Marranzano World Fest chiude con Seun Kuti e Eleonora Bordonaro
Chiusura in grande stile per il 13° Marranzano World Fest, il festival folk e world music diretto da Luca Recupero, e prodotto dall’Associazione Musicale Etnea. In calendario il 3 luglio al Monastero dei Benedettini di Catania i concerti della cantante paternese Eleonora Bordonaro con i Giudei di San Fratello e del nigeriano Seun Kuti con gli Egypt 80.
Il Marranzano World Fest è inserito all’interno di “Porte aperte Unict”, il contenitore culturale estivo coordinato dall’Università di Catania.
“Onit tucc un giuorn cantean / e tucc’ i ricc ch diggrozza jean. / Cantà u cucc, / u cià ed ufùaenaezz…”. Sono i versi iniziali della canzone “I Dijevu di Vurchean” contenuta nell’album “Moviti ferma” di Eleonora Bordonaro, la cui traduzione suona così: “Un giorno il cuculo, il picchio e il gufo cantarono. Ma i ricchi che felicità ne hanno se i poveri sono tristi?”. È una poesia in una parlata antica, il gallo-italico che ancora si può ascoltare a San Fratello, paesino dei Nebrodi in provincia di Messina. Si tratta del Lombardo di Sicilia, fusione di dialetti del nord d’Italia che risuonano ancora a più di mille anni dall’arrivo nell’Isola dei primi coloni al tempo dei Normanni.
È qui che la cantautrice, cuntastorie e studiosa di Paternò da tempo conduce una ricerca nel tentativo di recuperare e riportare alla luce le tradizioni musicali di questa enclave linguistica e culturale in terra siciliana. Ed è nel corso di questo progetto che Eleonora Bordonaro si è imbattuta con i “diavoletti” di San Fratello, ovvero i “Guidei”, gruppi di “maschere” che gironzolano liberamente per tutto il paese durante la Settimana Santa, suonando trombe e disturbando le stesse manifestazioni religiose e processioni. Rappresentano il popolo ebreo, secondo l’antica tradizione antisemita, accusato per parecchi secoli della morte del Cristo. Contemporaneamente, sono una sorta di diavoli allegri e rumorosi: indossano un costume coloratissimo, giallo e rosso, probabilmente dall’origine ottocentesca, ricamato con perline e spalline dorate. Completano il costume un elmo e un cappuccio, con cucita sopra una lunga lingua di stoffa e una croce sulla punta (a rappresentare il carattere mendace dei demoni). Nel loro girovagare per il borgo, i “Giudei” visitano bar, osterie e abitazioni. Viene loro offerto vino e dolci, secondo una tradizione ritenuta di buon auspicio.
Suonano un flusso infinito di melodie, creando un sovraccarico uditivo. Per un attimo sembra un’enfatica marcia trionfante, poi un valzer distorto, infine si trasforma in una strana polka. Altri stravolgono una selezione di canti tradizionali, come “Torna a Sorrento” e “O Sole Mio”. È un collage musicale così strano e giocoso, il modo in cui i trombettisti raccolgono frammenti di brani popolari e li distorcono, creando tanto colore e disordine quanto la celebrazione stessa. Gli spettatori diverranno quindi parte dello spettacolo, che si annuncia curioso e divertente e che Eleonora Bordonaro e i “Giudei” metteranno in scena domenica 3 luglio, come sigillo della XIII edizione del Marranzano World Fest ma anche come anteprima di un progetto che avrà un ampio sviluppo.
Seun Kuti è figlio di uno degli artisti più influenti del XX secolo, Fela Kuti, “The Black President”, rivoluzionario, musicista e attivista nigeriano, inventore dell’Afrobeat. Con lui, la storica formazione degli Egypt 80 – “la più infernale macchina ritmica dell’Africa tropicale” -, nome che Fela dette agli Africa 70 nel 1977, rifacendosi all’antica civiltà egizia. Come il padre, Seun lotta con la musica per l’affermazione del proprio popolo. Fela Anikalapo Kuti è ora un’icona dell’Africa combattente che ritiene di potercela fare con le proprie forze e la propria cultura, contro l’ingiustizia, la corruzione, l’arroganza del potere. E’ questa la sensazione trasmessa dalla musica di Seun, da sonorità che tengono conto della storia dell’ultima black music. «Voglio fare l’afrobeat per la mia generazione – commenta l’artista – invece che ‘alzati e combatti’, il messaggio deve diventare: alzati e pensa».
Sassofonista e cantante, Kuti cita fra i propri ispiratori Miles Davis, il musicista e poeta afro-americano Gill Scott Heron, i rapper Timbaland e Dr Dree, pur restando fedele allo spirito del padre. Nel proprio lavoro tiene conto della storia della black music degli ultimi anni, introducendo le inflessioni del rap e del new soul nel fragore della ‘locomotica’ dell’afrobeat. Oltre alla musica, ciò che colpisce sono i testi delle canzoni, come se il discorso sviluppato da Fela non si fosse interrotto. “Ogni africano ha problemi: il problema della casa, problemi per strada, problemi di lavoro, problemi nella scuola, problemi etnici, problemi con i governi”. D’altra parte, quando il padre morì, Seun a soli 15 anni, di fronte a una folla di migliaia di nigeriani vestiti di bianco, prese in mano il microfono e fece il suo discorso: “Ora voglio dirvi una cosa. Fela non è morto, egli vivrà per sempre in Africa. Egli vivrà negli africani. Vivrà nel cuore della gente nera, in coloro che pensano che essere neri è bello, che essere neri è grandioso. Lui voleva che i nigeriani esercitassero il governo di questo paese, perché sono loro ad averne il diritto, non altri”. In un’epoca in cui l’afrobeat viene sempre più riscoperto e citato in molteplici ambiti musicali moderni, dall’hip hop alla techno ed a tutta la tropical music, Seun Kuti & Egypt 80 rappresentano l’autentica radice originale, ma rinvigorita dalla giovane energia e da una notevole apertura a collaborazioni e contaminazioni artistiche.
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