Blog Tutti ricordano l'inglese approssimativo di Nando Mericoni, "l'americano a Roma" incarnato magnificamente da Alberto Sordi nel celebre film di Steno del 1954. Forse non tutti sanno che il termine "maccheronico" nasce con l'usanza di storpiare il latino per darsi un tono scherzosamente colto
Con questo articolo debutta su SicilyMag il blog Sguardi corsari del giornalista e scrittore nisseno Jim Tatano. “Sguardi corsari” vuol essere un appuntamento che miri alla trattazione di temi culturali con linguaggio semplice, diretto, ironico, senza fronzoli. Un commento che sia pronto a mettere in discussione le verità più seguite, credute o accettate, per valutarne la solidità, in modo corsaro e non donchisciottesco.
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Quante volte abbiamo visto in tv, in una pizzeria o in una taverna l’immagine di Alberto Sordi che addenta con grande soddisfazione una bella forcettata di maccheroni, con tanto di battuta dal tono americaneggiante «“maccaroni” m’avete provocato?»? Una infinità di volte. La scena è tratta dal film di Steno del 1954 Un americano a Roma, “l’americano” in questione è proprio Sordi che interpreta Nando Mericoni, un bullo di Trastevere con la fissa esterofila di credersi americano, influenzato dai film e dalla cultura dell’epoca, pertanto al suo linguaggio italiano e romanesco aggiunge farfugliando intercalari americani tipo “Oh, boy!”, “You know”, “Yeah, darlin’!” e tutta un’altra serie di suoni, parole e nomi di città buttate a casaccio. Ebbene, il classico assoluto del così detto inglese maccheronico.
Non tutti sanno però che con “maccheronico”, ben prima di quel film, già si intendeva un modo ironico di imitare il latino utilizzando, come fa Sordi con l’inglese, assonanze e desinenze unite a parole italiane o dialettali, per darsi un tono scherzosamente colto. Questo accadeva alla fine del 1400 quando a Padova gruppi di studenti inventavano un nuovo linguaggio comico che raggiunse pienezza tecnica e poetica con l’autore Teofilo Folengo, principale esponente del genere. Ma come mai venne chiamato “maccheronico” (ovvero prese nome dalla pasta, gli gnocchi)? Perché attingeva dalle passioni del popolino per il cibo e dagli altri appetiti di natura fisica; come biasimarli, chi non si lascerebbe tentare da un bel piatto di macarones?
Lo stesso Falengo riconobbe che il capostipite del genere maccheronico fu lo scrittore Tifi Odasi, al secolo Michele di Bartolomeo degli Odasi, autore dell’opera intitolata, per l’appunto, Macaronea, stampato intorno al 1490 e racconta una beffa fatta dall’autore-protagonista ai datti di un suo cugino.
Una trazione comica, goliardica che arriva fino ai giorni nostri e chissà se ogni volta che diciamo parole come briefing, postare, taggami, brainstorming o call non stiamo facendo maccheronismo a nostra insaputa.
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