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Viola Graziosi e la rivalsa femminile di Clitemnestra, Medea e Circe, ragioni e dolori della donna senza tempo

Recensioni Unica protagonista nei tre ruoli la straordinaria Viola Graziosi che disegna i tre profili con estrema misura e grande forza. Per il festival Mediterrartè, il Teatro Massimo Città di Siracusa ha ospitato dal 18 al 20 settembre le tre pièce teatrali dirette da Giuseppe Dipasquale messinscena della trilogia "Donne del mito" di Luciano Violante, narrazione nuova dei miti riscritti dalla parte di non aveva voce e oggi lotta per averla

“Donne del mito: Clitemnestra, Medea, Circe” di Luciano Violante, con la regia di Giuseppe Dipasquale e Viola Graziosi unica protagonosta sul palcoscenico, andata in scena dal 18 al 20 settembre al Teatro Massimo Città di Siracusa all’interno della rassegna Mediterrartè, è una delle più interessanti trilogie teatrali di queste ultimi anni.  Dipasquale, dallo scorso giugno direttore artistico di Marche Teatro, i testi teatrali di Luciano Violante, ex magistrato e già presidente della Camera, li ha cuciti addosso ad un’attrice straordinaria. Il risultato è un “abito drammaturgico” fatto di parole, lacrime, dolori e speranze che commuove e fa riflettere.

Clitennestra, Medea, Circe sono la stessa donna divisa in tre processi di vita differenti e, al tempo stesso, uguali. Un dialogo tra mito e giustizia che Giuseppe Dipasquale intreccia sulla scena. Viola Graziosi appare da subito interprete matura ed essendo empaticamente legata al mito da sempre, disegna i tre profili sin dall’inizio con estrema misura e grande forza.

Il risultato di questi tre giorni è di grande impatto, emotivo ed estetico. Emotivo perché con queste donne il pubblico riesce a condividere ragioni e dolori. Estetico perché si apprezza di tutti e tre gli spettacoli la purezza cromatica e simbolica delle luci e l’arredo di scena minimalista perché l’unica protagonista deve essere lei, l’interprete che, a tratti disperata, a tratti posseduta, a tratti furente, del mito riesce a farti vivere ogni sillaba del racconto. Clitemnestra, la prima protagonista, moglie di Agamennone che uccide al ritorno dalla guerra, è donna dai mille dolori. Il più grande, la morte della figlia Ifigenia per mano del marito e su suggerimento del cognato Menelao, è quello che non si può perdonare. Clitemnestra di Viola Graziosi avanza dalla platea con calze lacerate, collana di perle al collo, sdrucito segno di una borghesia scolorita. I capelli biondi sono raccolti con una fascia. La sua Clitennestra è donna dolorante ma libera. Per questo decide di tracciare da sola il suo destino, per la prima volta nella sua vita.

Viola Graziosi arriva in scena in giacca nera succinta e vestito/sottana, la sua è una presenza discreta, il suo racconto è lucido. La vita rinasce prendendo il largo, ridisegnando l’esistenza solitaria che solo Achab, il vecchio marinaio può condividere, anche lui alla ricerca di un nuovo destino da scrivere, anche lui testimone della vita contemporanea.

Viola Graziosi è Clitemnestra

Quella barca che con Clitennestra è segno di libertà, con Medea diventa il simbolo della fuga, dell’assassinio e della nuova vita da condividere con un marito fedigrafo.

Un’altra scena di Clitemnestra

Al  mito si aggiunge un altro tassello. Viola Graziosi è Medea, la belva straniera che – come lei stessa dice – in tempo di quiete sarebbe stata una leonessa. Qui l’antica trireme, posta al centro della scena, diventa alcova dei due amanti assassini, prima di giungere a Corinto, ma anche letto matrimoniale ricoperto di petali di rose e luogo di infanticidi. Medea è donna feroce, lo si vede dai tratti dipinti in viso, dallo sguardo, dalle braccia tese come armi. Giasone è lo “stupido greculo” e nella scrittura di Luciano Violante la fuga della donna è verso l’isola a tre punte, la Sicilia. Medea, regina degli incantesimi, del veleno delle erbe e dei fiori, combatte contro la mafia, diventa l’emblema della libertà. Il mito si piega alla contemporaneità, si fa portavoce di una rinascita, di una giustizia anelata.

Viola Graziosi è Medea

Infine, il terzo atto vede l’attrice impegnata con il personaggio di Circe, il più struggente. Non è la maga crudele piuttosto la donna che per dieci anni ha accolto nella sua casa e nel suo ventre l’uomo bugiardo, il vigliacco Ulisse che dirà di non aver amato che la propria moglie, Penelope. Bisogna aver coraggio ad affrontare le tempeste – dice Circe – è proprio vero. Lei rimane seduta su un trono regale posticcio, da dove racconta in terza ed in prima persona (bravissima) la sua avventura ed il suo amore per Ulisse, il traditore, come Giuda Iscariota, il tessitore di inganni, uomo inseguito dalle sue stesse menzogne e tradimenti.

Viola Graziosi nei panni di Circe

Luciano Violante ci regala una narrazione nuova dei miti, a tratti commovente, a tratti impietosa. Il regista Giuseppe Dipasquale ne ridisegna sulla scena, fedelmente, tutto il sapore di una rivalsa femminile, di una storia riscritta dalla parte del dolore, dalla parte di chi non aveva voce ed, oggi, invece lotta per averla. Una grande pagina di scrittura, di regia e di interpretazione.

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