreale – quindi Palermo, dato che fra i due Comuni non c’era più una linea di demarcazione – andava avanti come un treno, sbaragliando un rivale dietro l’altro. La gente era impazzita. E i giornali pure. Ma io, quelli, allora non li leggevo. «Tranquilla, Carmela – intervenne zio Ignazio -. Tra una settimana il terrazzino avrà la corrente elettrica. E ci vedremo la trasmissione al fresco. E poi, tutti alla Marina per i fuochi. Perchè il 14 c’è il Festino, ve lo siete scordati?» No, nessuno se l’era scordato. Nessun palermitano poteva scordarsi del Festino di Santa Rosalia, con il corteo storico e lo spettacolo pirotecnico sul lungomare. Sempre che il mondo fosse stato ancora lì, al suo posto. Perchè quello stesso giorno, il 14 luglio, alle 13 e 45, secondo fratello Emman…”.
Altro personaggio chiave è il giovane cameriere Gaetano. “Gaetano Bellomare non aveva mai lavorato tanto come in quei giorni, e soprattutto come in quelle sere. Caffè ristretto, lungo, macchiato, corretto, genovesi con crema gialla o ricotta, amaro Averna o Cynar, cartocci, arancine, gassose e birra Messina…Prima che cominciasse quella storia di “Campanile sera”, a Monreale tanta gente non si era mai vista. E anche la serata del 7 luglio prometteva più che bene. Stava per iniziare la sfida con una cittadina di mare di lassù, Chioggia. Vicino a Venezia. Quasi quasi vicino a Torino, la città dove la famiglia di Gaetano avrebbe dovuto trasferirsi a ottobre, per raggiungere i parenti andati lì due anni prima, che se la passavano bene con quello che offriva la Fiat: uno stipendio buono per una casa di ringhiera con bagno vicino alla porta d’ingresso, la mensa aziendale con lo spaccio e la possibilità di comprare a rate vantaggiose addirittura un’automobile, una Seicento, per andare in gita la domenica. Ma di Torino Gaetano non ne voleva sapere. E non solo per Antonella, che vedeva passare due volte al giorno davanti al bar, mentre andava al lavoro come camiciaia e poi quando tornava a casa. Ogni tanto trovava anche il coraggio di fermarla per offrirle, di nascosto al padrone, un caffè ben zuccherato e annusare il suo odore di gelsomino (Ma com’è, si chiedeva Gaetano, che ha sempre questo profumo addosso, estate e inverno? E come sarebbe bello portare una camicia bianca confezionata da lei. Che ci affonderei il naso con tutta la faccia e mi metterei a leccare angolo per angolo il cotone toccato dalle sue mani)”.
Importante anche il personaggio Benedetto Miccichè, poligrafico, sindacalista ed attivista politico: “Benedetto Miccichè, quella mattina, aveva gli occhi gonfi di sonno e mal di testa. Non aveva dormito nemmeno un po’, si era rigirato tutta la notte tra le lenzuola zuppe di sudore suo e di Maruzza, e anche dei due picciriddi che con quel caldo erano inquieti e si erano infilati nel letto grande. Li aveva lasciati che avevano finalmente trovato un po’ di pace. Maruzza pareva che pregasse nel sonno. O forse si lamentava. Lui si era fatto un caffè corto e nero, e manco aveva dato un’occhiata ai biscotti che suo suocero aveva portato domenica dal paese. I piatti erano ancora sporchi di salsa di pomodoro nel lavello. Brutto segno”.
La storia fra Benedetto e Marcella. “Benedetto avrebbe visto anche Marcella, al sindacato. Per fortuna, in quelle occasioni lei si limitava a guardarlo con la faccia severa, tutta compenetrata nel suo ruolo, e poi, una volta in piazza, non si sarebbe spiccicata dal suo gruppo di impiegati di banca, che senza di lei sembravano smarrirsi come picciriddi. E Benedetto, quella mattina, Marcella la voleva vedere a distanza, non voleva sentire il suo fiato vicino perchè se no la testa, che già gli dava problemi, sarebbe scoppiata. Gli si ripresentarono quei pensieri tristi: i piatti sporchi, i bambini che piangevano, la malinconia che gli veniva quando entrava dentro Maruzza e lei lo tirava a sé con un sospiro…”.
Di grande efficacia e fra le più importanti del romanzo sono le pagine dedicate allo sciopero generale a Palermo e la drammatica repressione che ne seguì.
“Mi misi a correre. I primi spari erano arrivati da via Belmonte, dove c’erano le autoblindo. E insieme era partita anche una raffica umana. Quella delle persone che si mitragliavano lungo la strada e si sparpagliavano correndo in tutte le direzioni, pur di allontanarsi dal blu e grigio delle divise dei poliziotti. Qualcuno si fermò, giusto il tempo di raccogliere un sasso e scagliarlo indietro, alla cieca, a chi piglio piglio, e poi riprese la fuga. Correvo, ma il cuore non galoppava. Al contrario, era come se avesse rallentato i battiti per consentirmi di ragionare. Guardai con la coda dell’occhio in direzione di piazza Massimo e vidi la colonna di fumo”. Ed ancora: “Continuai a correre verso il Massimo. Lì c’era fumo, sì, e sembrava che i manifestanti inondassero la piazza, che gli sbirri fossero pochi e in difficoltà. Ecco, pensai guardando il vecchio chiosco liberty, forse Andrea è quello. I colori della maglietta sembravano i suoi. Gridai il suo nome, il ragazzo si girò: sì, era proprio Andrea. Continuai a puntarlo, continuai a correre. E fu in quel momento che qualcun altro, qualcos’altro, puntò Andrea. E lo raggiunse con uno schianto silenzioso che per un attimo venne percepito da tutti, rimbalzando dalle colonne immobili del teatro alle serpentine agitate dei vicoli”.
Un libro che va letto, riletto e meditato…
Commenti