Recensioni Continua con grande successo la rassegna Corti e Castelli della Camerata Polifonica Siciliana al Museo Diocesano di Catania. Martedì 13 luglio è stata la volta della seconda serata dedicata ai Concerti brandeburghesi di Bach - questa volta in scaletta c'erano i n. 1, 2 e 3 - eseguiti dalla Camerata Strumentale Siciliana diretta sapientemente dal maestro Giovanni Ferrauto
Continua con grande successo la rassegna Corti e Castelli della Camerata Polifonica Siciliana, anche quest’anno un susseguirsi di splendidi e sempre vari concerti nella suggestiva sede del Museo Diocesano di Catania. Dopo la prima serata del 25 giugno, che vide l’esecuzione dei Concerti n. 4, 5 e 6, martedì 13 luglio è stata la volta dei Concerti brandeburghesi di Bach n.1, 2 e 3 eseguiti ancora una volta dalla Camerata Strumentale Siciliana diretta sapientemente dal maestro Giovanni Ferrauto. La serata, dedicata a Lorenzo Paolini, estimatore di Bach recentemente scomparso, è stata aperta da una dotta, e insieme didascalica, introduzione all’ascolto del professore Aldo Mattina, presidente della Camerata Polifonica Siciliana, che ha guidato gli spettatori alla scoperta di quelli che egli ha adeguatamente definito, in occasione dei 300 anni dalla composizione, non dei concerti barocchi, bensì i concerti barocchi per eccellenza.
Com’è ben noto, Bach vivente, i Concerti Brandeburghesi non conobbero alcun successo. Scivolati ben presto nell’oblio e riscoperti fortunosamente solo nel secolo successivo da parte di Mendelsshon, essi furono dati alle stampe esattamente cent’anni dopo la morte del compositore; ma almeno a partire da tale data la loro fama aumentò sempre più sino ai giorni nostri, tanto da venire oggi (giustamente) considerati tra i capolavori bachiani. Il professore Mattina ha arricchito la sua prolusione con aneddoti calzanti, sottolineando il debito del grande compositore di Eisenach nei confronti di Corelli e Vivaldi e concludendo con la lettura di una lettera a Christian Ludwig margravio di Brandeburgo (1677-1734), fratello minore di Federico I – scomparso nel 1713 – e pertanto zio del nuovo sovrano Federico Guglielmo I. Un luminoso esempio del prezzo pagato da grandi compositori ai loro mecenati.
Poi a parlare è stata la musica. Fortemente voluta dall’accurato lavoro di progettazione di Giovanni Ferrauto e Augusto Vismara, la Camerata Strumentale Siciliana – violini Augusto Vismara, Marcello Spina, Gaetano adorno, Giulia Giuffrida, Giovanni Cocuccio, Dario Spina Egle Denaro, Mariachiara Bonocore; viole Fabio Di Stefano, Alice Romani, Lorenzo Conti; violoncello Giulio Nicolosi, Alessandro Longo, Cecilia Costanzo; contrabbasso Carmelo la Manna; tromba Vito Grasso; oboe Carlo Cesaraccio, Alberto Cesaraccio, Duilio Belfiore; flauto Giovanni Roselli; corno Angelo Bonaccosro, Lorenzo Scolaro; fagotto Angelo Valastro; clavicembalo Alistair Sorley) si è confermata ancora una volta formata da musicisti di affermata professionalità, capaci di interpretare la partitura con grande estro e, contemporaneamente, rigore.
Azzeccati i contrasti dinamici del concerto n.2, dove l’orchestra ha brillato soprattutto nel movimento finale, caratterizzato da un iniziale assolo della tromba, seguita per imitazione da oboe, violino, flauto, fino al gioioso finale. Stringata ed energica l’esecuzione del concerto n.3 cui il maestro Ferrauto ha impresso un ritmo davvero trascinante, con la bella parte del clavicembalo, per una resa degli intrecci melodici e contrappuntistici netti e brillanti, in omaggio al principio che la musica barocca deve essere eseguita tenendo conto di una serie di specificità tecniche ed interpretative che medino il testo scritto con la prassi esecutiva dell’epoca. Gradevole, soprattutto nel bell’Adagio dove Bach alterna oboe, violino e bassi in un fiorire di armonie dissonanti, il concerto n. 1, dove gli strumenti a fiato hanno fatto la parte del leone.
In realtà Bach, con i suoi concerti, che travalicano, svecchiano e rompono ogni schema compositivo tradizionale, lancia sempre una sfida che gli orchestrali della Camerata Strumentale Siciliana hanno vinto senza ombra di dubbio, sostenendo, per la gioia delle orecchie degli ascoltatori, un vero e proprio campionario di acrobazie virtuosistiche. Ne è scaturita un’interpretazione del maestro di Eisenach come musicista dal doppio volto, uno rispettoso della disciplina e dell’ordine, l’altro ispirato al senso dell’audacia e della rivoluzione musicale. All’insegna di correttezza filologica, notevole bravura interpretativo-esecutiva e grande affiatamento strumentale la rassegna Corti e Castelli sicuramente ci riserverà ancora qualche piacevole sorpresa finale.
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