Libri e Fumetti La notevole produzione letteraria del musicista e docente catanese di musica, raccoglie riconoscimenti ed encomi grazie ad una semina architettata e diversa da tutto. "Vic", edito da Algra, è una riflessione sul vivere, sul suo non senso che si scompone e si dilata in una impalpabile nebbia. E' anche un'impertinente e spregiudicata accusa al mondo, alle sue ripetitive cadenze, alle sue commedie familistiche
Negli ultimi tre anni il batterista catanese Francesco Cusa – non solo musicista ma anche compositore, poeta, scrittore, e da un mese titolare di cattedra al conservatorio “Francesco Cilea” di Reggio Calabria -, dopo una carriera da ma musicista tout-court -, trascorsa suonando in più formazioni jazz, con nomi altisonanti della scena mondiale che si livellano alla sua maestria, carriera che lo ha visto fondare il collettivo Improvvisatore involontario e insegnare e sfornare talentosi giovani batteristi -, da qualche anno sta producendo tantissimo in scrittura. Una scrittura che poco alla volta lo ha portato sulle vette di premi di risonanza non indifferenti, con alcuni colpi di scena realizzatisi la scorsa estate. A Etnabook, festival internazionale del libro e della cultura di Catania, Cusa nelle vesti di poeta si è aggiudicato ben 3 posizioni – la prima, la seconda e la quinta – nella #top5 della sezione Poesia. Due sono le uscite editoriali degli ultimi 3 mesi, di queste vi raccontiamo “Vic” (pp. 170, € 14,00, Algra Editore, 2021), che annovera due prestigiose penne ospiti, Massimo Cracco che ha curato la prefazione, e Giuseppe Carbone che ha curato la postfazione.
“Vic” è un romanzo ambientato a Cotrone, una cittadina ai margini, rimasta indietro, che gira a vuoto staccata dalla cosiddetta “modernità”. Francesco Cusa ne scandaglia le ombre e trova l’abbaglio di una luce che vuole essere universalizzata, che mette a nudo le esistenze dei cotronesi e la nostra stessa vita, vite di lottatori alla fine sempre sconfitti: in fondo, ma non troppo nel fondo, Vic è una riflessione sul vivere, sul suo non senso che si scompone e si dilata in una impalpabile nebbia; ma Vic è anche impertinente e spregiudicata accusa al mondo, alle sue ripetitive cadenze, alle sue commedie familistiche: in questo romanzo psichedelico, anche l’amore è declassato a noia, rassegnato adattamento. Ma chi è Vic? Vic è un aspirante scrittore che, dopo mille fallimentari tentativi, dopo esasperanti rifiuti del suo editore, finalmente trova una storia che lo convince, la storia della sua stessa vita: Vic è Vic che parla di sé, la strada imboccata da Francesco Cusa è quella di una ‘geniale circuitazione’ come si legge nella prefazione del libro.
Ma dunque cos’è la vita di Vic? E’ realtà e allucinazione: Vic vive con i genitori ma anche dopo la loro morte, quando non sono che spettri grotteschi e angosciosi, Vic si aggroviglia alle gambe di donne affascinanti, viziose o nevrotiche, irrimediabilmente ossessionato dai loro corpi, e poi ci sono gli amici di Vic, Gianni, Piccolo Priebke, Marcello, anche loro sono presenze in carne e ossa e poi visioni soprannaturali, quasi psicotiche.
La lingua di Francesco Cusa è ficcante, fluida è irriverente, pregna di lirismi e di bassezze, nella sua musicalità ha uno dei suoi indubitabili pregi, un punto di presa per le sregolatezze e le trasgressioni che veicola, una lingua che è impronta negativa del vivere, che ne svela la sconcia nudità: un vivere che pur affascinante nella sua scommessa, si ritrova svuotato di certezze e significati assoluti. Questo fa dell’autore un personaggio che si è affermato ormai a pieno titolo nel firmamento letterario, parallelizzando la sua attività culturale a quella artistica musicale, in maniera magistrale, arte in cui lo si riconosce deus ex machina di sperimentazioni riuscite che lo hanno tenuto per molto tempo in quel proverbio che tanto potrebbe infastidire, nemo propheta im pàtria, ma del quale Cusa sembra essersi disinteressato. Chi semina bene raccoglierà e lui ha già cominciato a farlo anche in “patria”.
La capacità di non arrendersi, non per imporsi nelle “mura” etnee, consapevole di saper scrivere e narrare molto bene, così come emozionare con la poesia, ormai è un avallo a un nuovo caso editoriale che non si ferma al librone come mezzo comunicativo, la sua pindarica esecuzione del pagina scritta, nel paradosso della locuzione latina prima citata, lo ha fatto sconfinare oltre i confini regionali. Una nota interessante è che Francesco Cusa non si è piegato a logiche di contratti e proposte editoriali che lo vincolassero per anni, rendendosi ciò che sempre si è autoproclamato: un uomo libero e spesso a questa libertà ha accostato il maestro yoga Eric Baret.
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