Libri e Fumetti Passando per scene esilaranti, fatti sanguinosi, dialoghi commoventi, e tanta musica, in "Felicità" (Scatole parlanti editore), lo scrittore siracusano racconta la storia di Nunzia, ragazza che vive e cresce a Riposto, succube di un padre maschilista che ne soffoca le ambizioni: «“Nunzia” l’ho conosciuta. Nei primi anni Novanta in treno incontrai questa ragazza, carina, ma inquietante: pallida, quasi cadaverica, e timida. Parlando le sue guance diventavano violacee»
Un parto lunghissimo quello che ha portato all’uscita in questi giorni, il 1° marzo con precisione, di “Felicità” (Scatole Parlanti, pp. 328, € 18), il secondo romanzo, atteso oltre gli spasmi, di Gianni Contarino, scrittore siracusano che vive tra le alpi piemontesi e la provincia etnea, romanzo pubblicato due anni dopo il suo debutto letterario “Punto zero“. “Felicità” narra la storia di una famiglia e in particolare della metamorfosi di una donna a causa del rapporto conflittuale col padre. Lo stile di Contarino fa di questo romanzo un riuscito mix di tragico e comico. Grazie a questo le sue pagine affrontano un tema sociale dai contorni drammatici, rendendolo interessante non solo per i lettore alla ricerca di spunti di riflessione, ma anche per chi desidera divertimento. «Ho cercato di contribuire con una voce maschile – afferma l’autore – al dibattito, quello su patriarcato e maschilismo, che per fortuna gode di attenzione crescente, ma che ancora è più spesso sollevato da donne».
“Felicità” è ambientato a Riposto, delizioso borgo sul mare ai piedi dell’Etna, dove viene descritta, attraverso una lunga serie di fatti, la parabola di Nunzia e la sua deriva a fronte del comportamento oppressivo e anacronistico del padre, un uomo lontano troppe miglia dai concetti di civiltà e di emancipazione femminile. La storia copre un arco temporale di sei decenni a partire dai primi anni Cinquanta, in pieno boom economico, quando nasce Nunzia, e si sviluppa attraverso il racconto di aneddoti, di “carotaggi” nella vita della protagonista, significativi, individuati all’interno di ciascun anno. Mentre nel mondo accadono piccoli e grandi fatti storici, dall’arrivo della tivù in Italia alle manifestazioni del Sessantotto, dalla legge sull’aborto alla caduta del muro di Berlino, l’esistenza di Nunzia scorre mantenendosi, suo malgrado, qualche passo indietro rispetto alla Storia, una sorta di continuo “vorrei ma non posso”.
Nunzia sin da piccola ascolta, grazie al festival di Sanremo e a programmi come Studio Uno, canzoni come “Volare” di Modugno o “Sabato notte” di Mina e in lei nasce subito la passione per la musica e il canto. Sua madre capisce che la bambina ha talento, ma nulla fa contro l’ostilità del padre, che si oppone a che la figlia lo coltivi. Nunzia guarda dalla finestra le altre ragazze passeggiare sul corso, incontrare i ragazzi, mentre suo padre la costringe, anche con violenza, a rimanere rintanata a studiare e ad aiutare la madre nelle faccende domestiche, senza frequentare uomini se non, quando deciderà lui, un potenziale candidato per il matrimonio. Gli anni passano e la mente della protagonista risente di tutto ciò, tanto da spingerla ad adeguarsi alla brutalità che ha subito e a restituirla in comode rate, non solo al padre ma a più persone vicine di sesso maschile.
Contarino racconta questa storia passando per scene esilaranti, fatti sanguinosi e dialoghi commoventi, il tutto costantemente accompagnato anno dopo anno da una colonna sonora rigorosamente legata alla musica del momento, da Celentano a Lucio Dalla (che ha ispirato anche il titolo), dai Beatles agli U2. Non mancano il mare e le spiagge di quella porzione di Sicilia, il sapore e il profumo di arancini, di alici marinate di vini rossi e bianchi dell’Etna e il colore e calore della lava. Non mancano nemmeno i suoni, la cantilena del dialetto della zona e l’eco di certi modi di dire della tradizione siciliana.Per l’autore, che ha frequentato seminari di Stefano Benni e corsi alla scuola di Alessandro Baricco e che negli anni ha riscosso diversi riconoscimenti per i suoi racconti e le sue poesie, compito della scrittura, in tutte le sue forme, è divertire e porre domande.
Gianni Contarino, che incontriamo nel periodo di permanenza sull’Etna, si è trasferito a Torino all’inizio degli anni Novanta e per sopravvivere si è occupato di consulenza aziendale e di management nel settore industriale, ma, come lui ama affermare, per vivere scrive. Gentilissimo si è prestato alla lunga chiacchierata che procede come intervista.
In tre parole come descriverebbe un romanzo come “Felicità”?
«Tragico, comico e tragicamente attuale».
Può delineare in sintesi la vicenda di Nunzia?
«Questa storia ha inizio negli anni Cinquanta e arriva fino ai giorni nostri. Nunzia in casa ci nasce, come si usava all’epoca, ci cresce e ci trascorre la maggior parte del proprio tempo perché Gino, il padre, un mix letale di mentalità patriarcale e maschilismo, le lascia poca libertà; non solo la opprime e la limita negli spostamenti ma ne ostacola anche i sogni e questo gli è possibile anche grazie alla complicità tacita della moglie e alla soggezione di Pippo, l’altro figlio, succube. Questo avrà effetti sulla mente di Nunzia e non solo su di lei».
Come mai ha deciso di affrontare questi argomenti?
«Negli ultimi anni patriarcato e maschilismo hanno finalmente ricevuto maggiore attenzione e sono diventati ancor più oggetto di monologhi televisivi, post sui social, romanzi e saggi. Il fatto è che i monologhi e le altre forme di narrazione partono prevalentemente da donne. Ho voluto quindi portare il contributo di una voce maschile, perché penso che essere solo spettatori o lettori non aiuti a sufficienza questa battaglia».
Lo stile mette insieme comicità e drammaticità. Quali sono le ragioni di questa scelta e chi il destinatario di “Felicità”?
«A volte mi capita di percepire in discorsi e battute soprattutto maschili, ma non solo, una certa indifferenza, se non riluttanza, verso il tema, come se voler appianare certe differenze di genere fosse considerato da alcune persone un tentativo velleitario e neanche tanto legittimo di ribaltare un ordine di tipo naturale. C’è anche da dire però che in alcuni casi quelle parole sembrano dettate più da conformismo, paura di dire qualcosa di diverso dall’apparente pensiero comune, o più banalmente da pigrizia. Destinatario è quindi soprattutto, ma non solo, chi in un libro cerca intrattenimento, perché farsi due risate e poi ritrovarsi anche a riflettere credo sia uno dei tanti buoni modi di spendere parte del proprio tempo».
Qual è stata la fonte di ispirazione del suo romanzo?
«“Nunzia” l’ho conosciuta. Erano i primi anni Novanta e durante un lungo viaggio in treno dalla Sicilia a Torino incontrai questa ragazza, di cui non ricordo il nome, molto carina, ma inquietante: era pallida, quasi cadaverica, benché fossimo alla fine dell’estate, e così timida che, mentre chiacchierava con me, spesso le guance le diventavano, più che rosse, violacee. Accompagnava dei ragazzini in una colonia e, durante una sua breve assenza, uno di loro mi confidò che il padre non la faceva mai uscire di casa. Fui impressionato: avevo vent’anni e non immaginavo che cose del genere potessero ancora accadere. Quel fatto si annidò nella mia testa e attraversò in maniera carsica due decenni, affiorando di tanto in tanto e generando tasselli di questa storia. Alcuni anni fa decisi che era arrivato il momento di raccontarla e lo scorso autunno ho capito che il lavoro era compiuto».
Perché il titolo “Felicità”?
«Le ragioni sono almeno due. Da un lato c’è l’ironia, perché la vita di Nunzia ha veramente poco a che fare con questo sostantivo se non in una sempre più rassegnata blanda ricerca. Dall’altro c’è l’omaggio che con questo romanzo ho voluto dedicare alla musica, che è una grande passione mia e una passione/consolazione della protagonista e che, oltre ad accompagnare da sempre la Storia, quella con la s maiuscola, funge nella maggior parte dei capitoli del romanzo da colonna sonora ai fatti raccontati. L’origine è la meravigliosa canzone di Lucio Dalla, del quale quest’anno ricorrono gli ottant’anni dalla nascita e a cui nel testo ho dedicato più di un riferimento. Nunzia per esempio è nata il 4 Marzo e questa data, per diversi motivi, ricorre spesso fra le pagine».
Può dirci perché l’ambientazione a Riposto e darci una definizione di questo borgo?
«Dato che, al di là dei luoghi comuni, patriarcato e maschilismo sono presenti un po’ ovunque, la storia si sarebbe potuta svolgere in qualunque città italiana, ma, come nel mio romanzo precedente, ho voluto fare un omaggio ai luoghi delle mie radici. A differenza di “Punto zero”, dove mi serviva un’ambientazione asettica, in “Felicità” avevo bisogno che della mia isola fossero presenti sapori, profumi e bellezza, oltre al suono del dialetto. Riposto, trovandosi in quel magnifico tratto di mare fra Catania e Taormina, ha tutto questo, la spiaggia, il bel duomo, il corso, il mercato del pesce. In più si trova ai piedi del Vulcano, che, con la sua maestosità e forza si è ricavato quasi di prepotenza un ruolo significativo nella vicenda di Nunzia. In più, a pochi chilometri, si trovano altri bellissimi borghi in cui è stato un piacere ambientare alcune scene. Un luogo, insomma, che ha tanto da dire e che non si limita a fare da sfondo».
Nel romanzo c’è un forte nucleo centrale, la famiglia Filicudi, e alcuni personaggi di contorno. A cosa si è ispirato per questa “composizione” di figure?
«Felicità ha almeno tre livelli di lettura. I primi due sono quelli a cui ho già accennato: parlare di patriarcato e fare un omaggio alla musica. Il terzo, metaforico, è una critica all’Italia, al di là del patriarcato. I quattro membri della famiglia Filicudi rappresentano alcune parti della nostra società: i cialtroni (padre), i complici silenziosi (madre), i succubi (fratello) e quelli che tentano di ribellarsi (Nunzia). Attorno a loro ci sono tante anime tipiche di qualsiasi piccola comunità, dagli amici di Gino, che lo applaudono, alle parenti alto borghesi di Vera, la moglie, che lo schifano sia per le origini umili sia soprattutto per i modi; dal carabiniere, costretto a barcamenarsi fra sani principi e compromessi, al notabile, capace di spargere in paese con apparente signorilità, calunnie e dicerie, dal prete, che meglio di tutti capisce la condizione di Nunzia alla prostituta che, quando passa, fa scordare le carte agli anziani che giocano nel circolo».
Nelle sue pagine si avverte a volte amarezza e disincanto, seppur a tratti ci siano barlumi di positività. Quale ne è la radice?
«Questa storia, per quanto inventata e piena di nomi e avvenimenti grotteschi di pura fantasia, ricalca in personaggi e dialoghi cose che si possono sentire o vedere in un bar, in una piazza, in una cena familiare. Non c’è utopia, niente vita perfetta come negli spot pubblicitari o nei social. Difficile quindi che trionfi ovunque e sempre l’allegria».
Vengono narrati molti fatti. C’è qualcosa di ispirazione autobiografica?
«Credo che nessuno possa dare quello che non ha, quindi la risposta è sì. Tra la maggioranza di cose inventate si incuneano frasi sentite, aneddoti che mi sono stati raccontati, c’è anche la trascrizione quasi fedele di una telefonata che ho avuto anni fa con un’impiegata di un ufficio pubblico come lo è Nunzia. In generale ci sono personaggi che, per quanto caricature come Gino, non sono tanto distanti da persone che tutti possiamo aver incontrato».
In buona parte dei capitoli si nota la presenza di ricerca storica. Quanto ha pesato nell’economia della scrittura?
«Parecchio, perché fra i tanti fatti storici avvenuti nei sei decenni coperti dal romanzo è stato necessario scegliere quelli utili a tre scopi: mostrare come la vita di Nunzia sia molti passi indietro rispetto a ciò che accade nel mondo; mostrare anche che, quando le va bene, le proprie vicende ne sono solo un riflesso; avere analogie più o meno simboliche con ciò che di volta in volta accade a lei o a chi le sta attorno.»
Lei è laureato in ingegneria, ma nel testo ci sono riferimenti alla Grecia classica. Come mai?
«Non sono il primo ad averlo fatto, basti pensare per esempio a Luciano De Crescenzo, uno degli autori che ho più amato e che mi hanno influenzato. Sono nato e cresciuto in una città, Siracusa, in cui quella tradizione si respira nei luoghi e negli eventi culturali che ogni anno vi si svolgono; fa quasi parte della composizione chimica dell’aria. Inevitabile che alcune analogie le permettessero di intrufolarsi nella storia di Nunzia. Lei per esempio è una grande appassionata di Sparta».
Nonostante trascorra la maggior parte del suo tempo in Piemonte, il suo legame con la Sicilia sembra ancora solido.
«Lo è, anzi è cresciuto col tempo e non solo perché dopo più di trent’anni non ho ancora grande feeling con neve e sciarpe. La distanza aiuta a percepire meglio alcune cose, alcuni modi di fare, alcuni difetti, ma anche tanti grossi pregi che, quando sei in un luogo, fatichi a mettere a fuoco. In Sicilia ho ancora legami familiari e grandi amicizie, ho la possibilità di utilizzare anche il mio dialetto e ne amo i sapori, i profumi e i paesaggi che, come detto prima, ho voluto fossero molto presenti in Felicità.»
Lei ha ricevuto diversi riconoscimenti per i suoi scritti. Da quanto tempo scrive e come mai?
«Scrivevo già da ragazzino ma non lo sapevo. Poi, trasferitomi a Torino da maggiorenne, mentre di giorno studiavo fisica, pistoni e aerodinamica, di notte cominciai ad averne consapevolezza e a dedicarmi a racconti e poesie. “Da grande”, circa quindici anni fa, ho deciso di investire in questa passione, studiando, frequentando corsi alla Scuola Holden di Alessandro Baricco, un seminario di scrittura comica tenuto da Stefano Benni, e dedicando molto più tempo alla scrittura e soprattutto alla lettura, fondamentale per questo mestiere».
Cosa l’ha spinta a passare da racconti e poesie alla forma del romanzo?
«Leggere racconti e, ancor più, poesie, vuol dire tuffarsi in un concetto, in una storia, senza troppi preliminari, e arrivare al nocciolo della questione dopo poche righe. Scriverli richiede l’atleticità di un centometrista e una quasi ossessiva ricerca della sintesi. Queste sono cose a cui ho teso nei tanti anni di scrittura di racconti, grazie anche alla modalità “Carveriana” appresa alla Scuola Holden. La mia preferenza da lettore va però ai romanzi e la prima volta che ne ho scritto uno ho ritrovato l’eco delle mie letture e, dopo tanti anni da centometrista, ho provato la sensazione di passeggiare lungo un fiume. Insomma, ho scoperto che a me scrivere trecento pagine di un romanzo dà più libertà e spensieratezza che scrivere le quindici di un racconto o le venti righe di una poesia. Questo però non vuol dire che abbia accantonato queste forme di narrazione».
Nella sua scrittura lei ha la capacità di mettere insieme aspetti sociali e psicologici mentre magari racconta un fatto comico. È una scelta o qualcosa di istintuale?
«Spesso mi capita di scorgere aspetti divertenti nelle persone, nei loro tic, nelle scelte e nei discorsi, fatti a volte più per conformismo che per convinzione, così, quando scrivo, mi viene quasi istintivo, nel raccontare un fatto ridicolo o solo grottesco, condirlo con qualche trascorso del personaggio, navigando fra umanità e compassione.»
La casa editrice indipendente Scatole Parlanti, appartenente al gruppo Utterson di Viterbo, ha nella ricerca di talenti una delle proprie caratteristiche. Come è arrivato a tale editore?
«È successo abbastanza per caso, verso la fine del 2020, in piena pandemia. Avevo appena completato il mio precedente romanzo, “Punto zero”, e cercavo editori nel cui catalogo ci fosse vicinanza a quel testo. Le trovai imbattendomi, fra gli altri, nei siti web delle case editrici del gruppo Utterson, inviai il testo, piacque e la redazione lo destinò a quella più adatta. Il romanzo uscì nel febbraio del 2021 e in questi due anni la nostra collaborazione è stata per me molto soddisfacente, motivo per cui, quando si è trattato di ricercare un editore per “Felicità”, fra quelli scelti non poteva che esserci anche il gruppo Utterson».
E adesso quali progetti l’aspettano?
«Ora voglio godermi il lancio, la promozione e gli incontri con i lettori di “Felicità” e – perché no? – di “Punto zero”, attività che, oltre ad essere divertenti, ti arricchiscono, ti permettono di creare un legame con chi ti legge e di scoprire come fa sua, con la propria fantasia e i propri trascorsi, la storia che gli hai consegnato. Poi arriverà il tempo per altre scritture, ma per ora sono solo idee…».
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