Il 2024 del Bellini di Catania debutta con il sold out di “Turandot”

Sold out per le sette rappresentazioni dal 12 al 20 gennaio. Il Bellini apre il centenario di Puccini inaugurando la Stagione di opere e balletti con il capolavoro incompiuto che verrà eseguito con il finale alternativo di Luciano Berio. Sul podio Eckehard Stier; la regia è di Alfonso Signorini. I soprani Daniela Schillaci e Anastasia Boldyreva si alterneranno nel title role, il tenore Angelo Villari sarà Calaf

Il 2024 del Bellini di Catania debutta con il sold out di “Turandot”

Sarà un’edizione di Turandot davvero speciale quella che inaugurerà la nuova Stagione di 0pere e balletti del Teatro Massimo Bellini di Catania. Un autentico evento che celebra il primo centenario della morte di Giacomo Puccini, proponendone a ragione il capolavoro postumo, allestito in una sontuosa produzione che schiera un cast stellare e prevede il finale alternativo di Luciano Berio, prima d’ora mai eseguito nel tempio etneo della musica. Ed è già sold out per le sette rappresentazioni in calendario dal 12 al 20 gennaio, traguardo che si pone in continuità con il reiterato successo di pubblico e di critica che nell’ultimo quadriennio ha premiato l’attività artistica dell’ente, guidato dal sovrintendente Giovanni Cultrera di Montesano.

Elvira Amata, assessore del Turismo, Sport e Spettacolo della Regione Siciliana, ha sottolineato la qualità dei programmi del Teatro Massimo Bellini e la caratura che riveste nel panorama culturale. Ad illustrare in generale i traguardi raggiunti e i progetti  futuri è si è soffermato in apertura e chiusura il sovrintendente Cultrera, al tavolo dei relatori insieme con il  direttore artistico Fabrizio Maria Carminati, il direttore d’orchestra Eckehard Stier, il regista Alfonso Signorini, il direttore amministrativo Salvatore Vicari. Erano inoltre presenti nei posti d’onore il Grand’Ufficiale Luigi Albino Lucifora e i membri della folta, qualificata compagnia internazionale. 

Da sinistra Eckehard Stier, Fabrizio Maria Carminati, Giovanni Cultrera, Alfonso Signorini, Salvatore Vicari, Caterina Andò

Sul podio ritorna dunque il maestro tedesco Eckehard Stier, autorevole direttore ospite principale; la prestigiosa messinscena è firmata da Alfonso Signorini. Il dramma lirico in tre atti di Giuseppe Adami e Renato Simoni  rivivrà nello spettacolare allestimento che vede insieme il Festival Pucciniano di Torre del Lago e il Teatro Nazionale Georgiano di Tbilisi, con le scene di Carla Tolomeo e i costumi di Fausto Puglisi, le une e gli altri ripresi da Leila Fteita.

Nel cast vocale i soprani Daniela Schillaci e Anastasia Boldyreva si alterneranno nel title role;  i tenori Angelo Villari e Marco Berti in quello del principe ignoto Calaf;  i soprani Elisa Balbo  e Cristina Arsenova nelle vesti di Liù;  i bassi George Andguladze e Gianfranco Montedoro in quelle di Timur. Il tenore Vincenzo Taormina, il baritono Salvatore Pugliese e il basso Blagoj Nacoski saranno  rispettivamente i dignitari imperiali Ping, Pang e Pong. Completano la compagnia il tenore Mario Bolognesi  nelle vesti dell’imperatore Altoum e il basso Tiziano Rosati un quelli di un mandarino. 

Il soprano Daniela Schillaci

In primo piano ancora una volta le pluripremiate formazioni artistiche dell’ente lirico etneo, ovvero  l’Orchestra e il Coro, quest’ultimo sapientemente  preparato da Luigi Petrozziello e affiancato per l’occasione dal Coro interscolastico di voci bianche Vincenzo Bellini, istruito da Daniela Giambra.

Il libretto di “Turandot”, firmato a quattro mani  dai poeti Giuseppe Adami e Renato Simoni, ha come fonte letteraria la tragicommedia Turandotte, che rientra tra le dieci «fiabe drammatiche» del conte Carlo  Gozzi,  rappresentate a Venezia tra il 1761 e il 1765, segno della dichiarata polemica che opponeva il nobile ‘reazionario’ al concittadino  Carlo Goldoni, avvocato di estrazione borghese. Alla visione realistica  e illuminista di quest’ultimo, Gozzi contrappone l’universo fiabesco, irreale e simbolico, a quello audace della commedia dell’arte.

Il soprano Anastasia Boldyreva

Oltre due secoli e mezzo dopo vedrà la luce la partitura che  terrà impegnato sor Giacomo e i suoi librettisti fin dalla primavera del 1920: una dura fatica di ben  quattro anni che consentì a Puccini di portare l’opera quasi a termine, ma non completamente. Lo attraeva e turbava quella  vicenda, ambientata «A Pekino al tempo delle favole»; era una sfida dare voce al  coraggio ma anche all’ossessione del  principe Calaf, esiliato e in incognito, accesso d’improvviso amore per la divina bellezza della principessa Turandot. Né egli teme di finire sotto la mannaia del boia che ha colpito i nobili pretendenti,  incapaci di risolvere i tre enigmi a cui Turandot li ha sottoposti  per vendicare l’abuso millenario  subito dalla sua antenata. Ma Calaf  ha tutte le risposte: sangue, speranza e soprattutto ancora e sempre Turandot. Ha vinto e tuttavia rilancia di fronte  alla riluttanza della donna, dichiarandosi nuovamente  pronto a morire se lei saprà scoprirne il nome.

Ma al posto del  principe ignoto sacrifica se stessa la schiava Liù, che si è  presa cura del re Timur, il vecchio padre di Calaf. Ed è per amore di quest’ultimo che la schiava si toglie la vita pur  di non rivelarne l’identità. Nel dicembre del 1923 Puccini è  fermo a questa scena. Nel novembre 1924 la malattia mortale spegne il musicista, ormai fermo da un anno su quelle note. Non c’è tempo e soprattutto non c’è  più spazio, nell’universo creativo del compositore, per ricucire lo strappo e trasformare la principessa di gelo in una donna innamorata.

Il tenore Angelo Villari

L’opera debutta postuma il 25 aprile 1926. Sul podio della prima Arturo Toscanini depone la bacchetta proprio a conclusione della morte di Liù, rivolgendosi  al pubblico con la celeberrima giustificazione: «Qui il Maestro è morto». Nelle recite seguenti gli subentrò il direttore Ettore Panizza e venne eseguito il completamento del terzo atto approntato dal compositore Franco Alfano sugli appunti pucciniani.

Si dovrà attendere il 2001 per ascoltare un nuovo finale di Turandot, commissionato dal Festival de Música de Canarias a Luciano Berio, che parte anch’egli dagli abbozzi  lasciati da Puccini. Questo materiale ha il suo punto più controverso nell’episodio del bacio, abbozzato in un solo foglio, stando alla ricostruzione di Powers e Ashbrook. È basandosi su questa pagina che Berio costruisce un ampio episodio sinfonico, mentre  l’ispirazione di Alfano si era  contenuta  in sedici nuove battute, ulteriormente ridotte a un solo accordo seguito da pochi colpi di timpano nella versione definitiva.  

Ma Turandot è  veramente la grande incompiuta di Puccini, o è dotata di una prodigiosa coerenza interna, come dimostrano le diverse edizioni che seguono l’esempio di Toscanini o adottano le altre opzioni?

L’importante, come dimostra l’odierna edizione catanese, è percorrere con curiosità le varie strade che la genesi dell’opera suggerisce, fino ad esplorare gli interventi successivi . E lasciarsi rapire dalla stupefacente architettura della partitura. 

Affascinato e in ossequio all’esotismo in voga, Puccini studiò autentiche melodie cinesi e utilizzò temi dal  carillon dell’amico barone Fassini. Il compositore crea nuove  soluzioni timbriche, sospese tra vigore e ricercatezza, rimpolpando le percussioni con inserimento di idiofoni, quali la celesta, lo xilofono, le campane tubolari e finanche il  glockenspiel. Di inedita preponderanza sono anche le scene corali in cui emerge la sottomissione del popolo alla follia del potere,  che non riesce a risanare le proprie ferite. Ad alleggerire la tesa atmosfera di morte arrivano nei momenti cruciali i tre ministri imperiali Ping, Pong e Pang, ormai disincantati fino al cinismo, ma in grado di inquadrare con razionalità che il rischio della catastrofe è tutto nel rapporto conflittuale e tossico che Turandot ha instaurato nei confronti del genere maschile. Una coazione a ripetere, la sua, mirata a  punire un’inesauribile peccato. La sua furia disumana cesserà quando sarà finalmente  in grado capire che la violenza non si ripara con altra violenza, ma si purifica  nell’esplosione ancora più deflagrante dell’Amore.

Georgia e Sicilia più vicine grazie al Teatro Massimo Vincenzo Bellini di Catania

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