Libri e Fumetti Pubblicato da Edizioni Kalós il quinto romanzo del giornalista e scrittore nisseno, un omaggio alla Sicilia, alle città di Agrigento e Sciacca e al genio di Pirandello attarverso le vicende del protagonista, il dottore ligure Salvatore Costa, che per colpa d'amore si ritrova sull'Isola. Tatano: «Una storia divertente che ci insegna che si possono anche costruire grandi cose in sordina». Presentazione il 3 novembre nella sua Villalba
È già in libreria e negli store online “Trame del ‘27” (Edizioni Kalós), il nuovo romanzo di Jim Tatano, scrittore e giornalista, che sarà presentato in anteprima il prossimo 3 novembre nella Biblioteca comunale della sua Villalba, nel Nisseno. Questo è il quinto romanzo di Tatano che ha esordito nella narrativa con “Il magico giardino” del 2009. Ha scritto anche racconti, un saggio, sceneggiature, testi teatrali e collabora con diverse testate giornalistiche tra le quali SicilyMag.it dove cura il blog “Sguardi corsari”.
“Trame ‘27” vuole essere un omaggio alla Sicilia, in particolare alle città di Sciacca e Agrigento e al genio di Pirandello. Questa in sintesi la trama: il dottore Salvatore Costa, il protagonista, ha preso la sua decisione: deve lasciare la Liguria. Deve farlo per fuggire da quel dispettoso Cupido che lo perseguita, condannandolo a una vita da reietto, e si ritrova quindi in Sicilia, a Sciacca. Qui proverà a dimenticare la sua condizione – una vera e propria maledizione – buttandosi anima e corpo nella sua professione di medico condotto e lasciandosi coinvolgere, pur nella riservatezza che lo contraddistingue, dalle trame che si dipanano in quel 1927. Equivoci, tabù, pregiudizi, farse, tratteggiano nelle pagine del libro vizi e virtù di un luogo reso simbolo di tutta una terra e di tutto un periodo. Il paese diventa il palcoscenico su cui si esibiscono i personaggi di una vera e propria commedia municipale, maschere e ruoli che accompagneranno il protagonista nella sua nuova vita, pagine scritte con ironia e leggerezza.
1927, l’anno in cui Girgenti diventa Agrigento
Scrivere un romanzo storico implica molte difficoltà e una mole di impegno notevole. Quanta preparazione occorre per rappresentare in modo credibile il periodo prescelto?
«Gli anni ’20 del secolo scorso, quindi cento anni fa, non sono un periodo storico remoto, vivi sono i ricordi collettivi e altrettanto vivo è il dibattito pubblico su quegli anni. Questo ha facilitato il lavoro di preparazione. Sebbene per me non è il primo scritto ambientato durante il fascismo».
Questo non è il primo romanzo storico che scrivi. Secondo te quali sono gli errori più comuni che si commettono quando si scrive un romanzo storico? Come evitarli?
«Non commettere errori mi pare impossibile, perfino i grandissimi li fanno. Perché dovrei privarmi io di un tale privilegio? Bisogna documentarsi molto e fare attenzione alle date degli avvenimenti. Certo ci sono delle piccole licenze, che credo di essermi preso, perché parliamo di un’opera di fiction con una fortissima connotazione satirica e caricaturale dei vizi umani. Per il resto, la perfezione non è di questo mondo…».
L’idea di ambientare Trame del ’27 in Sicilia, nell’anno in cui Girgenti cambia nome e diventa Agrigento, è già di per sé accattivante, ma lo spunto che dà pepe a tutta la narrazione, è la conflittualità derivante dalla diversa visione del protagonista, il dottor Salvatore Costa che arriva a Sciacca da Genova, per fare il medico condotto, ed è tanto culturalmente diverso quando intimamente simile ai siciliani. Come è nata l’idea?
«L’idea è nata da un guardarsi non allo specchio, ma con gli occhi degli altri. Le consuetudini, le abitudini, un po’ fanno perdere il significato alle azioni, quindi poi si compiono senza stimolo, passione o amore. Appena svuotate forse ci illudiamo di vederle come la prima volta, ma gli altri come le vedono? Che valore danno? Che significato attribuiscono? Queste sono le domande che mi sono posto su alcune cose, senza intento riformista, iconoclasta o anti-tradizionalista. Per il puro piacere di raccontare cose che in fondo non posso dire di non aver notato».
Dì la verità, quanto ti sei divertito come autore, tu che continui a vivere nella tua Villalba, nel cuore agreste dell’Isola, a riversare tutta la tua sicilianità in questa storia?
«Il piacere maggiore è stato quello di usare Cupido come “emissario” del malizioso Autore-Demiurgo, nel tentare, tormentare (bonariamente) il protagonista, Salvatore Costa, per condurlo verso avventure che tutto sommato mi sembrano molto piacevoli. Insomma, come nella vita, spesso ci struggiamo per cose che col passare del tempo ci fanno ridere o addirittura ci danno piacere. Al di là di questo, si nota dalla prima all’ultima pagina il piacere di lasciar scorrere una storia divertente, anche dal punto di vista della scrittura».
Un romanzo come il tuo, per quanto snello e di immediata lettura, chiaramente abbisogna di una progettazione particolareggiata. Hai lavorato prima alla costruzione della trama o ti sei concentrato a delineare i personaggi?
«In realtà il mio metodo personale di scrittura, ovvero un lungo periodo di riflessione sulla storia e poi, una volta chiarite le idee, un periodo intenso di scrittura, non mi permette di progettare rigidamente. Anche perché mi piace seguire le idee che nascono durante la scrittura. Questo libro ha più fasi, decisivi però sono stati gli indirizzi che mi hanno dato la editor della casa editrice Kalós, Luana Lupo, e quelli della curatrice della collana editoriale, Giusy Sciacca. Consigli utili perché mi offrivano un punto di vista diverso dal mio, rientrando così nella logica di apertura e fiducia verso la visione altrui presente nel libro».
Accanto ai personaggi di fantasia, agiscono personaggi storici realmente esistiti, come Luigi Pirandello. Come hai dosato verità storica e realtà romanzata nella trama?
«Per le personalità storiche famose mi sono limitato all’uso del nome, trasformandole in personaggi funzionali alla narrazione. La mia intenzione era quella di raccontare una storia con la complicità del lettore, facendo affidamento alla “sospensione della incredulità”. La Storia quella con la S maiuscola è uno sfondo, è scenografia e impalcatura».
Il romanzo, dopo il prologo che da Genova porta il dottor Costa in Sicilia, si apre col problema per la banda comunale Sacro Orfeo di Sciacca di trovare un sostituto del M° don Marsilio Zolli, maestro della banda appena defunto. Un attacco andante che introduce un altro originale personaggio, il M° in pensione, Safirio Malatesta che ha le sue idee sulla politica e sugli uomini. Cosa ci insegna dunque la storia?
«Mi verrebbe da dire che non impariamo mai dalla storia. Frase scontata. Io dico che bisogna avere le idee chiare, prendere posizione, agire, reagire, non per forza con i clamori della ribalta, urlando o peggio ancora parlando senza riflettere. Si possono anche costruire grandi cose in sordina; il tempo, le persone veramente per bene e chi di dovere, poi sapranno dare il giusto peso alle azioni. E bisogna anche saper dire di no alle troppo facili, seducenti e abbaglianti proposte».
La giocosità di espressioni dialettali siciliane nella trama si rivela azzeccata e risultano oltremodo divertenti i siparietti tra il nordico Costa, che non capisce, e gli altri che di volta in volta devono tradurre il linguaggio. Solo suggestione narrativa o una scelta letteraria mirata per alludere ad altro?
«Nulla è lasciato al caso. Un altro piacere della scrittura è il giocare con le parole, siano esse italiane, dialettali, straniere. Per me tutte le lingue sono belle, forse alcune all’orecchio non sembrano aggraziate, per il cervello però sono sempre stimolanti. Io non litigo con le parole, di tutte ne apprezzo la bellezza, anche per parole come “sicofante”, “sterminio”, “metastasi” che per suono o significato sembrano sgradevoli. Il fascismo odiava le parole straniere, come “bar” (che poi è una parola italiana), e la voleva cambiare con “mescita”, che, ahinoi, con tutta la buona volontà, non ha mai avuto fortuna, anche perché le parole vivono una loro vita indipendente dalle decisioni politiche. Quindi mi pare stupido litigare con le parole, anzi mi pare addirittura cringe».
Quale lettore ideale hai immaginato nel congegnare questo romanzo che si dipana su più piani narrativi e può essere letto e goduto a più livelli di lettura? Cosa ti piacerebbe che lasciasse ai lettori a fine lettura?
«Il solito: immagino un lettore alfabetizzato senza distinzione d’età, sesso, razza, lingua, religione, opinione politica, condizione personale e sociale. Purché dentro di sé abbia una spinta alla scoperta, all’avventura, alla conoscenza delle cose».
Da tempo scrivi e pubblichi, ma quanto è complicato per uno scrittore del sud, pubblicare le sue storie?
«È più complicato spiegare che “giovane” non vuol dire “incapace”. Io ho pubblicato con editori del nord, del centro e del sud, ci sono delle differenze, ma marginali. Noto che da noi c’è più malizia nei nostri “circuiti culturali” perché si preferisce aiutare nipoti di, figli di, parenti e amici di amici, più che libri validi o autori di talento. Si tende a indagare se quel tale autore venga da specifiche parrocchie, confraternite, caste, feudi o partiti, se ha protezioni o se fa “baciamani”, però poi ci ergiamo a paladini contro i mostri della società. Per quanto mi riguarda, preferisco che vengano valutati i miei libri invece di altro. Infine, mi pare che emerga chiaro che prediligo le classi culturali, più che di altra natura, pur non negando l’esistenza, l’influenza e l’importanza delle altre. Se poi dovessi mai appartenere a qualche club esclusivo non mi sembrerebbe necessario dirlo».
Presentazione editoriale nella sua Villalba
Il 3 novembre, alle 20, Tatano presenterà il suo romanzo nella Biblioteca comunale della sua Villalba dove dialogherà con Rita La Monica, presidente della sezione di Mussomeli di B.C. Sicilia, l’associazione isolana che si occupa della salvaguardia e della valorizzazione dei beni culturali e ambientali siciliani. Letture a cura di Annalisa Guarino.
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