Eventi Regina José Galindo, tra le più importanti artiste contemporanee e performer internazionali, porta all'Orto Botanico di Palermo, giovedì 23 aprile la sua nuova performance ideata per la città
Regina José Galindo, tra le più importanti artiste contemporanee e performer internazionali, vincitrice del Leone d’Oro alla 51. Biennale di Venezia come migliore giovane artista, il 23 aprile presenta all’Orto Botanico di Palermo il suo nuovo progetto di performance, Raíces, appositamente ideato per la città.
La performance Raíces recupera il rapporto con la natura, uno degli aspetti centrali del lavoro nell’opera di Regina José Galindo, che – inserendosi nel solco di una tradizione già forte nella ricerca delle artiste storiche del Sud America – ha sempre guardato alla natura generatrice, forte e accogliente come “luogo” d’elezione. L’Orto Botanico di Palermo, che per la sua particolare collocazione si trova a far da cerniera tra il mare e la città, ospita specie di piante provenienti da tutto il mondo, microcosmo naturale di un giardino universale che nasce per dono e per incontro. È qui che Regina José Galindo, insieme ad un gruppo di performer che rappresenteranno le differenti etnie della città di Palermo, racconterà una storia antichissima eppur attuale, in cui corpi, foglie e terra di molti mondi recuperano il lessico comune per manifestare la propria esistenza e per rintracciare radici comuni. La performance si concentra sul più ampio significato di sradicamento: l’artista propone una riflessione a partire del parallelismo tra le piante presenti nell’Orto Botanico – che provengono da tutto il mondo (molte trasportate qui illegalmente dalla fine del XVIII secolo) e che oggi costituiscono il paesaggio dell’Orto – e le comunità straniere radicate a Palermo.
Raíces performance di Regina José Galindo a cura di Giulia Ingarao, Paola Nicita, Diego Sileo.
L’arte di Regina José Galindo (Città del Guatemala, 1974)ruota attorno all’uso della propria corporeità per denunciare la violenza contro le donne e più in generale quella sociale, politica e culturale della società contemporanea, inserendosi nel solco della linea d’indagine aperta da Ana Mendieta e Marina Abramovič negli anni Settanta del Novecento. Nelle sue performance, che definisce «atti di psicomagia» a sottolinearne la carica emotiva e la sofferenza di cui si fanno portatrici, l’artista opera con gestualità aggressiva sui propri limiti fisici e psicologici e trasforma così il proprio corpo nel teatro di un conflitto permanente, esemplificando i drammi vissuti dal popolo guatemalteco e dalla società umana in generale. Partecipa alla Biennale di Venezia nel 2001 e nel 2003 mette in scena ¿Quién puede borrar las huellas?, performance in cui attraversa Città del Guatemala a piedi nudi, fermandosi di tanto in tanto per immergerli in un bacile di sangue umano e lasciare orme insanguinate come atto di denuncia contro la ricandidatura del generale ex dittatore Efraín Ríos Montt alla presidenza del Guatemala. Nel 2005 vince il Leone d’oro come giovane artista alla Biennale di Venezia con Himenoplastia, una performance sul tema della verginità come imposizione istituzionale, presentando in video un intervento di ricostruzione del proprio imene. Nel 2007 presso la Fondazione Volume! a Roma, inscena Cepo incatendosi per un’intera notte al muro che costeggia l’adiacente carcere di Regina Coeli, per creare un parallelismo con la condizione dei detenuti al di là del muro.