Sicilia antica Nonostante sia un bene vincolato dalla Soprintendenza, il complesso monumentale del capoluogo siciliano, risultato di una stratificazione plurisecolare che probabilmente inizia nel periodo romano e vede i migliori risultati con la cultura musulmana, dopo aver vissuto varie fasi di abbandono e di restauro è stato abbandonato al degrado di oggi
Il padiglione dell’Uscibene (u’ scibene) di Palermo è un complesso monumentale composto di architetture e paesaggio: risultato di una stratificazione plurisecolare che probabilmente inizia nel periodo romano e vede i migliori risultati con la cultura musulmana. Successivamente si registrano varie fasi di abbandono e restauro sino al degrado dei nostri giorni con il piccolo intervento provvisionale del 2017/2018 effettuato dalla Soprintendenza del capoluogo siciliano.
L’Uscibene è costituito da un blocco roccioso con grotte sulla sinistra e vie d’acqua “naturali” e/o “artificiali” sulla destra, da alcuni resti murari di periodo romano (opus reticulatum) ritrovati negli anni Cinquanta (Giornale di Sicilia, Giamporcaro) nel basamento della torre, da una torre oggi crollata di cui si conosce quasi niente oltre i rilievi ottocenteschi, da un padiglione di cultura islamica con influenze persiane e berbere (Marocco) composto da un jiwan con salsabil ed ambienti collegati a destra (inaccessibili) ed a sinistra., oltre che da un locale a volta posto nel basamento della torre e definito “bagno” con presenza, in sotterraneo, di un pozzo mai esplorato. Un ingrottato adiacente il bagno (oggi inaccessibile). Infine da un bacino lacustre in muratura posto in prospetto al monumentale ingresso del jiwan. Del bacino totalmente interrato è possibile riconoscere il muro di fondo nella stradella di accesso.
Salendo sul masso, addossato ed incombente sul padiglione, vi era l’ingresso del palazzo vescovile (oggi case abusive) e poi (verso sud) la cappella di origine incerta: probabilmente costruita tra il secolo XII e XIII. Sulla destra, salendo lungo la stradella attuale, nell’agglomerato di case abusive si notano i resti di strutture secentesche che dovrebbero corrispondere al “passiatore” realizzato dai principi di Villafranca-Paruta. È probabile dunque che la stradella attuale attraversi anche il sedime del crollato palazzo vescovile.
Salendo per la stradella, arrivati quasi al pianoro dove è la chiesetta (Madonna allo Scibene) sulla sinistra. si vede il resto di un arco ogivale corrispondente all’ultimo vano del padiglione, di fronte il basamento di un edificio mostra i resti del palazzo vescovile e sulla sinistra. Tra le case s’intravede un arco (già accennato) che dovrebbe far parte del “passiatore” realizzato nel Seicento per raggiungere agevolmente il laghetto dal palazzo vescovile. Quindi, girando a sinistra sul piano si giunge alla cappella caratterizzata da un prospetto principale a capanna decorato con archeggiature rincassate e da un portale del tardo 400 si cui , oggi rimane solo il montante sx.. Purtroppo il prospetto è stato anche tragicamente resecato (mt.1,50)prima del 1924. il prospetto laterale sud è decorato anch’esso con rincassi (archi ogivali ciechi) dove però quello centrale è maggiore per segnalare il cambiamento funzionale delle spazio religioso interno. Questo prospetto è stato fortemente rimaneggiato nei diversi restauri avvenuti negli anni. Alla fine si vede, segnalato dalle pietre di attesa, l’indicazione del volume mancante della torre crollata nel 1924. L’interno era presumibilmente con un soffitto ligneo (cassettonato?) piano e le pareti decorate con affreschi di cui sicuramente è rimasto in brani quello sulla dx. raffigurante la Madonna in trono attribuita al De Vigilia.
Malgrado il complesso fosse vincolato (22 luglio 1991, D.A.2160) anche dal punto di vista ambientale, esso è stato pesantemente ed abusivamente sfregiato (sovrappasso e sottostazione elettrica) per la realizzazione della terza linea tram.
Il padiglione, la successiva cappella ed il palazzo vescovile non sono mai stati parte degli edifici dei “sollacia” cioè delle residenze reali, ma costituisce un unicum perché edilizia privata e perché quasi certamente più antico dell’invasione normanna ma probabile esempio per altre architetture quali Maredolce e poi Zisa e Cuba, ecc. Come è dimostrato dalle ricerche archivistiche di questi ultimi anni l’edificio deve riferirsi alla ricchissima famiglia “Sibene” di probabile cultura musulmana che ivi possedeva un’azienda agricola di almeno un centinaio di ettari. Il bene fu venduto o espropriato e successivamente, 1250 c.a, donato alla chiesa di Palermo che vi fece il primo giardino di villeggiatura degli arcivescovi di Palermo. Questa residenza fu poi sostituita da quella di Baida il che spiega in parte il disinteresse per quei luoghi. Il complesso agricolo aveva probabilmente una vera residenza da identificare nella “vignicella dei gesuiti” (oggi ex ospedale psichiatrico) e comprendeva anche le attuali ville Savagnone, Micciulla e Belvedere.
Dal punto di vista architettonico il particolare interesse dello Scibene è dato dal complesso sostanzialmente integro del padiglione (decorato con muqarnas e semicupole a ventaglio) unito al bacino idrico alimentato, una volta, dalle acque del salsabil cioè quella struttura su cui scende un ruscelletto gioiosamente mormorando. Una dimensione privata di benessere di cui non avevamo prova.
L’errore ottocentesco di attribuirlo alle residenze reali trova origine in Michele Amari e nella necessità di attribuzione di un luogo così pieno di fascino a chi se lo potesse permettere: niente era meglio della casa reale normanna e i documenti allora conosciuti permettevano, sia pure con qualche forzatura, di operare tale attribuzione.
L’autore. Raffaele Savarese, architetto, è presidente del circolo l’Istrice.