Sugnu Sicilianu La sex worker del quartiere a luci rosse catanese, in risposta al Daspo urbano in vigore dal 2 maggio, ha stilato un "Manifesto dei diritti e dei doveri delle prostitute di San Berillo" che va ben oltre la questione comunale, nella speranza di un dialogo con le istituzioni. «Chiediamo di essere ascoltati su leggi e ordinanze che ci riguardano»
«La prostituzione esiste, è un fenomeno che non si può ignorare. Per questo noi chiediamo di essere ascoltati e tenuti in considerazione quando si fanno leggi e ordinanze che ci riguardano. Siamo soggetti deboli ma non siamo deliquenti, per questo ci piacerebbe avere un confronto con le istituzioni».
Franchina – alias Francesco Grasso, sex worker di San Berillo -, è conosciuta ai più come protagonista del film della regista Maria Arena “Gesù è morto per i peccati degli altri” (2014) e come autrice del libro “Davanti alla porta”.
Ma Franchina è molto di più: per il suo quartiere è un punto di riferimento, una persona che aiuta gli altri – sex worker, migranti, occupanti – e che cerca sempre di proporre soluzioni a problemi contingenti. E soprattutto è una di quelle persone che non si rassegna a stare a guardare mentre qualcun altro decide come affrontrare questioni che la riguardano. «Siamo una categoria fragile – dice – è vero, ma una categoria è fatta di persone, di esseri umani e come tali vanno trattati».
E così, qualche mese fa, proprio in risposta ai primi cenni sul Daspo urbano (decreto ministeriale sulla sicurezza urbana, presentato dal ministro dell’Interno, Marco Minniti e approvato dal Consiglio dei ministri che concede ai sindaci il potere di ordinanza per ripulire “le città” da tutto ciò che è “indecoroso”), Franchina ha stilato, con data 26 marzo 2017, un Manifesto dei diritti e dei doveri delle prostitute di San Berillo, mettendo su carta alcune idee che le frullavano in testa da tempo e facendolo poi firmare ad altre sex worker del quartiere, con l’intenzione di presentarlo, prima o poi, magari all’amministrazione comunale, in modo da aprire un dialogo con le istituzioni e far sapere che «le prostitute di San Berillo vogliono collaborare».
Il manifesto, firmato anche da altre prostitute, è stato distribuito come volantino tra le viuzze del quartiere (una copia gigante è stata esposta sulla vetrata di Palazzo De Gaetani, sede del laboratorio audiovisivo di Trame di Quartiere) a significare una volontà di collaborare delle prostitute, ma dalle strade del quartiere San Berillo, non era ancora venuto fuori. Fino ad ora, almeno. Perché ora – esattamente dal 2 maggio – in città è in vigore l’ordinanza del sindaco Enzo Bianco secondo cui “è fatto divieto a chiunque nelle aree, nei luoghi pubblici, spazi aperti o visibili al pubblico di porre in essere comportamenti diretti, in modo non equivoco, ad offrire prestazioni sessuali a pagamento”.
E anche se di fatto San Berillo non “dovrebbe” rientrare tra le vie interessate dall’ordinanza (piazza Europa, Circonvallazione zona est nei tratti di viale Ulisse e viale Andrea Doria, Lungomare Zona San Giovanni Li Cuti, viale Africa, piazza dei Martiri, via VI Aprile, via Luigi Sturzo, corso Martiri della Libertà e vie limitrofe, via Marchese di Casalotto, via Dusmet, via Cristoforo Colombo, via Domenico Tempio, via Acquicella Porto, rotatoria Faro Biscari) oggi quel confronto è diventato più urgente.
E allora, il manifesto di Franchina, in cui si sottolineano anche questioni che esulano dalla questione comunale come il “riconoscimento della prostituzione come un lavoro che abolirebbe in automatico il reato di favoreggiamento di tutti i proprietari di immobili che concedono le case in affitto” (che ricade quindi nel diritto penale e quindi di ordine nazionale) ora è uscito dal perimetro quartiere.
«Le prostitute di San Berillo – si legge – si impegnano ad osservare i principi esposti nel presente documento a tutela delle condizioni di esercizio del servizio e di una pacifica convivenza con gli altri abitanti del quartiere». Seguono 11 punti che vanno dalla “pacifica convivenza tra gli abitanti del quartiere” alla volontà di “prevenire fenomeni di diffusione di infezioni”, dal regolamentare l’orario di esercizio dalle 7 all’1 di notte e in ambienti dotati di essenziali servizi igenici” fino all’istituzione di un fondo cassa costituito da contributi volontari”.
«La chiusura delle Case Chiuse – dice Franchina – fu disposta per una reale esigenza delle donne che erano costrette a prostituirsi nei bordelli. Nel 1958 la legge Merlin liberò le donne da quella schiavitù: allora aveva un senso. Le prostitute che invece oggi si autoregolano, sono libere di vivere del loro lavoro, vivono una situazione completamente diversa».