Recensioni
Repliche a Catania fino all'8 agosto per "ETerNA. A vucca l'amma", testo di Luana Rondinelli e regia di Nicola Alberto Orofino, dove la vera primadonna è stata la bella e terribile Etna di cui un cast di grandi attori narra tutti i sentimenti di una tragedia storica, l’eruzione del 1669 che distrusse Catania
E’ un bel momento questo, ricco di piacevoli sorprese, per il teatro catanese. Grazie a un team di registi e attori bravi, preparati e volenterosi, che hanno scelto di sfidare la sorte e continuare ad operare in Sicilia, vengono alla luce infatti produzioni sfiziose lontane dal solito déjà-vu.
E’ il caso dell’ultima piéce in scena nella bella corte del Castello Ursino di Catania fino all’8 agosto, ETerNA A vucca l’amma, testo inedito della marsalese Luana Rondinelli, terzo e ultimo titolo della rassegna “Estate a Castello Ursino”, prodotta e realizzata dal Teatro Stabile di Catania in collaborazione con il Comune di Catania, allo scopo di promuovere la nuova drammaturgia siciliana e gli artisti isolani, come ha ben sottolineato la direttrice del TSC Laura Sicignano.
Roberta Amato, Gianmarco Arcadipane, Alessandra Barbagallo, Francesco Bernava, Giorgia Boscarino, Daniele Bruno, Marta Cirello, Cosimo Coltraro, Egle Doria, Valeria La Bua, Silvio Laviano, Giovanna Mangiù, Marcello Montalto, Lucia Portale, Luana Toscano, sotto l’attenta e originale regia di Nicola Alberto Orofino, che abbiamo già avuto modo di apprezzare in altre valide produzioni, (dall’Ippolito andato in scena a Sperlinga a 68 punto e basta alle Ciminiere), indossando i bei costumi di Vincenzo La Mendola, hanno portato in scena tutti i sentimenti di una tragedia storica, l’eruzione del 1669 che distrusse Catania dopo ben 100 giorni, su un ampio scenario dove Orofino ha creato cinque spazi drammaturgici che si intersecano, facendo muovere i catanesi di tutte le classi sociali, diversi sì, ma tutti civitoti accomunati dall’umana paura dinanzi alla forza travolgente della Natura.
Storia di una tragedia, dunque, ma rivissuta con spirito ironico e dissacrante, che ha perfino offerto agli spettatori momenti esilaranti: i dialoghi tra le nobili signorine salottiere, le battute tra i popolani, ma soprattutto i battibecchi tra i santi, muniti di singolari e rudimentali aureole, hanno strappato tante risate al pubblico, affascinato anche dai camaleontici cambi di costume, come quello che ha restituito d’improvviso in scena una schiera di suore osannanti.
Silvio Laviano è stato uno splendido e vigoroso Sant’Euplio, umano nella sua bonaria invidia nei confronti della santa più amata dai catanesi, quella Agata portata sulla scena dalla sempre brava e incisiva Egle Doria; Luana Toscano ha incarnato in tutta la sua terribilità l’inquietante figura della “mavara”, Lucia Portale è stata una strepitosa baronessa, mentre Alessandra Barbagallo ha interpretato con la sua innata dolcezza Mascalucia, una donna del popolo che, rimasta vedova, trova una bimba e, per mantenerla, decide di fare “la vita”, e Giorgia Boscarino (che era stata un meraviglioso Ciaula nella messa in scena di Pirandello dell’estate scorsa) ha incarnato con intensità Gravina, una donna-bambina che non ha voce, ma si è rivelata davvero magnifica nelle vesti di sant’Alfio, con una vis comica da lode. Ma grande si è rivelato il gioco di squadra perché questi attori hanno ormai raggiunto un affiatamento straordinario, che in scena fa davvero la differenza.
Uno spettacolo dominato dunque dall’evocazione rappresentativa, dove la vera primadonna è stata, a ben riflettere, la nostra bella e terribile Muntagna che colpisce alla vucca l’amma, la bocca dello stomanco: e sembrava davvero di vederla, la grandissima quantità di cenere che cadde minacciosa su tante località del versante etneo, e contemporaneamente di sentire il forte tremore vulcanico e il collasso improvviso, con enorme boato, del cratere centrale, ben sottolineati dal sapiente gioco di luci di Salvo Costa, che ha rivestito la corte del Castello Ursino di un inquietante e metaforico rosso lava e sangue: perchè “a tutto ci si abitua, alle fratture del cuore come a quelle della terra”.
Il tutto condito da belle canzoni, da Mannarino a Carmen Consoli, che con il suo refrain della “Finestra”: “Chi ci aviti di taliari, ‘un aviti autru a cui pinsari, Itavinni a travagghiari” ha concluso, tra grandi applausi, la bella performance.
Il teatro a Catania è davvero vivo. Vivo e risorto, come la bella città dopo l’eruzione del 1669…