Libri e Fumetti Il ricercatore del Cnr, protagonista della divulgazione scientifica anche in ambito televisivo, nel libro “Il Mediterraneo inaspettato (La storia del Mare Nostrum raccontata dai suoi abitanti)", edito da Mondadori, ci accompagna in un viaggio nella straordinaria storia del Mediterraneo, dove la Sicilia è da sempre centrale, un itinerario multidisciplinare legato dal filo rosso della scienza
Un viaggio nella straordinaria storia del Mediterraneo, un itinerario multidisciplinare legato dal filo rosso della scienza. A compierlo è stato nel suo libro – “Il Mediterraneo inaspettato (La storia del Mare Nostrum raccontata dai suoi abitanti)” edito da Mondadori – un protagonista della divulgazione scientifica quale il ricercatore del Cnr Mario Tozzi, che si è affermato anche nell’ambito televisivo. Nel suo testo, scritto con chiarezza scritturale e capacità di catturare l’attenzione del lettore, Tozzi racconta e analizza la genesi, la formazione e l’evoluzione del Mediterraneo. “Che cosa può esserci di inaspettato in un mare che conosciamo da sempre. Davvero il Mediterraneo ha ancora segreti da svelare a chi vive sulle sue coste, si nutre dei suoi prodotti o vi si tuffa ogni estate? Ebbene sì, perché ciò che pochi conoscono è la sua storia più antica, sono gli eventi che hanno portato alla sua formazione, le vicissitudini che ha attraversato nei millenni, prima della comparsa di noi sapiens, e le straordinarie trasformazioni che ha subito nel corso della sua evoluzione”.
Tozzi unisce rigore scientifico a capacità narrativa, e struttura il testo con originalità, fa infatti emergere l’ante-storia del nostro mare attraverso la voce delle specie che lo abitano e dei loro antenati – pesci, cetacei, elefanti e scimmie – che vi hanno vissuto quando ancora era il grande oceano Tetide e si sono dovuti adattare ai cambiamenti che ne hanno mutato il volto. “Solo Antea, una femmina di tonno rosso, può ricordare come vivessero i suoi predecessori centinaia di milioni di anni fa, quando nuotavano nella sterminata Pantalassa prima che la deriva dei continenti la suddividesse in tanti oceani e mari. Solo la delfina Flippie può spiegare perché i suoi simili, i mammiferi marini, siano tornati nell’acqua dopo che alcuni pesci ne erano usciti per evolvere in anfibi o rettili e infine diventare mammiferi. E, dalla terraferma, solo Elly l’elefantessa può descrivere quale fu lo stupore dei suoi antenati quando videro il Mediterraneo quasi disseccarsi a causa del cambiamento climatico verificatosi sei milioni di anni fa”.
Il grande Braudel aveva studiato sul piano storico e storiografico il Mediterraneo, anche con la categoria della lunga durata. Tozzi compie un lavoro di storia della scienza, in chiave multidisciplinare. Il libro è ricco di analisi ricostruttive da parte di Tozzi: “Come Stromboli ha prestato il suo nome all’attività vulcanica costante e poco esplosiva, così il tipo di attività di Vulcano ha dato il nome alle eruzioni dette “vulcaniane”, che sono al contrario estremamente violente, e possono distruggere lo stesso cono da cui si sviluppano. In questi episodi vengono eruttate lave acide e molto viscose, oltre a enormi quantità di gas e di ceneri, che creano nubi a forma di fungo prima di ricadere e arrivare a formare il nuovo edificio vulcanico”.
Vulcani: storie, culture e tradizioni
Tozzi scrive: “Tracce di tali storie si possono reperire anche in Aristotele, che parla di una tomba in questa zona a cui non era “sicuro accostarsi di notte“, poiché vi si udivano spettrali suoni di timpani e cembalo e una risata agghiacciante; oppure nella cosiddetta “arpa eoliana“, o “organo di Eolo“, una struttura scoperta negli anni Ottanta del XX secolo che si credeva emettesse in origine suoni diversi a seconda dei venti che spiravano (in realtà si trattava dei resti delle condutture di uno stabilimento termale romano, che solo il fascino delle tradizioni di quei luoghi aveva spinto a interpretare come uno strumento divino).
“Le Eolie sono una tappa importante anche delle tormentate peregrinazioni di Odisseo, che qui incontra il dio dei venti, a cui racconta la propria storia ottenendone prima un ascolto partecipe e quindi un dono inatteso: un otre di cuoio che racchiudeva tutti i venti, in modo che non turbassero il suo ritorno a Itaca, lasciando libero di soffiare solo Zefiro, che avrebbe spinto dolcemente le vele di Odisseo verso l’isola natia. Fu come al solito la cieca avidità umana a rompere l’incantesimo, quando, giunti ormai in vista di Itaca, i compagni dell’uomo dal multiforme ingegno approfittarono del suo sonno per vedere quali ricchezze contenesse l’otre, con l’esito di liberare i venti e di scatenare una tempesta che riportò le imbarcazioni al punto di partenza”.
Le meraviglie di Lipari e la storia romana
Tozzi argomenta: “L’ultima delle Eolie su cui vale la pena spendere qualche parola è la più grande di tutte, Lipari. Benché non più sede di eruzioni, è anch’essa un’isola di origine vulcanica, come testimoniano non solo le acque termali, ma anche i già citati giacimenti di ossidiana e l’abbondante pietra pomice di cui è costituito l’intero monte Pilato, nella nordest dell’isola: una distesa candida e friabile che digrada fino a mare alle cui acque questa pietra conferisce un bell’aspetto turchese che non ha niente da invidiare a una spiaggia polinesiana”. “I Romani, con il loro spiccato senso pratico e ingegneristico, si resero subito conto di quali grandi vantaggi offrisse una pietra così leggera, e infatti la usarono per alleggerire la grandissima cupola di una delle costruzioni più ambiziose del suo tempo, il Pantheon di Roma, mescolando questa pietra vulcanica al calcestruzzo. La pomice, che i Romani andavano a prendere direttamente a Lipari, oltre a permettere la costruzione dei 43 metri di diametro della cupola, è servita ad alleggerire volte, edifici e manufatti in tutto il Mediterraneo”.
La Sicilia dello zolfo
Tozzi racconta: “Oggi la sua estrazione avviene quasi esclusivamente in Nord America, ma un tempo il maggior fornitore al mondo era la Sicilia, e il distretto chimico di Caltanissetta, nel centro dell’isola, era il più importante dell’intero pianeta, nonostante il tenore non elevatissimo di minerale ( in genere attorno al 20 per cento, ma talvolta poteva raggiungere il 50) disperso in marne, argille e gesso. Fino al 1905 il 91 per cento dello zolfo di tutto il mondo veniva da qui, in un’epoca in cui i principali estrattori del minerale erano i «carusi» (letteralmente, «coloro che erano carenti nell’uso», ossia inesperti), ovvero i garzoni salariati, che riemergevano con lo zolfo ancora nella ganga, destinato a essere cotto nei forni. I carusi hanno fatto la storia del Mediterraneo”.
Gli zolfari e la profondità della Terra
“Gli zolfari avevano una sorta di istintiva intuizione delle profondità della Terra: interpretavano il dipanarsi di un filone sotterraneo, scoprivano le sue trame e ne anticipavano le geometrie. In tal modo braccavano ed estraevano il tesoro giallo prodotto secondo le inderogabili leddi della tettonica e della fisica; quello stesso minerale che avrebbe migliorato la vita di altri esseri umani e di intere città, ma che non poteva modificare la condanna di Sisifo di chi lo aveva trovato. Allo zolfo lavoravano, fino alla fine dei propri giorni e per generazioni, gli avanzi della società, i reietti, i disperati, i diseredati della Terra”.
La genesi dello zolfo nell’Isola e la storia del Mediterraneo
Tozzi mette in evidenza che: “In Sicilia lo zolfo non ha un’origine vulcanica, ma sedimentaria, che risale a 6-7 milioni di anni fa, quando l’isola era assai diversa da ciò che è oggi e il Mediterraneo, anziché un mare, era una distesa di terra punteggiata da grandi laghi salmastri frequentati da animali ormai perlopiù estinti. La Terra non smette di conservare, dentro se stessa, le tracce del suo passato remoto”.
Una lettura molto interessante con molte cose da scoprire o riscoprire…
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