Blog È notizia di questi giorni lo spericolato (ma prevedibile) passaggio di un paio di esponenti etnei dell’area cosiddetta progressista all’esatto contrario: alla destra reazionaria di Salvini. Vecchia storia, si dirà: ce l’hanno già raccontata i nostri scrittori. Professionisti del trasformismo, questi signori violentano il senso e il valore della democrazia, che si fonda sul confronto tra opzioni altrettanto legittime ma inconciliabili
È notizia di questi giorni lo spericolato (ma prevedibile) passaggio di un paio di esponenti etnei dell’area cosiddetta progressista (prima PD, poi Italia viva) all’estremo opposto, all’esatto contrario: alla destra reazionaria di Matteo Salvini. Vecchia storia, si dirà: ce l’hanno già raccontata i nostri scrittori, De Roberto coi suoi “vicerè” che da borbonici si fanno garibaldini per mantenere il potere, il Brancati del Vecchio con gli stivali coi gerarchi fascisti pronti al momento della disfatta a inventarsi meriti antifascisti, Sciascia coi suoi “professionisti dell’antimafia”.
Professionisti del trasformismo, questi signori violentano il senso e il valore della democrazia, che si fonda sul confronto tra opzioni altrettanto legittime ma inconciliabili, quella appunto progressista e quella conservatrice. Anzi diciamolo, usiamoli questi termini desueti: destra e sinistra. Cavour o Mazzini. Benedetto Croce o Antonio Gramsci. De Gaulle o Simone Weil. Kissinger o Allende. Etc. etc.
Ma perché sto sprecando questi nomi? Si può forse paragonare Croce a Berlusconi, Gramsci alla Boschi o a De Luca? Ed esiste ancor oggi qualcosa che somigli alla destra e alla sinistra storiche? Faccendieri, che delle vecchie bandiere, degli ideali d’ogni sorta fanno strame. E saltabeccano, dopo avere attentamente fiutato, da una greppia all’altra.
Qualcuno la chiamerà laicità, libera scelta affrancata dal dominio delle ideologie. Già, è caduto il muro: grande gioia per i contrabbandieri. E per chi quegli ideali (liberalismo, socialismo, cristianesimo sociale, etc.) considera inutile zavorra, fastidiose nozioni compitate a scuola e fortunatamente dimenticate.
Più che mai attuale lo Sciascia del Contesto: groviglio di complicità omertose, e di rassegnata acquiescenza, che lega governo e opposizione. E figurarsi oggi, che l’opposizione non c’è nemmeno più neanche per finta, e tutti stanno dentro il pateracchio ingovernabile del governo Draghi!
Ma insomma, che vuoi? mi direte. Be’, essendo ormai per età ed esacerbate convinzioni dannato al ruolo di laudator temporis acti, posso ben confessare la mia nostalgia passatista per i tempi in cui la politica aveva un Senso e bene o male veicolava Idee e Valori, e per una Sinistra oggi più che mai necessaria in un mondo sdraiato come una grassa odalisca sulla realtà così com’è o appare, senza nessuna voglia di modificarla, senza un progetto o anche solo un sogno di un mondo diverso, più vivibile, più giusto.
Un parlamento privo di una sinistra radicale, laica, libertaria, intransigente, giacobina, utopista, rispecchia un Paese rassegnato, non più l’arco delle possibilità e delle scelte che a una nazione civile devono essere concesse: perciò è votato al piccolo cabotaggio e agli inciuci tra sigle diverse ma omogenee, complici nel malgoverno, titolari d’una medesima concezione – della società, della politica, dell’economia – tutta appiattita sul presente, incapace di trasfigurarlo, colpevolmente votata solo al tornaconto.
E ci meravigliamo che si salti da una trincea a quella opposta? Non fu il PD di Renzi, dell’esecrabile rignanese, a imbarcare transfughi e avventurieri d’ogni risma? Ecco: se a questo caravanserraglio, se a questo viavai d’industriose formichine, se a questo inglorioso “crepuscolo degli dei”, dei valori, delle differenze, dovessi dare un volto, non avrei esitazioni: sceglierei il ghigno da marpione di Matteo Renzi.

Raphael Chanterou “Homme aux masques”, 1930, Collezione Jonas Netter
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