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Carmine Abate e “Il dramma di un paese felice”, viaggio mediterraneo della cancellazione da Eranova a Stromboli

Libri e Fumetti Il nuovo romanzo dello scrittore crotonese si snoda tra la zona di Gioia Tauro e l'isola vulcanica siciliana, luogo meraviglioso e nel contempo denso di significati metaforici, partendo dalla memoria storica di Eranova, borgo di mare calabrese tra le reggine Rosarno e Gioia Tauro, raso al suolo nel 1983 per fare spazio ad un polo siderurgico mai nato, quadro di un’Italia pronta a cedere alle lusinghe del benessere

Il dramma di un paese felice: dalla vitalità dinamica alla cancellazione, dalla speranza di un futuro alla distruzione con le ruspe. Una storia vera quella di Eranova, borgo calabrese tra le reggine Rosarno e Gioia Tauro, la cui genesi avvenne sul finire dell’Ottocento e fu raso al suolo nel 1983 per fare spazio ad un polo siderurgico mai nato. Parte dalla memoria storica nel suo nuovo libro – “Un paese felice” (edito da Mondadori) – lo scrittore Carmine Abate (già vincitore del premio Campiello) il quale crea un romanzo che si snoda tra la Calabria, la Sicilia, tra la zona di Gioia Tauro e Stromboli. L’isola vulcanica è presente in tante parti del romanzo, al punto che l’autore ha utilizzato anche il dialetto locale. Con rigore filologico e passione per un luogo meraviglioso e nel contempo denso di significati metaforici. [/responsivevoice]

Carmine Abate davanti Palazzo Altiero Spinelli, sede di Bruxelles del Parlamento europeo, con il suo libro “Un paese felice”

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Il porto di Gioia Tauro CC BY-SA 3.0, Link

Nel contesto della storia vi è l’amore passionale tra Linda e Lorenzo, il filo rosso che lega tutte le parti del romanzo, ben strutturato e armonizzato. Con una scrittura fluida, elegante e concreta al tempo medesimo, densa, evocativa ed efficace nel far emergere il senso degli eventi, gli stati d’animo, i dettagli e le sfumature. Carmine Abate si palesa ancora una volta come uno dei narratori migliori del panorama nazionale. Il suo modo di intrecciare la memoria e la vita, la storia ed i personaggi, cattura l’attenzione del lettore. Lo lega alla dimensione pragmatica e semantica della narrazione, ragionamenti ed emozioni non sono mai artificiosi ma intimamente legati all’esserci, alla dimensione dell’esistenza.

E sa come focalizzare l’attenzione, con una scrittura cinematografica: “Le prime ruspe arrivano all’alba e avanzano spavalde come carrarmati in guerra. Noi siamo tutti lì, a distanza di sicurezza, nello spazio tra il mare e le case di Eranova. Una folla di donne, bambini e uomini increduli. La vecchia Mena è vicino a me, immobile. Ha gli occhi chiusi e le mani serrate, sembra che stia pregando. Lina invece si lancia contro le ruspe, si frappone tra loro e il paese a braccia alzate, prova a fermarle aggrappandosi alle cabine e gridando le sue ragioni. Vuole salvare Eranova, deve farcela a costo di essere investita, ma le ruspe avanzano più ostinate di lei. Nessuno l’ascolta. Le sue parole echeggiano furibonde sopra il mare e affogano nell’acqua increspata di piccole onde, di luce, di brividi. I ruspisti ubbidiscono a chi li paga, non certo a una ragazza caparbia. Che gliene importa a loro di Eranova, della rabbia dei suoi abitanti, della bellezza dei luoghi? Osservo la scena con un’ansia che mi divora. Sto sognando o è tutto vero? È l’inizio o l’epilogo della storia? Nella folla riconosco mastro Cenzo e i bambini, il giovane Nando e i suoi amici. Molti protestano ma non si capisce bene cosa dicono, le voci sovrastate dallo sferragliare delle ruspe in avvicinamento”. 

Da Eranova a Stromboli

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L’isola di Stromboli. Foto di Carsten Steger CC BY-SA 4.0, Link

“Ci sveglia la prima luce dell’alba. Dove siamo? È il vulcano di Stromboli la montagna che vediamo dondolare di fronte? Alla sua sinistra, sulla linea dell’orizzonte, emergono dall’acqua altre isole, e sulla destra si staglia la roccia dello Strombolicchio con il suo faro”. Ed ancora con una prosa vivida e poetica: “Iddu ci accoglie con piccole esplosioni e borbottii simili all’eco scomposta di un fuoco d’artificio in lontananza. Le sue due bocche lanciano in cielo frammenti di lava incandescente e sbuffi bianchi di gas che il vento sparge nel cielo di novembre. «Nun vi scantàti, chistu n’è nenti, i botti i sentimu spissu, poi nesce sulu fumu jancu chi ’ngrassa i nùvuli. Iddu ci avi datu u benvenutu» prova a tranquillizzarci Petraro. Ora non si sente più nulla, ma Lina continua ad avere lo sguardo spaventato e si gira in tutte le direzioni come se avesse smarrito l’orientamento. Stavolta Petraro si rivolge solo a lei, le dice che Iddu è vivo e perciò erutta, anzi, rutta, vomita, s’incazza, spara cannonate ardenti contro il cielo, però male ai cristiani che lo rispettano non fa. Si può stare tranquilli sotto Iddu, a meno che non lo sfidi e vai ad affacciarti fino alle sue bocche per vedere come è fatto l’inferno. Lina si sforza di sorridergli, ma il suo sguardo rimane inquieto. Petraro attracca la barca a un vecchio pontile, ci invita a scendere e a goderci l’isola, tanto poi i posti che non si possono raggiungere a piedi li potremo vedere prima di rientrare a Eranova”.
Il racconto si snoda con ritmo dinamico: “(…) andiamo in giro mano nella mano per Scari, mangiamo in una trattoria del paese, prendiamo un gelato. Infine visitiamo la chiesa di San Vincenzo. Davanti c’è un’enorme terrazza che si affaccia sul mare e la vista spazia dal Pollino a Capo Vaticano fino all’Aspromonte e alla punta della Calabria. Malgrado gli sforzi, anche Lina è costretta ad ammettere che da lì Eranova è invisibile. Poi, quando comincia a imbrunire, raccoglie due fiori rossi nascosti tra le rocce ai bordi della strada e s’incammina verso il pontile. Appena Petraro ci vede arrivare si toglie la coperta di dosso, mostrandosi rattrappito in posizione fetale. Poi lentamente si alza, ci saluta con un cenno del capo e accende il motore. Non ci chiede nulla del suo paese, infila una sigaretta tra le labbra e fissa i due fiori con tenerezza. La barca costeggia l’abitato di Ginostra, una manciata di case squadrate e bianche che possono essere raggiunte solo via mare. «Se un giorno vogliamo vivere in un posto bellissimo e fuori dal mondo, ci rifugiamo qui». Il mio pensiero a voce alta”.

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Ginostra CC BY-SA 3.0, Link

Eranova e il paradiso degli agrumi

L’autore si sofferma sul paese della Calabria ionica: “Il paese è attraversato da una strada che si ramifica in una serie di traverse e conduce dritta al mare. Quasi tutte le case hanno un giardino con alberi da frutto, pergolati e un pozzo. Davanti alle porte se ne stanno seduti gruppetti di quattro o cinque persone, per lo più anziane. Sembrano sentinelle stanche e disincantate, in attesa della fine del mondo, che per loro coincide con la fine di Eranova, anche se non ci credono veramente. Lo si capisce appena aprono bocca. «Accomodatevi, giovanotto. Assettativi, riposatevi un pochicello, siete tutto sudato. Da dove venite?».
Ogni ventina di passi mi invitano a sedere con loro. Cerco Lina con lo sguardo, non la vedo da nessuna parte. «Di chi siete figlio? Favorite qualcosa di fresco, macàri una limunata o una granita con i limoni nostri? O puramente un latte di méndula o un bicchierino di rosolio che asciùca i sudori? Cercate qualcuno?». Non mi aspettavo un’accoglienza del genere. Mi sembra di essere al mio paese tra gli anziani che se ne stanno seduti davanti all’uscio di casa e mi fermano mentre salgo in piazza, mi raccontano frammenti di storie del passato o semplici pettegolezzi del presente e mi offrono da bere e da mangiare, anche quando ho già cenato. Se rifiuto, si offendono. Pure qui a Eranova è lo stesso. Tra l’altro non mangio da stamattina e accetto le olive grosse come uova di piccione e pure una fetta di pane con le alici pescate da loro e un’altra con i cardi sott’olio”. 

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Ulivi secolari nella piana di Gioia Tauro

E’ la dimensione di un rapporto tra esseri umani e natura, lontana dalle logiche meramente produttivistiche (non a caso Carmine Abate dedica spazio narrativo a Pasolini, nella cornice di un incontro-dibattito): «Questo è il mio paradiso» dice mastro Cenzo con gli occhi socchiusi, un pizzico di enfasi e tanto orgoglio. «Sono circa tre ettari di terra buona, li ho acquistati con i sudori di questa fronte. A parte un albero d’arancio sanguigno, anticàrio, che stava già qui dai tempi della fondazione di Eranova, tutte le piante del giardino, aranci biondi, tarocchi e mori, mandarini, limoni, clementine, olivi, fichi, peri, meli, gelsi, ciliegi, le ho piantate io, con queste mani mie da muratore. Mi ha aiutato solo mia moglie, il suocero era più bravo di me, lo ammetto, mi ha insegnato lui il mestiere di contadino ma teneva da faticare nella sua campagna, che poi ha lasciato ai figli mascoli. Erano due gemelli sperti e pacci quanto basta, fissati con il mare: al posto dei giardini avrebbero voluto una bella barca a vela per girijàre di porto in porto, scialandosi più che potevano. A Mena invece il padre ha dato la casa, quella che avevo fravicàto io».

La microstoria come emblema della macrostoria

Carmine Abate durante la presentazione-spettacolo del suo libro “Un paese felice” dove è accompagnato dal cantautore Cataldo Perri

Carmine Abate delinea “il quadro di un’Italia pronta a cedere alle lusinghe del benessere, timorosamente fatalista, in balìa delle emergenze politiche e sociali”. Una comunità che intravede la fine ma non perde la speranza, almeno fin quando le illusioni si scontrano con un potere che non mostra alcun interesse per la realtà locale, per i sacrifici di una vita, per un lavoro duro ma onesto, per la memoria di una struttura socio-antropologica che appare superata od almeno decisamente meno importante di progetti che in gran parte non si realizzeranno. I cittadini chiedono solo un intervento di buon senso ma non vengono ascoltati, sono solo un piccolo granello di sabbia. Il destino del paese è segnato, Abate fa palesare un comizio di Andreotti che magnifica i futuri grandi investimenti. La realtà è diversa, e sarebbe caduta nell’oblio se alcuni cittadini non l’avessero conservata. Abate con questo romanzo la fa diventare una storia universale, con aspetti simbolici, etici. Con un senso di umanità che lo caratterizza, un filo rosso tra memoria e divenire storico concreto.



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