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Da Bologna a Venezia (e ritorno)… in un battito di ciglia

Blog Nel Bel Paese a seconda di dove ti trovi, tutto può essere estremamente vicino e veloce. In meno di due ore, ti puoi ritrovare catapultato in un altro mondo. Dove vivo io, a Catania, in meno di due ore, non esci nemmeno dall’Isola. E invece, come è successo non si sa, i miei piedi da che passeggiavano sotta la Torre dell’Asinello a Bologna si sono messi a camminare sopra il Gran Canale a Venezia...

Fu ‘a classica vutata d’occhi, e ‘nda n’attimu m’attruvai ‘nda n’atticu a Venezzia (traduttore siciliano-italiano: “È stato il classico battito di ciglia, e in un attimo mi sono ritrovato in un attico a Venezia”. Nel Bel Paese a seconda di dove ti trovi, tutto può essere estremamente vicino e veloce. In meno di due ore, ti puoi ritrovare catapultato in un altro mondo. Dove vivo io, in meno di due ore, non esci nemmeno dall’Isola, e tanto meno riesci ad attraversarla da punta a punta. Dalle mie parti quello è il tempo che impieghi per tornare a casa quando rimani imbottigliato nel traffico cittadino. Comunque, comu fù e comu non fù, tatà, e ‘i me peri ri chi passiavuno sutta ‘a Torre dell’Asinello a Bbologna si misuru a caminari supra ‘u Canal Grande a Venezzia (t.s.i. “Come è successo non si sa, e i miei piedi da che passeggiavano sotta la Torre dell’Asinello a Bologna si sono messi a camminare sopra il Gran Canale a Venezia”).

Bologna, torri degli Asinelli e Garisenda

E dire che più volte avevo rifiutato l’invito. Con il senno del poi sarei stato un pazzo a non accettare la loro proposta! Per carità, la Serenissima è la Serenissima, e la compagnia, una coppia di amici con prole al seguito, era pure fantastica. Ma come si dice troppa ‘ràzzia Sant’Antonio, nun m’a sinteva r’anficcàrimi macari ddocu, mi passi supecchiu st’autru viaggettu, e spatti ‘i picciuli eruno sempri chiù picca, si stavunu spaddannu tutti (t.s.i. “Troppa grazia Sant’Antonio, non me la sentivo di imbucarmi anche lì, mi è sembrato un di più quest’altro viaggetto, e per giunta i soldi erano sempre di meno, stavano finendo”. 

Il ponte di Rialto sul Canal Grande, foto di Livio Andronico

Con un preavviso di poche ore, a causa di uno spiacevole imprevisto, questi miei amici mi hanno ospitato per quasi tutto il mese di giugno a casa loro a Bologna. Mi sembrava eccessivo seguirli anche a Venezia. Non volevo approfittare della loro grande e sincera generosità. L’aspetto buffo della faccenda è che questi miei amici hanno dovuto pure insistere affinché mi unissi alla loro gita, quante volte mi hanno ripetuto: perché non vieni con noi a Venezia? Dài! Un viaggetto di appena tre giorni.
La prima volta che me lo chiesero, fu antrasatta (t.s.i. “all’improvviso”), all’inizio di una proiezione, un breve capolavoro di quel genio di Charlie Chaplin, nei panni di Charlot. Eravamo seduti in Piazza Maggiore e avevamo appena finito di vedere il film muto “My cousin – Mio cugino”. Un’opera d’arte cinematografica del 1918 con una interpretazione attoriale del tenore Enrico Caruso, tanto inaspettata quanto di assoluto valore. Con musiche originali di Daniele Furlati eseguite dall’ensemble del Teatro Comunale di Modena e da lui magistralmente dirette. Piccola parentesi, sto parlando del Festival il Cinema Ritrovato, che ormai è giunto alla sua 38° edizione, una delle tante “meraviglie” di Bologna. Un’enorme arena cinematografica gratuita al centro della città con una programmazione ricca e di eccelsa qualità. Evento che da quasi metà giugno fino ai primi giorni di luglio attira, con i suoi film, più di 2000 spettatori ogni sera.

Il Festival del cinema ritrovato di Bologna

Comunque, quella fu la prima volta in cui mi proposero lo spostamento veneziano. Ci furono altre occasioni in cui i miei amici mi invitarono a partire con loro verso la città lagunare. Ma sempre, e sempre più a malincuore, continuai a rifiutare la loro allettante offerta. Finché in via Orfeo, nel mitico baretto “Miki e Max”, una vera istituzione bolognese, da sempre frequentato da personaggi leggendari, tra una chiacchera e l’altra ho ceduto di colpo, e mi sono convinto a viaggiare con loro. Escluse due parentesi giovanile, una in occasione del concerto dei Pink Floyd, e l’altra durante il mio periodo dell’Inter-Rail quando nell’attesa del treno feci un rapido tour cittadino, non ero più andato nel capoluogo veneto. Con mia enorme sorpresa l’appartamento che ci ospitò era un vero gioiello. Un attico, con relativo terrazzo e con vista, niente popò di meno, sugli scorci di Piazza San Marco. Dalla casa si vedevano chiaramente non solo le varie cupole della Basilica ma anche la Torre dell’Orologio, insomma godevi di un panorama mozzafiato.
Mi sembra inutile e pure superfluo raccontare le meraviglie architettoniche di questa città, oppure peggio ancora sarebbe addentrarmi in goffe descrizioni di come funziona la forcola delle gondole. È risaputo che di unni ‘a talii ‘a talii Venezzia ti leva ‘u ciatu(t.s.i. “da dovunque tu la guardi Venezia ti toglie il fiato), la sua è una bellezza assolutamente oggettiva. Non credo sia un caso che lì sia nato uno dei Festival di Cinema più importanti al mondo, tanto meno non sono frutto di casualità le sue maschere e il suo Carnevale, e neppure la fatalità portò da quelle parti la Biennale.

La Torre dell’orologio in piazza san Marco a Venezia, foto Luca Aless

Lasciando stare lo splendore dei suoi monumenti e delle sue eccelse attività culturali, l’aspetto che più mi ha incuriosito è stata la sua singolare urbanistica. Per carità, non che io sia un esperto di pianificazione territoriale, ma questo tratto distintivo e imprescindibile della vita cittadina mi ha fatto riflettere e anche tanto. Durante la mia breve vacanza ho spesso filosofato e sovente mi sono fatto alcune domande: la mentalità dei veneziani è influenzata dall’aspetto urbanistico? E se sì, questa viabilità, così unica al mondo, cosa ha innescato nel pensiero astratto dei suoi abitanti?


Ovviamente nonostante i miei sforzi non ho saputo dare neanche una risposta ai miei continui quesiti. Mi limitavo solo ad aggiungere supposizioni a supposizioni. Venendo da Catania, so per certo che la vicinanza del vulcano incide parecchio sul nostro modo di ragionare. Anche se noi fingiamo che non sia così, infatti per esorcizzare la sua presenza e soprattutto la sua forza la chiamiamo semplicemente ‘A Muntagna, siamo tutti consapevoli che se Lei vuole, in un attimo, ci può terrorizzare e di brutto. Ppi non chiamallu Vuccano, ‘a Muntagna ‘a sapemu sèntiri macari Mungibeddu. Tutti pari, tutti ‘u sapemu ca quannu rici idda, ‘nda n’attimu, e ddocu ci voli: ‘nda ‘na vutata ri occhi, ni po’ fari teniri ‘u culu cu ddu manu (t.s.i. “Pur di non chiamarlo Vulcano, ‘a Muntagna è conosciuta anche come Mungibeddu. Tutti quanti, tutti lo sappiamo che quando decide Lei, in un attimo, e ora è il caso di dire: in un battito di ciglia, dobbiamo sforzarci per non farcela addosso dalla paura”). È lapalissiano che la vicinanza dell’Etna ha influenzato il nostro modo di pensare, di parlare, di approcciarci agli eventi. Senza dubbi è Lei la causa del nostro singolare modo di vedere e di affrontare la vita.

Il vulcano Etna

E per i veneziani? Quella laguna, quei canali, quei labirinti, quelle calette con nomi assurdi, quell’acqua alta, quella quasi perenne umidità, quelle strade buie, a volte quel tanfo, quella numerazione dei civici di difficile comprensione, come hanno interferito nel loro modo di vivere la quotidianità? Da turista, resti incantato dalle sue delizie, la città e la sua laguna sono Patrimonio dell’Unesco dal 1987. Ed è pure giusto che uno non si soffermi a riflettere su alcuni aspetti pratici. Inoltre, c’è da aggiungere che anche se ti spiegano come più o meno funziona la vita di tutti i giorni, viverci è un’altra cosa. E poi mica Venezia è solo Piazza San Marco. Se ti addentri e provi ad allontanarti da quella specie di “disneyland” potrai scoprire un’altra città, vedere quel che rimane dei quartieri popolari, delle vecchie osterie, di come si viveva una volta, sentire i loro idiomi, insomma di quel mondo che b&b dopo b&b sta scomparendo. E poi ci sono tante isolette abitate, il suo arcipelago ne conta ben 118, alcune di queste raggiungibili solo via mare. Dove i ritmi della giornata sono ben altri rispetto al frenetico e turistico “Salotto d’Europa”. No, io mi chiedevo: oggi, nascerci e abitarci nel lato oscuro di Venezia che cosa comporta? Com’è la vita di tutti i giorni dei giovani nella laguna?
Già fin da piccoli, i bambini, lì, non sognano la bicicletta o il motorino, non saprebbero cosa farsene, quelli neanche la gondola vogliono, bramano di guidare un motoscafo. Da quelle parti per poter navigare un’imbarcazione devi essere molto pratico e non puoi assolutamente prescindere dallo strumento per antonomasia indispensabile per la circolazione dei mezzi nautici: il manuale del lagunare. È tutto segnato lì, la velocità, il senso di circolazione, il moto ondoso. Solo chi conosce molto bene la laguna, si può avventurare in un fuori rotta e non incappare in una secca.
Ad esempio, mi sono totalmente perso dentro le mie fantasticherie quando ho notato che le loro ambulanze sono dei piccoli motoscafi con la sirena, la barella e la strumentazione sanitaria. Ai più sembrerà assurdo ma nel loro Pronto Soccorso c’è l’entrata riservata alle barche, con tanto di ormeggio. Essendo tutto un patrimonio inestimabile, non solo gli ospedali, ma anche le scuole, gli uffici comunali, sono ubicati in palazzi di una bellezza disarmante.

Un aspetto hitchcockiano della città sono i gabbiani. Incontri diversi cartelli che ti informano sulla loro aggressività. A prima vista questi volatili sembrano anche innocui, invece hanno raffinato tecniche sorprendenti, un micidiale cocktail dell’arte del diversivo e di quella dell’agguato. All’osteria “La Rampa” dopo aver acquistato una loro specialità mi sento dire: stia attento, appena esce di qui si metta subito sotto l’ombrellone, altrimenti i gabbiani l’attaccano e si mangiano il suo tramezzino.
Niente è tutto rosa e fiori, oppure bianco o nero, qualcosina di sgradevole la percepisci anche in paradiso. Un ricordo poco piacevole, che mi porterò da questa gita, è che a Piazza San Marco non è consentito sederti e tanto meno consumare un frugale pasto. Umanamente è molto triste, vedere persone che chiedono anche a bambini e ad anziani di alzarsi da lì. Dimenticavo di raccontarvi un’altra stonatura in cui sono incappato: per visitare Venezia devi pagare un biglietto d’ingresso! Raccapricciante, alla faccia della libera circolazione delle persone all’interno della Comunità Europea e in barba alla Convezione di Schengen. Quando l’ho saputo mi sembrava l’inizio di un film horror; allora forse è vero che tra un poco tempo ci faranno pagare anche l’aria che respiriamo.

Piazza san marco a Venezia, foto di Matthias Süßen

Anche per fuggire da queste mie scanzonate riflessioni che tra l’altro sapevo non mi avrebbero portato da nessuna parte, ho deciso di visitare la Biennale Arte. Vi posso garantire che il cuore, la mente e lo spirito si rigenerano visitando sia i padiglioni dei Giardini che passeggiando all’interno dell’Arsenale. Quest’ultimo è il vecchio cantiere navale della città, maestoso, 48 ettari di territorio. Basterebbe andare a vedere soltanto questa struttura per comprendere perché per più di 1100 anni, la Serenissima Repubblica di Venezia è stata tra le maggiori potenze commerciali e navali nel mondo. Appena un quarto del grande complesso, ed è tanto, viene utilizzato dalla Biennale Arte per le sue esposizioni.

La Biennale d’arte di Venezia

Quasi tutti i Paesi del mondo tra i Giardini e l’Arsenale si confrontano a colpi di opere d’arte. Il tema di quest’anno era: straniero ovunque. Troppo bello, entravi ed uscivi in un battibaleno da uno Stato all’altro della Terra. Con i miei cari amici il gioco durante la visita era questo: “Passo un attimo dal Senegal, e poi ci vediamo in Giappone”, “D’accordo, io mi fermo un poco in Nuova Zelanda e dopo faccio un salto in Brasile”. Lasciando stare l’aspetto faceto, pur non essendo un critico d’arte, mi hanno piacevolmente colpito i padiglioni dell’Australia e dell’Olanda. Per quanto mi riguarda le loro esposizioni erano nettamente al di sopra delle altre. Per nulla autoreferenziali, una catarsi, le loro opere stimolano una presa di coscienza dei genocidi compiuti dai loro popoli, avvenuti in nome del colonialismo occidentale. La Biennale è assolutamente da andare a visitare, per quest’anno c’è tempo fino al 24 novembre. Senza ombra di dubbio godere della sua visione è stata la ciliegina sulla torta della mia breve ma intensa vacanza veneziana.

E appoi ‘nda ‘na vutata d’occhi tunnai a Bbologna! Ovvero poi in un battito di ciglia sono tornato a Bologna! Ma mi avevate capito tutti…

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