Libri e Fumetti Incombe la minaccia di una Terza guerra mondiale e Bergoglio la percepisce tutta, persino fisicamente. Nel saggio "Il dramma di Caino e Abele. Papa Francesco e la guerra tra russi e ucraini", Algra editore, il giornalista e studioso catanese Fernando Massimo Adonia ha una tesi netta: «I popoli hanno diritto di difendersi ma l’essere aggrediti non giustifica l'uso di qualsiasi arma. Prima della guerra in Ucraina, il Papa ha messo in dubbio la tradizionale dottrina della guerra giusta»
Nel suo nuovo saggio, “Il dramma di Caino e Abele. Papa Francesco e la guerra tra russi e ucraini“, uscito per i tipi di Algra (pp. 104, € 10,00) il giornalista e studioso Fernando Massimo Adonia esordisce descrivendo un Papa – il malato e sofferente Francesco – che dà una visione di un uomo che si è distinto rispetto altri pontefici: non dimentichiamo, infatti, l’abolizione simbolica degli oggetti in oro, le scappatelle dall’ottico (profetizzate da Nanni Moretti nel film “Habemus Papam”, il pagamento a spese proprie dell’albergo dove alloggiò, non ultimo anche l’affitto che la classe ecclesiastica vestita di toghe fluorescenti prima non pagava, adesso sì. Un Papa, soprattutto, a supporto degli altri, quasi un “uomo di sinistra” se vogliamo usare una definizione azzardata prestata dalla politica.
Della lunghissima e gradevole chiacchierata l’autore catanese spiega il perché di un incipit sulla sua personalissima tesi a un anno esatto dal conflitto russo-ucraino, con tanto clamore: «C’è un nesso profondo tra cristianesimo – incalza Adonia -, verità e sofferenza. E credo non sia un caso se il vertice della Chiesa sia ciclicamente chiamato a rendere evidenti le fragilità umane, le fragilità di un uomo anziano chiamato a una missione immane. Quella del Papa, appunto. Credo che ci sia una grande pedagogia in tutto ciò. Un mistero che ritorna. La sofferenza di Bergoglio è soprattutto morale, stiamo attenti! Ben prima che il mondo se ne rendesse conto, il pontefice ha cercato in tutti i modi che il conflitto in Ucraina non esplodesse, coinvolgendo il leader di quell’area in un tenace processo di dialogo. Ciò non è bastato. E se ne duole. Ma anche questa storia va raccontata, assieme all’impegno successivo per la fine delle ostilità».
Dunque la contestualità tra una guerra e il decadimento fisico del papa è basico di un tentativo, forse ultimo, di fermare questa medesima guerra. Così leggiamo infatti a pag. 8: “È in corso una guerra e credo sia un errore pensare che sia un film di cowboy dove ci sono buoni e cattivi. Ed è un errore anche pensare che questa è una guerra tra Russia e Ucraina e basta. No: questa è una guerra mondiale”. Che sia la Terza o il primo conflitto dell’era globale, quello dove l’utilizzo delle armi nucleari non è più da considerare un tabù, non è ancora dato saperlo. La minaccia però incombe e Bergoglio la percepisce tutta, persino fisicamente. Vederlo in carrozzina o aggrappato al bastone fornisce l’immagine plastica di un dramma che non è soltanto individuale”.
A tal proposito lei cita due date: il 23 e 24 febbraio. Non le sembra una forzatura ciò che potrebbe significare un’“ombra” di casualità? O vuole intendere un miracolo rovesciato? O ancora, un’intuizione temporale?
«Il Pontefice ha saputo leggere i segni dei tempi. Ha compreso prima di altri che se metti accanto la paglia e il fuoco prima o poi l’incendio esplode. Putin ha delle gravissime e innegabili responsabilità, ma anche chi non ha impedito che la guerra esplodesse o che seri negoziati di pace fossero avviati ne ha. Ogni guerra è male, è odio, è morte. Ma quella in atto non è soltanto una guerra regionale, ma globale. E il Papa ci dice che in tanti sono portatori d’interesse. In tal senso mette a nudo un’ipocrisia».
L’immagine ritraente il Papa pregare, in quel 27 marzo 2020, in una Piazza San Pietro deserta quando la pandemia da Coronavirus tocca l’apice del suo “maleficio”, mostra una “postura semplice, carica di empatia, ma capace di infondere le ragioni della speranza e diradare la cappa del terrore”. C’è forza, e c’è coraggio. Bergoglio è determinato, è l’uomo più famoso del mondo occidentale. Si espone, contro tutti i rischi, seppur siano difficili che incombano dopo l’attentato a Giovanni Paolo II e il mistero della morte Papa Luciani, che qualcuno, dietro le quinte, vuole addirittura avvelenato dalla Santa Sede.
In breve, Adonia: mera preghiera o unto ed erede di Cristo in terra che ha ricevuto rivelazioni, tanto da preparare il mondo al peggio?
«Un’immagine portatrice di speranza e di senso, la preghiera di piazza San Pietro è – scusi il termine – terapeutica perché aiuta il mondo intero a riconoscere i limiti delle forze umane davanti a un’emergenza epocale e guardare oltre. In quell’occasione il Papa non fu profeta di sventura, semmai colui che ha illuminato l’umanità con un gesto potente».
Il papa, stratega e grande intuitore: “abbaiano nella casa della Grande Madre Russia: vogliono scatenare la guerra“. La Russia a nessuno permette di inserirsi nel suo personale palcoscenico. Bergoglio a suo parere volle realmente prevenire il conflitto?
«I fatti, i documenti, la dottrina, gli incontri con i leader politici e religiosi ci dicono tutto ciò; è tutto dimostrato, dimostrabile e accessibile a chiunque. Non c’è intervento del Papa che non sia consultabile nel sito del Vaticano. Nel mio pamphlet ho messo assieme i cocci di una narrazione di pace che spesso non trova spazio sui media o, se la trova, è ridotta a banalizzazione. Per i cristiani pace non è soltanto sinonimo di sicurezza e benessere. Pace è molto di più: è resurrezione».
Certo che ad oggi la guerra sembra non incidere sul mondo, in termini di armi e stermini, bensì su altre onde con i prezzi alle stelle, i beni primari minacciati di non essere più disponibili per l’Occidente. Perché questa guerra non deve finire?
«Alla presidente della Commissione europea è scappato un numero enorme. Dall’inizio della guerra, sarebbero morti centomila ucraini. A quanto pare, sarebbero morti altrettanti, se non di più, russi. Scusando l’espressione, è una macelleria umana. Qualcosa di raccapricciante. E va fermata subito. Il dato che sconcerta è che si parla con molta disinvoltura di armi, carri armati e ordigni nucleari. Chi ha visto i corpi mutilati sa perfettamente che non c’è nulla di umano in tutto ciò».
Radici cristiane ortodosse d’estensione cattolica: un ritorno alle vergognose guerre sante?
«Ogni guerra è guerra di potere. Non ci sono guerre sante, ci sono solo guerre. E le guerre scatenano quanto di peggio c’è nell’animo umano. Il dramma ulteriore di questo conflitto è che si stanno frapponendo due nazioni cristiane, due popoli fratelli, due nazioni sorelle. Ritengo sia il fallimento delle Chiese, soprattutto quando esse stesse si fanno strumento di obiettivi politici. E lo fanno quando benedicono le ragioni del conflitto, senza costruire ponti per spegnere i fuochi. Succede in Russia, ma succede anche in Ucraina».
Perché Bergoglio non contattò Putin, quando si recò in ambasciata russa, scegliendo invece di sentire Zelensky? Non sapeva che in quel momento storico l’ex comico diventatao presidente era considerato perdente, pertanto che da lui si pensava potesse dipendere poco?
«Nel mio saggio ricostruisco i contenuti degli incontri tra Putin e Bergoglio. L’ultimo colloquio telefonico è del dicembre 2021, uno scambio di battute tutt’altro che pacifico, presumibilmente. Lo si capisce perché in contemporanea, durante l’Angelus, il Papa lancia un appello dai toni disperati per la pace Ucraina. In quel momento, però, il mondo è distratto da altro. E non bada alle parole del Pontefice. Siamo arrivati al 24 febbraio 2022 sorpresi dall’ingresso dai carri armati in Ucraina. La guerra, però, è arrivata quasi al rallentatore. Prevista e prevedibile».
“Pàthei Màthos”, impara dal dolore. La locuzione di Agamennone stimola una domanda: come e a chi deve insegnare?
«Il dolore ci ricorda che non siamo immortali, che non siamo indistruttibili. Ci ricorda quello che siamo: esseri umani. Non di più. Secondo i cristiani, il dolore apre alle possibilità dell’amore. All’eternità. Ci insegna ad amare ed essere amati. In fondo, questo è il messaggio della Croce».
Lei mette su un piedistallo Bergoglio: lo merita. Potrebbe a suo parere esserci una velatura pantomimica al pari di quella avvenuta dopo la sparizione di Mirella Gregori e, un mese dopo, Emanuela Orlandi, operata da Giovanni Paolo II? Se si, cosa auspicherebbe di arcano e misterioso?
«Nessuna pantomima, né oggi e né allora. Suvvia. Tutte queste vicende ci insegnano invece che le parole dei Papi vanno prese sul serio. Ho rivisto di recente gli appelli di Giovanni Paolo II per la Orlandi. Voleva che i rapitori la liberassero, non ci sono dubbi. Certo, manca all’appello una verità su quanto è accaduto. Manca soprattutto una ragazza. Questo è il dramma. E nella tenacia dei fratelli, che non hanno smesso mai di cercare, vedo qualcosa di eroico».
Cosa è la “Guerra Giusta“? Perché dovremmo cedere a una locuzione così disperata? Il mondo è di tutti e non tutti però siamo uguali: intellettuali che sperimentano anche una sola coglioneria del genere, pedagogicamente, istigano alla violenza?
«I popoli hanno diritto di difendersi. Il catechismo della Chiesa è chiaro in tal senso, anche se stabilisce delle regole morali ben precise all’uso delle armi. L’essere aggrediti non giustifica tuttavia il ricorso alla vendetta o l’utilizzo di qualsiasi arma sul campo. Tuttavia, ben prima della guerra in Ucraina, il Papa ha messo in dubbio la tradizionale dottrina della guerra giusta. E lo ha fatto perché non crede nelle ipocrisie di chi, sulla scorta di motivi alti e nobili, di giustificazioni roboanti, ha partorito guerre umanitarie e guerre preventive. Due modi edulcorati per dire semplicemente guerre e camuffare gli interessi in gioco».
Quanto è duro credere al cattolicesimo strictu sensu che non coincide con le regole della messa domenicale di uguaglianza e supporto e perdono a tutti?
«I racconti della Passione ci dicono una cosa sconcertante: nei momenti decisivi, gli apostoli – ovvero, i vescovi di oggi – hanno dato un pessimo esempio. Chi ha tradito, chi ha rinnegato, chi è scappato, chi non ha capito e chi non ha creduto. Soltanto Giovanni, un ragazzino, è rimasto ai piedi della Croce assieme a delle donne. I Vangeli dicono questo. E i Vangeli sono dei testi, diciamo, normativi per la Chiesa di tutti i tempi. In fondo, penso che vogliano insegnarci che la Chiesa è questo: una comunità di uomini e donne deboli che, nonostante le insufficienze e le ipocrisie, sono tenuti assieme da una speranza. Da una iniziativa che li anticipa e li supera».
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