Omnibus Lo studio “Multiple magma recharges over prolonged period ultimately trigger eruptions at Vulcano, Aeolian Islands”, sull'eoliano Vulcano, è stato pubblicato sulla rivista "Scientific Reports" del gruppo "Nature" e ha visto la collaborazione di ricercatori dell’Università degli studi di Catania, coordinati dal professore Marco Viccaro, e dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia. Viccari: «Dai cristalli informazioni per capire le dinamiche magmatiche che precedono l’eruzione del 1888-90»
Vi è un luogo che è emblema di suggestive meraviglie naturalistiche, di meccanismi eruttivi “sui generis”, di ricerche scientifiche innovative: si tratta di Vulcano, che dà il nome all’omonima isola eoliana. Un luogo dove letteratura e mito si fondono sin dall’antichità classica: i greci lo chiamavano Hiera e lì crearono il mito delle fucine di Efesto. Vulcano ha affascinato storici, filosofi e scrittori del calibro di Tucidide, Aristotele e Virgilio. Rispetto a Stromboli, in perenne attività, Vulcano (negli ultimi mille anni) presenta tempi di quiescenza tra un’eruzione e l’altra di 100-200 anni.
Proprio su Vulcano è stato realizzato uno studio innovativo da parte dello scienziato siciliano Marco Viccaro – ordinario di Geochimica e vulcanologia dell’Università di Catania, presidente dell’Associazione italiana di vulcanologia e componente della Commissione grandi rischi -, da altri ricercatori dell’ateneo etneo e dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia. In questo dialogo l’autorevole Viccaro svela segreti e meccanismi interni sul piano eruttivo di Vulcano. E illustra anche la ricarica di magma in fieri.
Lo studio dal titolo “Multiple magma recharges over prolonged period ultimately trigger eruptions at Vulcano, Aeolian Islands” è stato da poco pubblicato sulla prestigiosa rivista “Scientific Reports” del gruppo “Nature” e ha visto la collaborazione di ricercatori dell’Università degli studi di Catania e dell’Ingv. Il nucleo centrale della pubblicazione è l’ultimo ciclo eruttivo avvenuto all’isola di Vulcano, che risale al triennio 1888-1890. Attraverso uno studio integrato, basato sia su dati acquisiti all’interno di cristalli di clinopirosseno nei prodotti eruttati nel 1888-90, sia sul budget di anidride solforosa (SO2) rilasciata da gennaio 1978 a settembre 2024, gli autori hanno presentato un quadro sulle modalità e le tempistiche di ricarica cui è sottoposto il sistema di alimentazione di Vulcano.
Che informazioni delle dinamiche interne di Vulcano avete ricavato dai cristalli di clinopirosseno?
«I cristalli di clinopirosseno sono stati utilizzati come veri e propri “cronometri naturali” ed hanno consentito di ricavare informazioni fondamentali per la comprensione delle dinamiche magmatiche che precedono l’eruzione del 1888-90 e, ancor più importante, di dedurre con quali tempistiche il sistema vulcanico è in grado di riattivarsi. Questo importante ciclo eruttivo è stato preceduto da tre fasi di ricarica da parte di magmi profondi che sono stati trasferiti verso la superficie in tre momenti ben distinti. La rilevanza di quanto è stato individuato tramite lo studio sta nel fatto che è pressoché indubbio che queste fasi di ricarica profonde siano state associate a fasi di degassamento intenso osservabile in superficie. Non è infatti casuale che nel periodo precedente all’eruzione del 1888-90, in particolare a partire dal 1771, si siano verificati più cicli di piccole esplosioni freatiche al cratere di La Fossa, a testimonianza di come il sistema di alimentazione profondo sia stato in quel periodo fortemente destabilizzato dalla sua condizione di equilibrio».
Quali altri aspetti fondamentali emergono?
«Altrettanto rilevante ai fini dello studio è stata l’analisi dei volumi di gas – in particolare l’SO2 – emessi a partire dal 1978, anno dal quale è possibile avere un record pressoché continuo grazie alla rete di monitoraggio dell’Ingv. L’inversione dei volumi di gas emessi nel periodo tra gennaio 1978 e settembre 2024 ha permesso quindi di avere una stima di quanto magma si è intruso nel sistema di alimentazione nel corso degli ultimi 46 anni, volume che oscilla tra 26 e 80 milioni di metri cubi. Questa analisi diventa cruciale anche alla luce delle crisi di degassamento avvenute a valle del ciclo eruttivo 1888-90, caratterizzate da cospicui innalzamenti delle temperature delle fumarole e incremento dei flussi di gas misurati. Sebbene di questo non ci sia certezza per la crisi avvenuta negli Anni ’20 del secolo scorso, l’evidenza è invece diretta per le ultime due crisi, avvenute nel periodo 1988-1993 e a partire dalla metà di settembre 2021 e fino a dicembre 2023 -momento in cui la Commissione grandi rischi propose il ritorno al livello di allerta verde».
Dalla storia al presente. Quali altri fenomeni emergono?
«Lo studio suggerisce che alle tre crisi di degassamento osservate dopo l’eruzione del 1888-90 è associata movimentazione di magma profondo che, anche in considerazione dei volumi calcolati, sta progressivamente pressurizzando i magmi residenti nei livelli di stoccaggio più superficiali. Questo permette di avere altri elementi a dimostrazione del fatto che la risalita dei magmi a Vulcano avviene attraverso ricariche multiple di piccoli volumi non sufficienti per innescare singolarmente una crisi eruttiva, ma che sono comunque in grado di interessare ‘a cascata’ e su tempi anche molto lunghi vari livelli del sistema di alimentazione. Il processo di ricarica delineato procede fin quando non viene superata una sorta di soglia di pressurizzazione del sistema, oltre la quale si entra di fatto nel prologo di un’eventuale eruzione».
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