Antonio Di Grado è stato professore di Letteratura italiana nell’ateneo catanese. A novembre 2019 è tornato in libertà (cioè è andato in pensione, dopo quasi mezzo secolo di appassionato insegnamento). Ha avuto la fortuna di incontrare due grandi maestri come il filologo e italianista Salvatore Battaglia, cugino della madre, e Leonardo Sciascia; quest’ultimo lo nominò direttore della Fondazione che gli sarebbe stata intitolata. Ha scritto un po’ di tutto, da Dante a Leon Battista Alberti, da Domenico Tempio a De Roberto, Vittorini, Brancati, Sciascia, etc. E tuttavia si definisce un dilettante, perché legge e scrive con (e per) diletto. Poco si cura della logica e della coerenza, anzi le ritiene letali. E gli ripugnano gli apparati di nozioni infalsificabili che piombano come lastre tombali sulle attese e sulle speranze dei malcapitati allievi. All'algido saggio accademico, alle concatenazioni causali di stampo anglosassone, preferisce lo stile divagante e colloquiale, le fortuite analogie, l’indeterminazione e l’impermanenza della "causerie". Il suo modello? Manoel Francisco dos Santos, detto Garrincha, il cui saltello claudicante, che fu il più ubriacante dei dribbling, è quanto di più simile allo zigzag obliquo e avvolgente della conoscenza. Così come anarchica è la sua pratica di lettore e di studioso, insofferente di canoni e "metodi", allo stesso modo sono libertarie, eretiche, dissenzienti le sue convinzioni politiche, che oscillano tra il Qohelet biblico e Tolstoj, tra Leopardi e Totò. Nel suo passato “engagé”, è stato assessore comunale alla cultura e presidente del Teatro Stabile etneo. Vive felicemente con la moglie, la scrittrice e giornalista Elvira Seminara, e vanta due figlie: Viola, anche lei scrittrice, e Marta, psicologa. Convertito alla fede evangelica nella chiesa valdese, è ancora e sempre alla ricerca delle molteplici manifestazioni del Divino, nella sua come in altre fedi.
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