Sicilia antica La Soprintendenza ai beni culturali di Catania ha promosso lo studio paleopatologico dei resti umani pertinenti alla necropoli della chiesa medievale paternese e portati alla luce dai volontari dell’associazione SiciliAntica. Gli antropologi della lituana università di Vilnius, e quelle britanniche di Oxford e di Cranfield hanno investigato i resti, affiancati dagli archeologi di SiciliAntica che hanno contribuito all’opera di catalogazione all’interno del locale museo civico
Nel cuore dell’antica Collina storica di Paternò emergono reperti archeologici e soprattutto vengono effettuati innovativi studi scientifici che consentono di scoprire elementi nuovi del passato. E si comprende meglio come vivevano gli antenati del Medioevo nel mondo etneo ed in Sicilia. Grazie a delle tecnologie sofisticate ed al lavoro di autorevoli studiosi il mistero degli scheletri ritrovati vicino alla chiesa medievale della Gancia si avvicina a soluzione. Secondo le prime analisi degli esperti si tratta delle tracce di una popolazione del Nord, che viveva nella collina medievale. L’applicazione di teorie e tecniche paleopatologiche può far venire in mente alcune fiction statunitensi che hanno conquistato il pubblico americano ed internazionale con gli scienziati trasformati in detective. In questo caso invece non è fiction ma una complessa realtà che emerge dalla ricostruzione storica supportata da sofisticati strumenti tecnologici. E soprattutto è il frutto del lavoro di ‘cervelli’, studiosi di prestigiose università che conferiscono senso e significato ai reperti archeologici.
La cosa davvero interessante è che dagli scheletri (appartenuti a persone del Nord, probabilmente dei normanni) ritrovati nella necropoli medievale paternese è possibile capire quali erano le loro abitudini alimentari, quali patologie avevano, qual era il loro stile di vita, di quali problemi muscolari soffrivano. E da ogni scheletro è possibile risalire anche alla causa della morte. Qui è opportuno un passo indietro, erano stati ritrovati dai volontari di SiciliAntica e da studenti paternesi degli scheletri nell’area della necropoli della chiesa medievale di Santa Maria della Valle di Josaphat. «In mancanza di fondi – ci racconta il responsabile regionale dei giovani di SiciliAntica, Giuseppe Barbagiovanni – era stato tutto ricoperto. Adesso gli studiosi hanno la possibilità di studiare questi resti e stanno emergendo notizie storicamente interessanti». La novità è legata al progetto “Salute e malattia in Sicilia”. La Soprintendenza ai beni culturali di Catania, guidata dall’archeologa Rosalba Panvini, ha infatti promosso lo studio paleopatologico dei resti umani pertinenti alla necropoli della chiesa medievale di Santa Maria della Valle di Josaphat, nota anche come chiesa della Gancia.
Le indagini sono state coordinate dall’archeologa Laura Maniscalco, dirigente della sezione archeologica dell’ente regionale, che già oltre due lustri fa aveva supervisionato lo scavo studiandone i reperti. Dopo una prima valutazione dei dati storici, gli antropologi delle università di Vilnius, di Oxford e di Cranfield hanno investigato i resti, affiancati dagli archeologi dell’associazione SiciliAntica di Paternò che hanno contribuito all’opera di catalogazione all’interno del locale museo civico. Queste attuali e nuove ricerche mostrano ancora una volta l’importanza storico-culturale della Collina storica di Paternò che racchiude in 500 metri millenni di storia, anzi una pluralità di millenni che parte dalla preistoria e attraversando il lungo cammino della civiltà umana giunge sino alla fase contemporanea. Una storia visibile attraverso una pluralità di reperti archeologici, monumenti, chiese, strutture urbane, il tutto collocato in luoghi di notevole e suggestiva bellezza ambientale e paesaggistica.
Al termine di un’attenta opera di pulitura, identificazione e documentazione, accompagnate dal microscavo di due sepolture infantili in coppo, è stato effettuato il rilievo delle condizioni patologiche. “I reperti, suddivisi in 56 casse, e pertinenti a tutti i sessi ed a diverse età, hanno rivelato interessanti caratteristiche, tra cui la presenza di osteoartrosi, a volte particolarmente grave, la frequenza di malattie metaboliche rappresentate da porosità delle ossa, e un numero di traumi, tanto guariti che inferti in prossimità del decesso, rappresentando, per uno dei soggetti, la probabile causa di morte”. Anomalie congenite “tra cui la spina bifida e una costa biforcata, così come una neoplasia benigna -osteoma – e una possibilmente maligna” sono state identificate sui resti, assieme a segni di infezione aspecifica (non attribuibile a un determinato agente patogeno) “rappresentati da periostite e da lesioni endocraniche”. E’ suggestivo notare come attraverso le tecnologie scientifiche possano essere ricostruite le patologie degli scheletri appartenuti ad esseri umani vissuti nel lontano Medioevo. Sono stati evidenziati anche “casi di ernie di Schmorl (noduli sui corpi delle vertebre spesso asintomatici), ed anche un caso di miosite ossificante (calcificazione post-traumatica in ambito muscolare)”. “La cospicua presenza del forame omerale sembra essere caratteristica della popolazione in questione”. E nel Medioevo i problemi ai denti erano notevoli: “Si sono riscontrati vari casi di patologie dentarie, come la parodontosi, la carie, il tartaro, ascessi e ipoplasia dello smalto legata a un episodio di stress biologico occorso durante l’infanzia”. I complessi studi continueranno anche nel mese di gennaio 2020 con “l’analisi degli isotopi stabili da campioni ossei o dentari per ricostruire la dieta e la provenienza di questo interessante gruppo umano, presumibilmente di origine normanna”.
In buona sostanza, l’obiettivo del Progetto “Salute e malattia in Sicilia”, è quello di ricostruire la storia nosologica degli antichi siciliani attraverso l’ispezione dei loro resti mortali, diagnosticare eventuali condizioni patologiche che abbiano lasciato segni inequivocabili sulle ossa, analizzarne lo stress fisiologico correlandoli alle strategie di sussistenza. Vi lavorano i ricercatori dell’ateneo lituano di Vilnius e quelli britannici di Oxford e Cranfield che in sinergia con gli studiosi dell’IBAM-CNR di Catania, si occupano dell’analisi dei resti riferibili a vari contesti cimiteriali che coprono un periodo compreso tra il Neolitico e la prima Età Moderna.
Qual è lo stato delle ricerche? «Abbiamo già completato lo studio di due ampie necropoli – afferma il coordinatore siciliano dello studio paleopatologico, Dario Piombino-Mascali, che è anche docente di antropologia forense all’ateneo di Messina – e stiamo per iniziare un’ulteriore missione insieme con vari dottorandi e giovani ricercatori estremamente competenti e motivati. Dopo aver schedato i materiali, i dati verranno elaborati attraverso un software specifico che permette di ottenere un indice di salute e valutare attraverso il tempo la presenza di stress biologico e di specifiche malattie tra i campioni in esame».
Il progetto non si limita però a valutare le condizioni che afflissero le popolazioni antiche. «Infatti – aggiunge l’antropologo forense Nicholas Marquez-Grant dell’Università di Cranfield – stiamo procedendo anche a indagini chimiche minimamente invasive, attraverso lo studio degli isotopi stabili». Per comprendere in maniera divulgativa, l’analisi degli isotopi stabili da campioni ossei o dentari è una tecnica biogeochimica molto comune in archeologia. I rapporti di carbonio e azoto provenienti dagli individui in esame vengono utilizzati per ricostruire la loro dieta (alimentazione a base di prodotti animali o vegetali, consumo di carne o pesce), ma anche per identificare periodi di stress fisiologico nelle loro ossa, corroborando i risultati delle analisi paleopatologiche. Accanto a ciò, i valori di ossigeno e stronzio saranno invece utili per determinare la provenienza geografica di alcuni di questi gruppi umani, che consentirà di identificare eventuali migrazioni sul territorio isolano. La sinergia con SiciliAntica ha una valenza operativa e cultural-sociale. Lo spiega con efficacia Piombino-Mascali: «Dobbiamo molto, in termini logistici – conclude Piombino-Mascali – agli studiosi di varie sedi di SiciliAntica, che hanno contribuito alle diverse fasi di catalogazione, e spero che questa ricerca diventi un modo per coinvolgere giovani archeologi siciliani attraverso dottorati o borse di studio in un futuro abbastanza prossimo».
Per cogliere ancor meglio l’originalità del progetto ed alcune caratteristiche peculiari, è interessante anche la riflessione estrinsecata da Massimo Cultraro, archeologo e primo ricercatore dell’Istituto per i beni archeologici e monumentali di Catania: «Si tratta di un progetto senza precedenti che ci permetterà di acquisire una banca dati e delle statistiche attraverso lo studio del materiale scheletrico proveniente da diversi contesti siciliani, dalla preistoria alle soglie dell’Età Moderna, senza limiti territoriali né culturali. Attraverso una mappatura di imponenti dimensioni, che ad oggi costituisce un unicum, con analisi legate agli ambiti dell’antropologia biologica e della paleopatologia, sarà possibile rilevare l’insorgenza di alcune malattie, circoscriverle per aree geografiche e interpretarle attraverso il contesto ambientale». Un connubio fra archeologia e paleopatologia, ma anche fra memoria del passato, innovazioni scientifiche e tecnologiche del presente e proiezione al futuro. Ne verrà fuori una nuova chiave di lettura della mappatura delle patologie e della loro evoluzione in Sicilia. Anche grazie agli scavi nella necropoli medievale di Paternò, il cui valore storico già importante è destinato ad assumere una valenza ancor più significativa e sui generis…
Commenti