Libri e Fumetti Lo scrittore di Gerusalemme ospite dell'anteprima di Taobuk per presentare "Applausi a scena vuota": «Nella mia vita non ho mai conosciuto la pace, ma non smetterò mai di considerarla possibile e necessaria»
“Shalom”: David Grossman saluta i suoi lettori, che da tutta la Sicilia e dalla Calabria si sono spostati per incontrarlo a Taormina. Un saluto che è sinonimo di pace. L’emozione è subito tangibile, attraversa elettrica la grande sala stracolma, per una serata destinata a restare impressa nella memoria.
L’appuntamento con il grande scrittore israeliano si è confermato un autentico evento culturale, fortemente voluto da Antonella Ferrara, presidente di Taobuk, il festival letterario che si è assicurato in esclusiva per la Sicilia la partecipazione di uno tra i massimi autori viventi. E Grossman ha accolto con entusiasmo l’invito del festival taorminese delle belle lettere, felice e onorato di essere accolto in una città palpitante di cultura, di storia e di letteratura, «dove mi sento perciò davvero a casa».
Nella Sala Chiesa dell’Hotel San Domenico, davanti a più di 500 persone, il sindaco di Taormina Eligio Giardina ha consegnato all’illustre ospite una targa, realizzata in collaborazione con il Rotary Club Taormina, dall’eloquente dedica “A David Grossman, Narratore di vita, Testimone di pace”, quale omaggio che l’intera città vuole tributare ad un sommo artista che ha scelto la via dell’impegno civile e non ha mai smesso di battersi per la risoluzione pacifica dei conflitti in Medioriente. E la pace è da sempre l’aspirazione costante di Grossman, emersa nel corso della conversazione dai continui riferimenti al conflitto israelo-palestinese, insieme all’inutile sofferenza su entrambi i fronti.
Non ha nuociuto all’intenso scambio la scelta di evitare domande dirette sui politici o relative alla tragedia personale dello scrittore che la guerra ha privato del figlio primogenito: la feroce realtà di due popoli in armi da 70 anni è emersa in tutta la sua crudezza, sia per il macrocosmo sociale che per il microcosmo dei singoli.
La Perla dello Jonio ha vissuto così un’esaltante anteprima in vista del festival che si svolgerà dal 19 al 25 settembre. «Non a caso – ha sottolineato Antonella Ferrara – come sottotitolo della serata abbiamo scelto “Aspettando Taobuk”. La presenza di Grossman ci permette di anticipare la tematica della quinta edizione, “gli ultimi muri”, incentrata sulle lotte passate e presenti contro le infinite declinazioni dell’intolleranza e delle sperequazioni sociali». Il parterre è quello delle grandi occasioni. Tra il pubblico anche l’assessore regionale al Turismo Cleo Li Calzi e il sindaco di Catania Enzo Bianco.
È un Grossman sempre sorprendente, eppure fedele a se stesso, quello che ha presentato all’attenta platea il nuovo romanzo “Applausi a scena vuota”, edito per i tipi di Mondadori. A condurre la conversazione la stessa Antonella Ferrara insieme al prestigioso giornalista e scrittore Franco Di Mare, direttore scientifico di Taobuk e animatore di un serrato dialogo, mentre le letture sono state affidate al vigore di un gigante della scena come Vincenzo Pirrotta, che ha esaltato l’intrinseca teatralità del testo, dichiarata già nel titolo.
“Applausi a scena vuota” si svolge a Netanya, piccola cittadina a Nord di Tel Aviv. Protagonista è il comico Doval’e. E come tutti i comici cela e dissimula una voragine tragica. L’azione si apre sul palcoscenico deserto. Un cabarettista piomba sul palco. Tra il pubblico un magistrato, suo amico d’infanzia. Deve giudicare la vita intera di quel ragazzino che al campeggio paramilitare era stato raggiunto dalla notizia della morte di un genitore ed era dovuto partire per arrivare in tempo al funerale. Ma chi è morto? Il giovane ha un viaggio intero nel deserto per torturarsi con l’angoscia di un calcolo oscuro che gli avvelena la testa: mio padre o mia madre?
«Raccontare una storia e raccontarla bene»: così lo stesso Grossman riassume la sua missione di scrittore. Come ci ha abituati, anche in “Applausi a scena vuota”, il suo linguaggio semplice e pregnante ci porta dentro la narrazione, ci obbliga a guardare dentro di noi.
«Un mio amico – svela – ha vissuto realmente la crudeltà di essere condotto al funerale di uno dei genitori senza sapere chi fosse dei due. Questa storia mi ha “abitato”, quasi ossessionato per oltre 25 anni, ma non sapevo in che modo raccontarla, quando improvvisamente mi è venuta l’idea di un’ambientazione “teatrale”, di un one man show affidato ad un cabarettista la cui vita è stata stravolta da un profondo trauma, per approdare ad una combinazione tra humor e horror, tra risata e tragedia». La traduzione simultanea è stata resa da Marina Astrologo con accuratezza e sapiente immedesimazione.
«La comicità e il suo portato grottesco – prosegue – sono spesso una via obbligata che consente all’individuo come alla collettività di affrontare con maggiore lucidità la crisi e non lasciarsi sopraffare da essa. Lo sappiamo bene in Israele dove il sense of humor è un alleato giornaliero per una guerra eterna da affrontare day by day. Ma questo deve condurci a leggere bene in noi stessi, come accade a Doval’e. A capire chi realmente siamo. Qual è la vita che vogliamo vivere e non quella che ci è imposta, vuoi dalla famiglia vuoi dalla società. Israeliani e palestinesi devono chiedersi se davvero vogliono vivere di odio. Se piuttosto non debbano uscire dalla logica e dal tunnel della guerra, e lottare invece per la pace, perché è quella la vita vera cui aspirare e la via per la loro libertà».
La categoria del genere comico consente a Grossman di inquadrare la violenza e l’aggressività che caratterizza negativamente la politica in Israele. «Non abbiamo più la forza e la pazienza di guardare dentro le ferite aperte. Ogni argomento può essere ridicolizzato, il dibattito politico ha assunto i toni di uno spettacolo dalla comicità deteriore». E alla considerazione di Franco Di Mare che proprio un comico abbia in Italia più del 20 per cento dell’elettorato, Grossman replica: «Beppe Grillo? Fra l’Italia e Israele non so chi vince la gara a chi ha i politici più comici».
Dalla comicità dei fatti, Grossman distingue bene l’umorismo, quale fondamentale risorsa per affrontare la grave crisi che il mondo intero sta attraversando, la sola via per non rimanere schiacciati dalla volgarità e della sopraffazione. «Si arriva ad un punto in cui non si ha più scelta. Il proverbiale umorismo ebraico ha in questo senso una base di necessità. Quando non hai vie d’uscita, puoi vedere il lato buffo della guerra, della violenza. Persino nella Shoah, come fa il protagonista del romanzo: ma solo un ebreo ha questo diritto».
E non è vero che quelli di sinistra non sono capaci di ridere, secondo la propaganda di destra invalsa in Israele, che vorrebbe gli altri tutti aridi, intellettualoidi, acidi. «Volete la prova del contrario? Guardate me, sono di sinistra eppure così emotivo. La risata va a braccetto con l’immaginazione, con la fantasia, prime profonde radici di libertà. L’immaginazione è un organo astratto dell’essere umano, un luogo dentro di noi che nessuno può violare o domare. Saper immaginare un futuro diverso è già gettare il seme del cambiamento. Israeliani e palestinesi devono avere la forza di immaginare la vita “naturale” che meriterebbero di vivere e che non è quella imposta dal giogo della guerra. Ciò che è normale, qui sembra impossibile. Israele e Palestina pensano che la pace sia una chimera irrazionale, che l’altro sia necessariamente, e solo, il nemico da combattere. Invece abbiamo l’obbligo morale di aprici alla pace. Per entrambi i popoli si può e si deve prospettare un altro modo di vivere e convivere che è già nel profondo delle coscienze. Molto dipende dalle scelte e dal coraggio dei nostri leader. Anche per l’Unione Europea e per gli Stati Uniti si prospetta l’ultima chance affinché Israele e Palestina riprendano il dialogo di pace».
Ancora e sempre la pace. Come emerge dall’acuto scambio di battute con Franco Di Mare, per tanti anni coraggioso inviato di guerra. E quando Antonella Ferrara gli chiede cosa resta oggi della cultura mediterranea, un tempo unificante, Grossman rimpiange il prevalere dell’omologante occidentalizzazione, mentre i popoli del Mare Nostrum hanno sviluppato nei millenni quei valori di dolcezza e pazienza, tolleranza e accoglienza, che soli possono assicurare la convivenza tra genti di differenti razze, religioni, costumi. Una ricetta antichissima per quella pace che Grossman non ha assaporato «nemmeno per un istante». «Nella mia vita non ho mai conosciuto la pace, ma non smetterò mai di considerarla possibile e necessaria».
Ed è interminabile l’applauso che precede la lunga fila per ottenere il suo prezioso autografo e il suo personale e rinnovato saluto. Che è ancora tutto in quella parola ebraica che significa il contrario di guerra. “Shalom”.