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Il vulcanologo Salvatore Caffo: «Le grandi eruzioni vulcaniche contribuiscono a far abbassare la temperatura planetaria anche per anni»

Sugnu Sicilianu Lo studio del professore catanese, vulcanologo, geologo, associato di ricerca presso l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia - Osservatorio Etneo, sta indagando sulle connessioni tra eruzioni vulcaniche e cambiamenti climatici. E sugli effetti prodotti su larga scala: «L'eruzione del vulcano Tambora del 1815 ha cambiato la storia, trasformando la probabile vittoria di Napoleone a Waterloo nella sua definitiva sconfitta»

Uno studio innovativo e originale, una ricerca che contribuisce a rendere più chiari gli effetti di cause e concause, che in maniera multidisciplinare, concorrono ai cambiamenti climatici. Un aspetto molto rilevante riguarda l’impatto che le eruzioni vulcaniche hanno svolto – e continuano a svolgere – nella storia della Terra. Lo studio del professore catanese Salvo Caffo, vulcanologo, geologo, associato di ricerca presso l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia – Osservatorio Etneo -, saggista, autore di parecchie pubblicazioni scientifiche (anche di storia della scienza), è molto interessante. Caffo sta indagando sulle connessioni tra eruzioni vulcaniche e cambiamenti climatici. E sugli effetti prodotti su larga scala.

Una recente foto di Salvatore Caffo sull’Etna

Caffo afferma che: «Il clima del pianeta Terra è una complessa macchina termodinamica il cui motore è dato dal calore del Sole. Parti fondamentali di questa “macchina” sono: la terraferma, i mari e gli oceani nonché l’atmosfera e l’attività dei vulcani. Parte del calore prodotto dall’attività termonucleare della nostra stella viene riflesso nello spazio dalle nubi, dalle masse nevose e dai ghiacciai nonché dalla presenza di ceneri vulcaniche sospese in atmosfera. Le grandi eruzioni vulcaniche che immettono enormi quantità di ceneri nella stratosfera contribuiscono a far abbassare la temperatura planetaria anche per anni».
Caffo aggiunge: «Anche gli incendi delle grandi foreste presenti sui continenti nonché le diverse attività umane producono polveri che pur non raggiungendo la stratosfera concorrono alle variazioni climatiche. Anche l’anidride carbonica lascia filtrare la radiazione solare incidente e blocca il calore riflesso dalla superficie del pianeta attraverso radiazione infrarossa con lunghezza d’onda minore della luce visibile e che viene assorbita dalla CO2. Dal XIX secolo ad oggi la CO2 si è prevalentemente disciolta negli oceani, ma ha comunque contribuito, data la sua enorme presenza in atmosfera, a concorrere allo scioglimento dei ghiacciai polari con conseguenti aumenti dei livelli degli oceani e dei mari».

Ghiacciai che si sciolgono

La ricostruzione del clima

Caffo sottolinea che: «La ricostruzione del clima del recente passato si basa su numerose fonti documentate: giornali di bordo compilati da ufficiali della marina britannica e conservati per secoli; registrazioni delle date e delle vendemmie conservati nei monasteri francesi; lo studio dello spessore e della sequenza e colore degli anelli di accrescimento degli alberi, solo per citarne alcune. Se avessimo potuto osservare il nostro pianeta dallo spazio, diciamo, 20.000 anni fa, avremmo visto un’enorme massa di ghiaccio estesa su gran parte dell’Europa e del Nord America nonché ghiacciai che contornavano diverse montagne tropicali; un’immagine, molto differente dall’attuale. L’enorme massa d’acqua, sottratta agli oceani, ci avrebbe consentito di osservare aree che, oggi, si trovano a molte decine di metri (fino a 110), sotto il livello medio del mare. Molte decine di volte, i ghiacciai, hanno coperto i continenti settentrionali e, presto o tardi, accadrà nuovamente».

I vulcani e la storia della Terra

Caffo sostiene: «Diversi sono stati i periodi di avanzata e ritiro dei ghiacci, come risultato di oscillazioni di temperature dipendenti da variazioni della radiazione solare o dalla variazione della trasparenza dello spazio ai raggi solari. Questo può verificarsi per maggiore o minore presenza di polveri cosmiche o vulcaniche o per variazioni della distribuzione dell’intensità delle precipitazioni o per variazioni del comportamento termico dell’atmosfera, causata da mutamenti della sua composizione e per variabile contenuto di anidride carbonica e conseguente effetto serra o per fenomeni astronomici o geologici. Dalla fine dell’ultimo periodo glaciale ad oggi, i ghiacciai dell’Alaska, delle Alpi, della Scandinavia, delle montagne del Nord e Sud America, si sono ritirati e avanzati varie volte lungo le loro valli, lasciando una ricca documentazione geomorfologica e ambientale come gli alberi abbattuti durante le fasi di avanzata e i depositi morenici durante quelli di ritiro».

I Campi Flegrei del Mar di Sicilia, la storia e le storie

Caffo approfondisce anche l’aspetto del “Mare Nostrum”: «Nei fondali del Mar Mediterraneo ci sono vulcani sottomarini sia attivi che estinti e dalle dimensioni, in alcuni casi, maggiori di quelle dei vulcani emersi. Si tratta di un’area vulcanica situata tra la costa italiana e quella tunisina e che si estende fin oltre Linosa che comprende decine di vulcani. Nel corso di campagne oceanografiche sono stati ritrovati altri vulcani entro 22 chilometri dalle coste della Sicilia sud-occidentale tra Mazara del Vallo e Sciacca. Il più prossimo alle coste sudoccidentali della Sicilia, a soli sette chilometri da Capo Granitola è il vulcano Actea».
Caffo sottolinea che: «Nel 1831 un’eruzione creò per breve tempo una piccola isola di fronte a Sciacca, l’isola Ferdinandea che raggiunse 60 metri sopra il livello del mare, ma nel giro di un anno fu completamente erosa dal mare e adesso la sommità è a 7 metri sotto il livello del mare. Le eruzioni dei Campi Flegrei del Mar di Sicilia sono avvenute sott’acqua, con l’eccezione di alcune di quelle del vulcano Empedocle: quelle del 1701, del 1831 e del 1863 visibili sopra la superficie del mare. La prima eruzione documentata dei Campi Flegrei del Mar di Sicilia risale alla prima guerra punica (253 a.C.) quando i vulcani Empedocle e Pinne divennero attivi. La prima guerra punica fu decisa dalla battaglia delle Isole Egadi, il 10 marzo 241 a.C., vinta dalla flotta romana sotto la guida del console Gaio Lutazio Catulo anche a causa degli effetti che si determinarono in seguito all’attività del Vulcani sottomarini del canale di Sicilia».

L’isola_Ferdinandea in un quadro di Camillo De Vito del 1831

Un modo moderno di studiare il Pianeta

Caffo argomenta: «L’idea che le ceneri emesse dai vulcani durante grandi eruzioni potessero determinare importanti mutamenti climatici fu proposta per la prima volta nel 1784 dallo scienziato Benjamin Franklin, divenuto in seguito Presidente degli Stati Uniti d’AmericaIl 1784 fu l’anno successivo alle grandi eruzioni del sistema vulcanico fissurale islandese Lakagigar, noto come Laki, e del vulcano giapponese Asama che emisero gigantesche quantità di ceneri nella stratosfera. Già nel 1783 e ancora nel 1784, in piena estate, su tutta l’Europa e l’America settentrionale calò una nebbia asciutta e costante, la terra era quasi gelata e la neve non si scioglieva anzi tendeva ad aumentare. L’inverno che ne seguì fu il più rigido registrato da molto tempo».

L’Eruzione del Laki e gli effetti in Europa

Caffo racconta: «L’eruzione del Laki, iniziata nel giugno del 1783 e terminata nel febbraio del 1784, emise anche acido solforico e fluoro che ebbero effetti catastrofici in Islanda, contaminando i pascoli e uccidendo più del 50% del bestiame presente sull’isola e causando una carestia che decimò oltre 20 mila abitanti. Questi gas vulcanici formarono sull’Europa quella che fu chiamata la foschia del Laki e cioè una nebbiolina tossica, di colore azzurro, che rimase in sospensione nei cieli per mesi e mesi. Le vittime totali causate dall’aerosol vulcanico furono, secondo alcune stime, ventitremila. L’inverno successivo di conseguenza fu estremamente rigido, nell’Europa centrale vi furono abbondanti nevicate, e nella sola Gran Bretagna il grande freddo fece registrare oltre otto mila vittime. In Francia si alternarono periodi di siccità, inverni rigidi ed estati pessime. Furono anni difficili, caratterizzati da particolari condizioni meteorologiche che contribuirono a rendere la popolazione sempre più povera e affamata. Carestie e povertà furono fattori che innescarono la Rivoluzione francese del 1789».

Il Cratere di Laki nel 2004

Correlazioni scientifiche tra cambiamenti climatici e attività vulcaniche

Caffo chiarisce che: «Specifici studi del fisico Humphreys, nel 1940, dimostrarono la correlazione esistente tra i cambiamenti climatici e le attività vulcaniche, per cui le particelle di ceneri vulcaniche in stratosfera riflettono e disperdono la luce solare, comportandosi quindi come uno schermo che impedisce al calore di raggiungere la superficie terrestre. Le ceneri possono rimanere in sospensione per diversi anni e occorre molto tempo prima che cessino gli effetti climatici».

Le eruzioni e le ricadute sul piano economico-sociale e storico-politico

Caffo mette in evidenza che: «Un altro anno estremamente freddo, con temperature nei mesi estivi di 3 gradi inferiori alle medie locali, fu il 1816 con precipitazioni ininterrotte da maggio ad ottobre in Irlanda, Inghilterra sino al Baltico e nel New England (settore nord-orientale degli USA). Il 1816 venne definito anno senza estate, in realtà furono più anni, e portò alla non maturazione dei raccolti con gravissime carestie e carenze di cibo nel Galles e in Irlanda. Migliaia di persone furono costrette a lasciare tutto e partire in cerca di fortuna. Queste furono soltanto alcune delle conseguenze avutesi in seguito all’ eruzione del vulcano Tambora nell’isola di Sumbawa, arco della Sonda, che nel 1815 portò alla devastazione delle isole indonesiane con la morte di decine di migliaia di persone. Gli effetti climatici innescati dall’eruzione causarono gravi danni ai raccolti in America settentrionale e in gran parte dell’Europa, già stremata dalle guerre napoleoniche che si chiusero a Waterloo due mesi dopo l’eruzione, il 18 giugno 1815. Napoleone perse la guerra anche per le difficoltà logistiche derivanti dalle incessanti piogge».

«L’eruzione del vulcano Tambora ha cambiato la storia, trasformando la probabile vittoria di Napoleone a Waterloo nella sua definitiva sconfitta»

Caffo propone la sua analisi su uno dei più grandi fatti storici del mondo moderno: «Alla fine di febbraio del 1815 Napoleone Bonaparte fuggì dall’isola d’Elba, dov’era stato esiliato dopo la sconfitta di Lipsia e l’abdicazione. Il 20 marzo, alla testa di un nuovo esercito, rientrava trionfalmente a Parigi. Le grandi potenze erano però determinate a impedire ogni ipotesi di una nuova espansione della Francia – anche se in realtà Napoleone chiese un trattato di pace. La battaglia decisiva, a conclusione dei cosiddetti Cento Giorni, si svolse nelle campagne del Belgio, vicino a Waterloo, tra il 16 e il 18 giugno del 1815: da una parte i 400.000 francesi al comando di Napoleone, dall’altra un milione di uomini tra olandesi, inglesi e prussiani, guidati da Lord Wellington. Napoleone era uno stratega formidabile e all’inizio sembrò avere la meglio, ma nella notte precedente allo scontro che si rivelò definitivo, tra il 17 e il 18 giugno, si scatenarono fortissimi temporali. Il terreno si trasformò in un acquitrino fangoso e in una trappola per l’artiglieria e la cavalleria dell’imperatore, e questo contribuì alla sconfitta dei francesi».

Il vulcano Tambora sull’isola di Sumbawa in Indonesia

Vulcani, letteratura e arte

In questo approccio multidisciplinare Caffo racconta: «Gli effetti dell’anno senza estate con un’atmosfera cupa e piogge continue è evidente nei versi di George Byron, che scrive “Darkness” (Oscurità‌) nel 1816, e nell’incipit di “Frankenstein”, il romanzo di Mary Shelley pubblicato poco dopo (1818). Già nell’estate del 1815 l’aerosol di gas e ceneri generò a Londra tramonti e crepuscoli spettacolari, dai colori accesi. Queste tonalità insolite hanno ispirato molti pittori.Gli effetti climatici dell’eruzione emergono da documenti e lettere di ogni parte del mondo. Un funzionario di Lhasa descrive le nevicate del giugno 1816; a Bologna, il marchese Tommaso de’ Buoi annota nel suo diario il 2 luglio 1816 che dal 25 maggio non vi fosse giorno che non piovesse, e a causa del freddo molti portavano il tabarro (mantello). Una moria straordinaria di cavalli, il principale mezzo di trasporto del tempo, ispirò Karl Drais (1785-1851) a trovare un veicolo alternativo e nel 1817 inventò il ‘velocipide’ il cosiddetto ‘cavallo da passeggio’ antenato della biciclett».

Dall’Europa all’Asia

Caffo spazia a livello globale: «Fenomeni atmosferici analoghi si verificarono nel 1884-85 in conseguenza dell’eruzione del vulcano indonesiano Krakatoa nel 1883. Il vulcano Krakatoa, localizzato su una piccola isola tra Giava e Sumatra in lndonesia, durante l’eruzione del 1883 lanciò circa 4.000.000 di metri cubi di materiali piroclastici fino ad un’altezza di 27 km, e la cenere, trasportata dalle correnti aeree, compì diversi giri intorno alla Terra. Dopo tre giorni questa cenere cadde in quantità sul ponte di un vascello distante circa 2500 km. II lucente scintillio del cielo prima del sorgere del Sole e dopo il tramonto, causato dalla riflessione dei raggi del sole da parte delle particelle di ceneri vulcaniche, attirò l’attenzione del mondo intero, il fenomeno si manifestò improvvisamente nella settimana seguente l’eruzione ed interessò una fascia compresa tra le latitudini 15° N 15° S; successivamente si diffuse fino a coprire tutta la Terra.

Una litografia che ritrae l’eruzione del Krakatoa del 1883

La distribuzione su tutta la Terra delle ceneri prodotte dall’eruzione del Krakatoa fornì importanti informazioni sulla circolazione negli strati superiori dell’atmosfera. Lo scintillio fu visto per la prima volta negli Stati Uniti a Yuma, in Arizona, il 19 ottobre (l’eruzione del Krakatoa si verificò il 26 agosto) e il 30 ottobre fu osservato negli Stati Uniti orientali. Nella notte del 30 ottobre il fenomeno fu particolarmente intenso ed a Poughkeepsie (New York) e a New Haven (Connecticut) si ricorse alle pompe antincendio per spegnere il cielo in fiamme’. II fenomeno continuò a manifestarsi, con lucentezza di diversa intensità per mesi, presentandosi notevolmente più marcato durante i periodi secchi».

Dall’Oriente al Mediterraneo

Caffo approfondisce altri aspetti: «Il clima rispecchia la media delle condizioni atmosferiche su una scala temporale vastissima, quindi, nonostante le imprecisioni con cui possiamo conoscere il comportamento dell’atmosfera, possiamo comprendere il clima studiando lunghe serie di osservazioni. Siamo soliti pensare che il clima sia relativamente costante ma non occorre risalire molto indietro nel tempo per constatare che il clima che ha accompagnato la storia umana era molto diverso. Tra il 200 a.C. e 400 d.C. (ovvero per 600 anni) c’è stato il cosiddetto periodo caldo Romano, particolarmente caldo e umido in Europa e nel Mediterraneo. Secondo alcuni storici avrebbe addirittura favorito l’espansione di Roma. In Europa, i secoli XIV, XVII e XVIII sono stati molto più freddi del nostro clima attuale. Tra il 1650 e il 1850 si è avuta una cosiddetta piccola glaciazione, che comportò grandi ripercussioni economiche e sociali a livello europeo con interi raccolti perduti e conseguenti carestie, che spesso portarono a guerre che hanno contrassegnato la storia europea. Nel 1787 il geologo svizzero Kuhn  interpretò gli accumuli di detriti lasciati dal fronte di fusione dei ghiacciai, definiti morene, originatisi in seguito all’accumulo delle enormi masse rocciose erose per abrasione e trasportate dai ghiacciai e presenti sulle Alpi in luoghi molto distanti, provando che nel passato remoto le masse di ghiaccio fossero state molto più estese di quelle presenti nel XVIII secolo».

Il vulcanologo catanese Salvatore Caffo

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