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Blah blah Sicily

Blog Quest’anno che si chiude con il ritorno della Sicilia in zona gialla anti-Covid (il minore dei mali di questo fine anno tormentato) ci vede proiettati verso un 2022 equamente diviso tra belle speranze e laceranti delusioni. Va da sé che tutte le speranze adesso sono concentrare sul Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Anche in Sicilia c’è tanto da fare, forse troppo. Ma tra gli annunci istituzionali e politici e la realtà c'è di mezzo un mare di chiacchiere...

Quest’anno che si chiude con il ritorno della Sicilia, da lunedì 3 gennaio, in zona gialla anti-Covid (il minore dei mali di questo fine anno tormentato dal mai domo virus) ci vede proiettati verso un 2022 equamente diviso tra belle speranze e laceranti delusioni.

Questo 2021 è stato l’anno delle grandi disillusioni, la prima fra tutte che il “tremendo” 2020 del lockdown lo avremmo “asfaltato” (come si dice in gergo web oggi) e surclassato con il 2021 della ripresa. Ripresa in effetti c’è stata, il 6,2%, e si pensa che il gap con l’andamento pre-crisi possa essere colmato entro la metà del prossimo anno. Tanto entusiasmo si era respirato nella prima parte dell’anno dopo l’annus horribilis, il 2020, che aveva visto crollare il Pil dell’8.9%. Ma alla fine il 2021, dall’estate in poi, non è diventato un vero e proprio annus mirabilis, schiacciato dall’aumento vertiginoso dei costi energetici e delle materie prime che hanno tarpato le ali ad ogni speranza di chissà quale miracolo economico nel prossimo futuro. Le stime per il 2022 viaggiano oggi ad una crescita intorno al 4%, non male, certamente, è già sarebbe un successo arrivarci veramente.

Va da sé che tutte le speranze adesso sono concentrare sul Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza – espressione italiana dell’ambizioso progetto europeo Next Generation Eu  – che ammonta a 235.1 miliardi di euro (di cui 122 miliardi di euro in prestiti), piano che si sviluppa in sei missioni nel quinquennio 2021-2026. Le risorse saranno divise tra investimenti pubblici (infrastrutture, tecnologia, ambiente), incentivi alle imprese, reclutamento di nuovo personale specializzato per gestire i piani, aiuti alle famiglie.

Clicca e leggi i dettagli del Pnrr

Anche in Sicilia c’è tanto da fare, forse troppo, anche perché la resilienza è ormai a livelli da dopo-guerra, in attesa delle ripresa, fantomatica chimera. In questo momento i proclami a livello regionale di obiettivi raggiunti e da raggiungere sono tanti. Come è noto il prossimo novembre scade il quinquennio dell’attuale legislatura regionale e tutti i partiti sono già in campagna elettorale. Si fanno pure i primi nomi di potenziali candidati alla presidenza, a cominciare dall’attuale presidente Nello Musumeci che non ha alcuna intenzione di cedere alle mire “espansionistiche” degli alleati di centro-destra. Nel discorso di fine anno di oggi Musumeci, giustamente, rivendica alcuni successi del suo governo come l’accordo finanziario con lo Stato che consentirà alla Sicilia di recuperare centinaia di milioni di euro. Per il 2022-2025, l’accordo riconosce anche in termini economici la condizione di insularità della Regione, ma anche incrementi delle entrate, l’introduzione della fiscalità di sviluppo e la razionalizzazione di alcune rilevanti poste di bilancio.



Benissimo. Peccato, però, che il disegno di legge sul bilancio regionale sia arrivata tardi all’Assemblea regionale e che l’anno si chiuda quindi con la non proprio rosea prospettiva dell’esercizio provvisorio. Cominciamo così l’anno delle grandi spese, con la regione bloccata da sé stessa che non può andare oltre l’ordinario, e si limiterà a gestire pagamenti e impegni di spesa in dodicesimi? Qui non possiamo non citare il “blah blah blah” di Greta Thumberg che ha bollato la recente (e fallimentare) conferenza sul clima di Glasgow come un elenco di bei propositi senza avere la capacità (se non la volontà talvolta, vedi l’India) di fare niente. Almeno nel breve periodo.

Sulle opere pubbliche il Governo regionale annuncia l’avvio di importanti cantieri in ogni provincia dell’Isola. Benissimo, la Sicilia è abbastanza disastrata, da questo punto di vista, e la tropicalizzazione del clima, di cui le piogge-monstre dello scorso autunno sono un esempio, sta facendo sempre più danni. Però nell’anno del Pnrr non possiamo ancora sentire dire che una priorità è il Ponte sullo stretto perché non è lo mai stato e mai lo sarà. Il fatto che il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Enrico Giovannini abbia messo sul piatto 50 milioni per un ennesimo piano di fattibilità dell’opera non vuol dire che il governo la voglia fare. Anzi. Fino ad oggi un miliardo è stato sprecato per non sapere neanche che tipo di ponte eventualmente fare e se si può fare. E blah, bla, blah…

E poi, noi continuiamo a fare la stessa domanda, di sempre? Ma ad oggi, un Ponte sullo Stretto di Messina a che serve alla Sicilia? Forse per fuggire meglio dall’Isola? Non certo per venirci visto che abbiamo una rete autostradale da schifo. Esiste un progetto per rifare del tutto la Palermo-Catania? Non mi risulta ma il punto è che su 200 chilometri di autostrada oggi la doppia corsia arriva si e no alla metà, i cantieri sono infiniti per una struttura vetusta che continua a manifestare cedimenti. Andare da una città all’altra è diventato un incubo. Sul fronte autostradale la notizia di quest’anno è l’apertura del tratto Pozzallo-Ispica-Rosolini della Siracusa-Gela. Bene, peccato che il progetto della arteria sia del 1970 e ancora non è completato. Più di mezzo secolo per completare un’autostrada? Sul blah, blah, blah delle autostrade in Sicilia possiamo scriverci enciclopedie.  Finalmente è stata rimossa la famosa frana sulla Catania-Messina all’altezza di Letojanni dopo “6 anni 6” dal crollo della collina sovrastante. Tolta la frana, però, ci vorranno mesi per il ripristino completo dell’arteria perché la questione è complicata ci dice il Consorzio per le autostrade siciliane, e blah, bla, blah… E ne frattempo crolla il ponte san Bartolomeo che collega Castellammare del Golfo con Alcamo Marina; e l’autostrada Ragusa-Catania mai fatta diventa l’ennesimo motivo di scontro politico fra governo regionale e il sottosegretario alle Infrastrutture Cancelleri. E blah, bla, blah…

I lavori sulla A18 all’altezza della ex frana di Letojanni

E non parliamo dei rifiuti che ha fatto registrare un altro annus horribilis soprattutto per Catania, sommersa per settimane da una marea di rifiuti non raccolti dopo che i commissari della discarica di Lentini hanno giustamente imposto un limite “umano” al conferimento – non più di 600 tonnellate al giorno – dopo anni di selvaggio conferimento per il solo tornaconto dei vecchi proprietari poi – guarda caso – finiti in galera. E mentre i centri minori sulal differenziata si danno da fare – come ci dice il rapporto di Legambiente sui comuni riclioni – secondo i dati del rapporto rifiuti urbani dell’Ispra, Palermo e Catania vanno indietro. Palermo scende dal 17,4 al 14,5 per cento, Catania dal 14,5 al 9,7 per cento. Meglio Messina, passata dal 18,8 al 29,2 per cento di differenziata. A Catania i nuovi gestori del Lotto Nord faticano a raccogliere anche la porta a porta.mentre per il lotto Centro non si riesce neanche a portare a termine la nuova gara d’appalto. L’incubo dell’obbligo di portare i rifiuti fuori regione, a costi esorbitanti, è sempre dietro l’angolo.

E qual è la soluzione che all’unisono Regione siciliana e Comune di Catania chiedono? I termovalorizzatori, vera e propria archeologia amministrativa della questione nell’era della transizione ecologica. L’Unione europea ha ribadito più volte che il Pnrr non finanzierà nuovi impianti perché in poche parole inquinano, non rispettano il principio guida del “do no significant harm“, ovvero “non arrecare un danno significativo”. L’Europa può arrivare a tollerare gli impianti esistenti purché “i processi di termovalorizzazione possono svolgere un ruolo nella transizione a un’economia circolare a condizione che la gerarchia dei rifiuti dell’Unione europea funga da principio guida e che le scelte fatte non ostacolino il raggiungimento di livelli più elevati di prevenzione, riutilizzo e riciclaggio”.
La Regione siciliana ha esperito una gara per due impianti ma la gara è andata deserta due volte ed oggi scade la seconda proroga. Chi pagherebbe questi nuovi impianti di termovalorizzazione visto che lo Stato non può perché l’Europa non vuole? I privati, ovviamente, con il metodo del project financing a condizione che il business sia il loro. Quindi dovremmo continuare con la concezione che i rifiuti siano un business (dopo gli abusi dei gestori delle discariche) per pochi? A quale costo sia economico sia ambientale per i cittadini? E questa la transizione ecologica made in Sicily? Qui il blah, blah, blah rischia di diventare assordante.

Per il momento col cahier de doleances va bene così. Buon anno a tutti e che il Pnrr ce la mandi buona.



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