Arte Dal 7 ottobre al 17 gennaio la mostra “Ritratto di ignoto. L'artista chiamato Banksy”, con più di 100 opere originali dell'artista britannico, sarà ospitata in due sedi espositive: il Loggiato San Bartolomeo e Palazzo Trinacria
Il più mediatico e, esattamente il suo opposto, il più misterioso: e infatti, è un “Ritratto di ignoto” quello che si inaugura il 7 ottobre a Palermo in due sedi espositive diverse, il Loggiato San Bartolomeo e Palazzo Trinacria.
I curatori Gianluca Marziani, Stefano Antonelli e Acoris Andipa hanno dunque raccolto la suggestione dell’ olio su tavola di Antonello da Messina e della produzione artistica siciliana, trasformandola nell’ispirazione ideale alle tematiche di un artista che nessuno ha mai visto, di cui nessuno conosce il volto, di cui non circolano foto, eppure capace di conquistare il mondo attraverso opere di grande potenza etica, evocativa e tematica.
“Ritratto di ignoto. L’artista chiamato Banksy” è la prima mostra interamente dedicata a Banksy in Sicilia, e avvia una sinergia tra pubblico e privato tra due residenze storiche riconvertite in sedi espositive di arte contemporanea, unite per il rilancio dell’antica Kalsa, nuovo “distretto” culturale che corre parallelo al mare. Le opere di Banksy, in prestito da importanti collezioni private, si dividono tra l’ex lazzaretto, poi orfanotrofio, il Loggiato San Bartolomeo, sito satellite della Fondazione Sant’Elia; e Palazzo Trinacria della Fondazione “Pietro Barbaro”, primo edificio palermitano nato come albergo, le cui stanze ospitarono Garibaldi e Tomasi di Lampedusa.
Nata dalla collaborazione tra MetaMorfosi, Fondazione Sant’Elia e Fondazione Pietro Barbaro, con il patrocinio del Comune di Palermo e della Città Metropolitana, la mostra riunisce oltre 100 pezzi originali dell’artista inglese contemporaneo più conosciuto al mondo, sebbene la sua identità rimanga ancora un mistero. Originario di Bristol, nato intorno al 1974, inquadrato nei confini generici della Street Art, Banksy rappresenta il più esemplare caso di popolarità di un artista vivente dai tempi di Andy Warhol. Oggi possiamo considerarlo il più grande artista globale del nuovo millennio.
L’assessorato regionale all’Istruzione e le due Fondazioni hanno firmato un protocollo di intesa per la divulgazione nelle scuole e nelle Università della Sicilia.
«Siamo una città che ha rotto i ponti, i muri, i confini: e in questo senso Banksy è palermitano, chiunque egli sia – dice il sindaco Leoluca Orlando, nella sua qualità di presidente di Fondazione Sant’Elia -. Se Palermo non fosse collegata con il mondo sarebbe finta, se non celebrasse la bellezza sarebbe inutile. Ma attenti, proprio la bellezza è un punto di incontro tra etica ed estetica: se si pensa che sia solo estetica, sarebbe vuota; se si pensa che sia solo etica, sarebbe pesante. Banksy è contenuto e contenitore, forma e scrittura, ha rinunciato al volto ma è conosciuto per il suo nome. E proprio per questo lo sentiamo vicino. Ci ritroviamo nelle sue battaglie, saliamo sulle sue barche, apriamo le sue porte: è un artista 4.0, un passo avanti a noi, ma siamo pronti a seguirlo».
«Banksy usa i muri per abbatterli; sono i muri del capitalismo, del potere, del razzismo, dell’intolleranza, di sonnecchianti politiche in materia di flussi migratori – dice il sovrintendente di Fondazione Sant’Elia, Antonio Ticali -. Invisibile, ignoto, forse inesistente, è più potente di un’arma e va oltre quelli che combatte. Banksy supera l’avanguardia del secolo scorso, concettuale, a volte difficile, spesso elitaria e borghese. La sua arte è di tutti, al punto da divenire il più classico dei contemporanei».
«Riconosciamo all’arte la capacità di rivelare la vera vita di un popolo, di una comunità, di una cultura – interviene Alfredo Barbaro, a capo della Fondazione “Pietro Barbaro”- . Con questa intenzione la Fondazione ha deciso di aprire le sue sale a questo protagonista che, come scrive Maddalena Ricolfi, è simbolo dell’“arte allo stato urbano” che sta modificando il volto delle nostre città attraverso il suo tratto rivoluzionario»
«Ritratto di ignoto – conclude il presidente di MetaMorfosi, Pietro Folena – è per noi lo sbocco naturale, nel cuore del Mediterraneo, di un percorso cominciato anni fa, e che rappresenta, grazie ai nostri curatori, la prima interpretazione critica e “museale” del più noto artista di strada del mondo. Palermo, capitale culturale di quest’area del mondo, con la sua storia antica e recente, propone di Banksy la sua militanza artistica, civile e culturale a fianco degli ultimi – ben rappresentata dalla motovedetta Louise Michel -, per i diritti dei palestinesi, per la salvaguardia dell’ambiente. Siamo orgogliosi di portare un nostro contributo alle scelte lungimiranti fatte in questi anni dalla Città di Palermo».
Dipinti a mano libera del primissimo periodo; serigrafie, che Banksy considera artigianato seriale per diffondere i suoi messaggi.
«Diversi gli inediti rispetto alle precedenti sedi di Genova e Ferrara: tra gli altri, “Football terrorist” (2001) straordinario stencil su tavola, parte di una collezione australiana, opera che segnò l’incontro tra Banksy e il Subcomandante Marcos – spiega Stefano S. Antonelli -. Ma anche quattro nuovi lavori mai esposti prima, tra cui “Kids on Guns”, celebre dipinto iconico in cui è di nuovo protagonista la bambina con il palloncino».
E ancora oggetti installativi e altri provenienti da Dismaland (l’apocalittico parco a tema nato per pochi mesi nel 2015 in un lido in disuso a Weston-Super-Mare, nel Somerset: partecipano 58 artisti e lo stesso Banksy espone dieci nuovi lavori); e diversi pezzi numerati, sia artigianali che industriali, molti certificati e altri attribuiti, che raccontano un artista senza confini linguistici e sperimentali.
«Eliminando il proprio corpo dal mondo, Banksy elimina di fatto in un solo colpo il soggetto e quindi l’individuo, con il suo carico si miserabile umanità, di bassezza, e diventa l’ignoto, il non noto, il non conosciuto – continua Antonelli -. L’artista non più raggiungibile, si è trasformato in una conoscenza non attingibile, un sapere non accessibile, un atto di resistenza alla conoscibilità dell’uomo e quindi del mondo, a quell’idea rigidamente storica per cui il senso di un’opera d’arte sia costituito da una partitura (contesto, concetto, tecnica e modo di fare). Pensare Banksy come artista tra gli artisti appare riduttivo se non regressivo, e questa mostra ha lo scopo di stimolare, analizzare e indagare nuove ipotesi e prospettive sulla stessa idea di arte e di artista per come la conosciamo oggi».
A Palazzo Trinacria prende invece corpo un’inedita “Arca” – già parte dell’ambiente che ospita la mostra – per accogliere gli “animali” di Banksy, «soggetti privilegiati, membri di una comunità aperta che rappresenta l’ingenuità istintiva, l’anarchia innata, la libertà di gridare ciò che gli esseri umani hanno perduto sotto il peso dell’anestesia sociale – spiega Gianluca Marziani -. Topi e scimmie trionfano per numero e narrazioni: e non è casuale che le due specie più simili a noi siano le comunità zoofile preferite dall’artista britannico. Un favoloso bestiario di megafoni militanti che sbatte il mostro umano in prima pagina, ponendo il corpo peloso come fronte della dignità sociale, linea d’attacco che riconquista la città e la libertà di dire, fare, essere. L’architettura di palazzo Trinacria riprende lo scheletro di una barca, allusione non tanto implicita al tema biblico che si connette all’immaginario urbano di Banksy, al suo codice antagonista con cui scatena azioni mediatiche e reazioni morali. Noè e Banksy dialogano idealmente prima del viaggio, nei minuti che precedono la traversata negli oceani della vita reale».
Raccolti attorno al famoso “Mickey Snake” con Topolino inghiottito da un pitone, ecco un alchemico serpente, diversi leopardi da quarto stato, un cane borghese, ma anche una metaforica papera di gomma. Tutti riuniti attorno allo scheletro di una barca che allude con forza al tema biblico, affiancano i ratti realizzati con spray e acrilici su compensato dopo il 2000; la serigrafia “Barcode” (2004), la prima immagine in cui Banksy utilizza il codice a barre, che poi sfrutterà in altre opere; “Laughnow” (2003), con uno dei soggetti ricorrenti, la scimmia, usata per testimoniare l’arroganza dell’uomo nei confronti di altre specie viventi; che ritorna in “Monkey Queen” (2003), la regina Elisabetta II con il volto da scimmia, apparsa per la prima volta dipinta a stencil sul finestrone centrale del Chill Out Zone, un club londinese.
A Palermo si scopre un Banksy a tutto tondo, ricostruito come se fosse un solido autore classico, attraverso un percorso che ne analizza filologicamente la biografia, le opere, l’impatto dissacrante sull’ immaginario politico e sociale del nostro tempo. «Un progetto sempre più definito e complesso, cresciuto durante le varie tappe che hanno portato la mostra in grandi musei come Palazzo Ducale di Genova e Palazzo dei Diamanti di Ferrara – continua Marziani -. Serigrafie di prima scelta, pezzi unici, sculture, multipli da collezionismo, memorabilia: un ampio intreccio di elementi che abbiamo ampliato con uno studio scientifico mai fatto finora, un vero piano parallelo che attraversa ogni singola opera, mappando Banksy nella sua complessità ideativa e concettuale, nelle sue valenze sociali, nei suoi ritmi da social media, nella sua capacità di connettere mondi come mai riuscito a nessun artista dai tempi di Andy Warhol»
Al centro, i temi cari allo street artist: la guerra e la pace, il controllo sociale e della libertà in senso esteso e i paradossi del Terzo Millennio: giungono molte delle sue immagini più iconiche, da “Girl with Balloon” (nel 2017 definita l’opera più amata dai britannici secondo un sondaggio condotto da Samsung), ma anche di “Love is in the Air”, il celebre ragazzo che lancia un mazzo di fiori come se fosse una bomba a mano, apparsa per la prima volta nel 2003 su un murale a Gerusalemme, sulla linea di confine tra Israele e Palestina; “Bomb Hugger” (2003) o “Bomb Love” (primo titolo dato da Banksy), pubblicata durante le manifestazioni in Gran Bretagna contro l’intervento congiunto con gli USA contro l’Iraq.
Parecchie di queste opere giungono dalla Andipa Collection. Che quattordici anni fa iniziò per prima ad ospitare il mondo underground. «Il mondo dei graffiti e della street art era affascinante, costituito da molte voci – scrive Acoris Andipa -, una in particolare stava attirando l’attenzione di chiunque fosse disposto a fermarsi ed ascoltare». E’ l’inizio di un amore spassionato da collezionista: Andipa è uno dei primi ad accogliere Banksy in una galleria, nel 2006, inserendo alcune sue opere nella mostra “Damien Hirst ei suoi contemporanei”: andarono tutte vendute nel giro di un’ora durante l’inaugurazione. Da allora, Acoris Andipa ha dovuto “inseguire le opere di un artista sfuggente”, ma nel 2007 comporrà una delle prime mostre di Banksy, visitata in poche settimane da 35 mila persone.
Il catalogo racchiude tutte le opere della mostra, e i saggi critici di Gianluca Marziani, Stefano Antonelli e Acoris Andipa.
La mostra su Banksy ha coinvolto la comunità degli street artist palermitani che hanno letto, ognuno a suo modo, l’immaginario pop dell’artista inglese, su supporti diversi – muri, lamiera, stickers, stencil, graffiti – e angoli differenti della Kalsa. Dalle orme riportate sul basolato, si ipotizza che gli “animali” iconici di Banksy migrino dal Loggiato verso la grande Arca stilizzata di Palazzo Trinacria. Al progetto realizzato da Skip La Comune, firmato da Skip e Antonio Valguarnera, partecipano gli artisti Othello, Grafo, Fenix, Waka, Mr. Cens, Boink, Demetrio Di Grado e Daniele Messineo. Un modo diverso per comunicare un progetto che, per scelta etica, non prevede merchandising.
L’artista conosciuto come Banksy non è in alcun modo coinvolto in questa mostra. Il materiale per questa esposizione proviene interamente da collezioni private. Per quanto riguarda l’artista, il suo ufficio è stato informato.
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