Libri e Fumetti Dalla fantascienza al gotico, dall'amore per la sua Paternò all'attivismo culturale, questo e tanto altro è Mario Cunsolo, il quale con "All'ombra del castello di carte" (Algra editore), primo romanzo cyberpunk ambientato in Sicilia, riporta in auge lo squallidissimo mondo della realtà, dove tutto è apparenza: «Da "Sicily 2133" in poi racconto una Sicilia che è, nello scacchiere mondiale, una pedina in mano ai poteri forti»
Nato nel 1980, Mario Cunsolo è uno scrittore paternese che si è cimentato nel corso della sua carriera letteraria in vari generi di scrittura: dal romanzo giovanilistico dal titolo “In fondo sono buono”, al thriller psicologico con “L’orizzonte nascosto della bellezza”, fino ad arrivare alla fantascienza, con “Sicily 2133. L’isola stretta nel pugno” e ai racconti pseudo-gotici nella raccolta “Paternò Arcana”.
Un percorso letterario, il suo, che ha sempre come grande comune denominatore «l’uomo e le sue incertezze» e di conseguenza «la ricerca di una verità che a un certo punto può essere solo soggettiva», ed è proprio quest’ultimo tema che troviamo essere più preponderante nelle opere letterarie fantascientifiche dell’autore, ovvero “Sicily 2133. L’isola stretta nel pugno” e il suo ultimo romanzo “All’ombra del castello di carte” (Algra, pp. 276, € 18). In queste due opere, infatti, le incertezze dell’uomo diventano le incertezze di un’intera società per un futuro quanto mai ignoto, oscuro, uno dei temi cari soprattutto al sottogenere cyberpunk, e a quel punto non resta altro che affidarsi alle verità relative delle tecnologie o, come nella peggiore delle ipotesi, a quelle di uno stato distopico che annulli la memoria storica per annichilire il libero pensiero e godere così di una terribile beata ignoranza.
Mario Cunsolo non è soltanto un autore, dato che promuove da molti anni arte e cultura organizzando eventi attraverso il Circolo Letterario Pennagramma di cui è il presidente, circolo che annovera scrittori affermati e nuove leve del panorama europeo dunque un’eccellenza siciliana al servizio della cultura e membro fondatore del Memorial Mariano Ventimiglia, giunto alla XVIII edizione dove vengono encomiati personaggi della cultura e del giornalismo per la loro carriera.
Del suo nuovo romanzo, ci ha raccontato tantissimo fino a che, dopo averlo letto, abbiamo deciso di incontrarlo e intervistarlo per i nostri lettori. Un audace autore, dalla vene realistica intesa come momento pessimista, dal quale non riuscirà l’uomo nel suo futuro a riprendersi se non la smette con la corsa estenuante verso la vittoria del cyber sulle potenzialità ontologiche. Il romanzo di Cunsolo è un monito a non lasciarsi andare all’inerzia, un monito a guardare oltre il presente, perché il futuro è dietro l’angolo e potrebbe non essere dei più rosei se non iniziamo fin da subito a cercare soluzioni alle tante problematiche che assillano, per esempio, la nostra Isola. Ma questo è ovviamente un discorso più ampio che si può applicare a tutta l’Italia, a tutto il mondo.
“All’ombra del castello di carte” è il primo romanzo cyberpunk ambientato in Sicilia: la Sicilia si presta bene per una simile ambientazione?
«Direi proprio di sì, il cyberpunk è un sottogenere letterario della fantascienza che enfatizza, estremizza le problematiche del presente in un possibile e imminente futuro. E la nostra terra, la Sicilia, ha bisogno di questo genere di speculazioni su ciò che potrebbe accadergli, sul suo destino, in quanto colma di contraddizioni e problematiche di diversa natura».
Il cyberpunk negli Anni ’80 nasce anche come atto di denuncia delle problematiche, delle strane derive del presente. Come mai in passato nessun autore di fantascienza avvezzo a questo sottogenere letterario ha mai ambientato un suo romanzo in Sicilia, dato che è una regione che più di altre in Italia e forse in Europa ha da sempre mostrato terribili contraddizioni e problematiche?
«Partiamo dalla premessa che gli autori di fantascienza di solito hanno sempre snobbato la Sicilia come possibile luogo di ambientazione dei loro romanzi, persino gli autori siciliani, con qualche eccezione ovviamente, figuriamoci come luogo di una possibile storia in stile cyberpunk, e questo perché la nostra Isola ha sempre avuto lo stigma di regione arretrata, agricola, in cui l’evoluzione tecnologica poteva essere, proprio per questa sua natura, rallentata e disallineata rispetto a resto del mondo. Preconcetto ovviamente assurdo, fuori da ogni logica, partorito più da un subconscio collettivo che da una reale osservazione della nostra terra: Catania e Palermo, ad esempio, sono enormi città, tentacolari e pieni di artefatti e ingegneria dei nostri tempi, che tra venti o trent’anni potrebbero benissimo trasformarsi in quelle famose megacity descritte in molti romanzi cyberpunk».
Immagino sia stato stimolante, emozionante, ambientare un romanzo cyberpunk in Sicilia. Pensa di aver aperto le danze ad autori di fantascienza siciliani e non che in futuro potrebbero essere invogliati a scrivere romanzi del genere?
«È stato davvero divertente coniugare le tecnologie futuristiche, l’atmosfera al neon cyberpunk, alle nostre tradizioni siciliane, ai nostri luoghi, agli elementi che più caratterizzano la nostra regione. Spero che altri seguano il mio esempio, perché speculare sul possibile futuro della nostra terra è un esercizio importante, che potrebbe aiutarci a porre nuove riflessioni e chissà… magari a scongiurare pericoli.»
Quale autori sono stati punto di riferimento per la realizzazione di questa opera letteraria?
«Gli autori sono diversi, tutti inerenti al cyberpunk, ma indubbiamente le opere letterarie da cui ho attinto maggiore ispirazione sono quelle del grande scrittore Philip K. Dick, un vero antesignano del genere. Questo autore, ben prima dei capostipiti di questo sottogenere della fantascienza nato agli inizi degli Anni ’80, ha saputo affrontare temi quali la crisi identitaria in una società sempre più tecnologica e dispotica, il quesito antico (ma adesso quanto mai attuale) tra ciò che è reale e ciò che è fittizio (le opere letterarie in cui questo tema viene magistralmente affrontato sono: “Ma gli androidi sognano pecore elettriche?” e “Ubik”) e il rapporto dell’uomo con le sue paure, con la sua natura istintiva e a volte incontrollabile e contradditoria».
Nel suo romanzo i personaggi sono ben delineati, la loro psiche, le loro paure e fragilità sono palpabili, e l’amore in questo mondo grigio, a tratti distopico, potrebbe essere la speranza per la salvezza del protagonista e forse del mondo?
«Potrebbe. L’amore è sempre l’inizio, in un essere umano o in una società, di un buon cambiamento, è sempre di buon auspicio, ma non voglio spoilerare nulla».
Nella sua opera abbiamo una disoccupazione imperante dovuta a un vertiginoso aumento della popolazione a cui i governi hanno trovato soluzioni poco ortodosse, direi grottesche, come il reddito da gioco, seguendo il detto popolare “A mali estremi, estremi rimedi”. Nell’introdurre una soluzione così estrema ha voluto dare un monito circa i pericoli che potrebbero nascere da una politica poco illuminata, avvezza a trovare soluzioni semplicistiche e potenzialmente disastrose?
«Sì, indubbiamente le crisi economiche e quelle che verranno possono davvero indurre i governi a soluzioni drastiche, che minerebbero le fondamenta stesse del diritto al lavoro, la sua salvaguardia, trascinando il mondo pian piano verso una società, una politica di governo sempre più austera, distopica, che miri al controllo delle masse in mancanza di soluzioni più eque».
Parliamo del Morbo, di questa futura terribile malattia della mente di cui è vittima la maggior parte dei giocatori. Immagino che ha voluto evidenziare, con l’introduzione di questo elemento letterario, le terribili conseguenze che certe politiche errate possono far partorire.
«Esatto, il Morbo della mente che affligge la popolazione mondiale della seconda metà del XXI secolo è diretta conseguenza del Reddito da Gioco».
Nel romanzo sono presenti anche delle strane figure tra la popolazione, ovvero gli “smoghi”, povera gente che è costretta a indossare delle maschere, simili a quelle antigas, per nascondere il volto deformato, deturpato, a causa degli esperimenti sulle colture che una delle due megacorporazioni ha fatto nel corso degli anni. In questo elemento narrativo ho ravvisato una chiara denuncia verso lo strapotere delle multinazionali, o sbaglio?
«Sì, vi è una chiara denuncia verso alcune politiche delle multinazionali, non tutte. Io credo che queste mega-aziende che travalicano i confini nazionali debbano aggiustare il tiro, cioè avvalersi di un’etica, di una politica aziendale (grazie anche all’intervento dello stato) che rispetti la piccola e media impresa invece di affossarla. Eliminando il piccolo commerciante aumenta il divario tra ricchi e poveri, si creano le condizioni per la nascita di possibili dispotismi e politiche di controllo, e spero davvero che questo non succeda in un imminente futuro, solo l’introduzione di leggi specifiche potrà arginare questa deriva».
Una delle cose che più mi ha affascinato del suo romanzo è Etna City, questa sterminata magalopoli della Sicilia Orientale. Nel pensarla, a quali città si è ispirato?
«Etna City è indubbiamente l’espansione futura incontrollata di Catania, che ha cambiato nome perché negli anni ha inglobato tutte le piccole città limitrofe etnee e della piana etnea. Un unico, immenso ammasso di edifici, da Giarre fino a Centuripe e su fino a Zafferana, una megacity che potrebbe ricordare, per estensione soprattutto, la Los Angeles di “Blade Runner” o i grandi conglomerati urbani del romanzo “Neuromante” di William Gibson».
Altra cosa che ha catturato la mia curiosità sono i Sammy, questi veicoli pubblici ad alimentazione elettrica a forma di uovo dotati di navigatore intelligente, completamente automatizzati, che non hanno bisogno di avere un conducente. A quanto ho capito sono stati ideati per sopperire alle poche scorte petrolifere che sono rimaste nel mondo, e l’autovettura classica che utilizza ancora benzina o diesel è diventata un mezzo di lusso, un mezzo che possono permettersi solo i ricchi, tanto è vero che per le strade di Etna City se ne vedono pochissime. Mi chiedevo… e le autovetture elettriche invece? Come mai non le menziona?
«Le autovetture elettriche in questo mondo futuro sono state messe quasi al bando per favorire l’assoluto utilizzo del Sammy, una strategia ufficiale, conclamata dai vari governi del mondo, per creare più ordine, vivibilità, per le strade delle città ed evitare di utilizzare petrolio per la realizzazione di materiali plastici che riguardano la carrozzeria di mezzi più voluminosi e complessi. Ma la verità è un’altra, il petrolio, sebbene stia per finire, è sempre un grande business e lo si vuole utilizzare fino all’ultima goccia finché esisteranno acquirenti ricchi che potranno permettersi la sua variante raffinata in benzina o diesel. Dunque più comodo e redditizio interrompere la produzione di autovetture elettriche per favorire la vendita alle stelle di benzina e diesel per le poche autovetture classiche commissionate dai nostalgici ricconi con guadagni che eguagliano, se non superano, quelli del nostro presente».
Lei narra anche dei distributori automatici che hanno sostituito del tutto i negozi che vendono beni e servizi a metà prezzo. Come è potuto accadere negli anni un simile radicale cambiamento?
«I distributori automatici, quasi tutti appartenenti alle due megacorporazioni, in questo mondo futuro sono stati ideati per abbattere i costi del prodotto finito al dettaglio nelle vetrine, in quanto la Grande Falce (ovvero la spaventosa crisi economica iniziata negli anni ’30 del XXI secolo) ha provocato l’aumento vertiginoso dei prezzi: sono aumentati infatti in modo vertiginoso i costi delle materie prime per la realizzazione di qualsiasi prodotto. Eliminando la figura umana nel rapporto tra vendita e acquisto (che presuppone tutta una serie di costi che vanno a confluire nel prezzo del prodotto in vendita al dettaglio) si abbattono dunque, come dicevo prima, i costi del prodotto al dettaglio».
Parliamo della Grande Falce, di questa spaventosa crisi nata negli anni ’30 del XXI secolo. E’ qualcosa che dobbiamo temere realmente?
«Se il mondo non inizia un’inversione di tendenza, un cambiamento in molti settori, dall’energia all’ambiente, dall’economia alla politica, temo che potrebbe configurarsi un scenario simile».
Ho avuto la sensazione che in questo futuro da lei immaginato lo sviluppo tecnologico si sia un po’ arrestato, o meglio che, a partire dal nostro presente, non abbia realizzato cambiamenti sorprendenti. È così, oppure c’è qualcosa di non detto o non del tutto manifesto nelle pagine del romanzo?
«Lo sviluppo tecnologico è avvenuto e avviene molto a rilento a causa della Grande Falce. La sensazione è corretta, lo sviluppo tecnologico sarebbe dovuto essere di gran lunga superiore se consideriamo gli anni in cui ci troviamo, siamo all’incirca nel 2070».
Nel romanzo troviamo le due megacorporazioni che dominano il mondo, ovvero la Davenport Company in Occidente e la Yang Corporation in Oriente. Questo dualismo sembra ispirato ai due blocchi politici-idelogici che si sono configurati in questi anni e che si stanno sempre più delineando, o sbaglio?
«E’ proprio così, oggi il mondo è diviso tra due inconciliabili visioni politico-idelogiche, ancor di più forse che nel periodo della guerra fredda, una visione liberal-democratica del mondo e una, invece, illiberale, dispotica, in cui si predilige il controllo e l’oppressione in nome di una maggiore sicurezza e di un maggior benessere, e nel mio romanzo ho voluto “omaggiare” questa divisione nel nostro presente che nel futuro diventerà grottesca, senza speranza, in quanto nessuna delle due multinazionali sembrerà perseguire un briciolo di bene comune, ma solo il dio profitto. Quindi bisognerebbe capire per la gente del 2070 quali delle due megacorporazioni è il male minore».
Parliamo degli antagonisti del romanzo. Alcuni di questi sono davvero dei cattivi a tutto tondo, altri sembrano esserlo ma… si scopre poi dell’altro, forse un barlume di umanità. Questa è stata la mia prima impressione, alcuni di questi antagonisti mostrano questo spiraglio non per opportunismo, ma forse per una genuina predisposizione caratteriale al bene. È così o mi sbaglio?
«E’ proprio così. Alcuni personaggi sembrano davvero detestabili, in realtà verso la fine della storia si scoprirà una loro predisposizione al bene. Diciamo che questo è in linea con il mio pensiero, ovvero che alcuni soggetti perseguono il male perché sono stati indotti dall’ambiente circostante, e basta un niente a volte per far sì che avvenga un cambiamento. Lo stesso protagonista Rino Salvieri non è che sia un stinco di santo, ma piccole variabili nel corso della storia lo delineeranno sempre più come personaggio positivo».
Lei ha scritto un altro romanzo di fantascienza post-apocalittico che ha avuto un buon successo di pubblico e di critica, parlo di “Sicily 2133. L’isola stretta nel pugno”. C’è un filo conduttore, al di là dell’ambientazione siciliana, tra quest’opera letteraria e “All’ombra del castello di carte”?
«Il filo conduttore è sempre lo stesso, una Sicilia che è, nello scacchiere mondiale, una pedina in mano ai poteri forti. Una regione sacrificabile, così come testimonia la Storia nel corso dei secoli, nei grandi giochi di potere che riguardano economia e politica, e a pagarne le spese ovviamente è la popolazione siciliana. Diciamo che questi due romanzi sono la metafora della Storia di una regione sottomessa e martoriata».
Torniamo all’attuale. Si evince un sarcasmo a volte pungente, selvaggio: è una prerogativa dei suoi romanzi o riguarda solo quest’ultimo?
«Il sarcasmo attraversa tutta la mia produzione letteraria fin dalla mia prima avventura editoriale con il romanzo “In fondo sono buono”, non poteva dunque mancare in quest’ultima. È un sarcasmo però non fine a se stesso, funzionale sempre alla cornice tragica, grottesca o tragicomica della storia che racconto, dà enfasi, spessore anche ai personaggi, li rende quel tanto che basta antipatici in previsione poi di un loro graduale cambiamento che possa poi redimerli da un certo stile di vita o visione torbida del mondo».
Secondo lei, scrivere un romanzo di fantascienza è più difficile che scrivere un romanzo mainstream?
«Per quanto mi riguarda scrivere romanzi fantascientifici mi risulta più semplice oltre che più divertente. Posso dare spazio, quasi in maniera incontrollata, all’immaginazione, inventarmi strani futuri, improbabili invenzioni e personaggi, prerogativa quasi impossibile nella letteratura mainstream, in cui lo scrittore deve attenersi, sebbene tutte le invenzioni possibili a livello di trama, rigorosamente al proprio presente o a un determinato contesto o periodo storico. Difatti penso che gli scrittori che amano scrivere romanzi mainstream forse hanno una immaginazione e un talento più spiccati rispetto a quelli che scrivono esclusivamente storie di fantascienza, perché il più delle volte devono cavare l’acqua dalle pietre».
Ho appurato che nella sua carriera letteraria si è cimentato anche nel genere thriller. In questo ultimo abbiamo un po’ una ibridazione con questo genere?
«Sì, la componente thriller nei romanzi di fantascienza a mio dire dà un grande valore aggiunto a questa mia ultima opera letteraria. Certi romanzi di fantascienza, i migliori di alcuni scrittori sono allo stesso tempo, secondo me, dei thriller, e il mio in parte lo è, volevo che lo fosse. E poi… ammettiamolo, ormai molti generi letterari si stanno ibridando a tal punto che solcare una linea di confine non ha più senso».
“All’ombra del castello di carte” è un titolo ermetico, criptico. Svelerebbe qualcosa riguardo a questa scelta?
«Il titolo ovviamente sottende alla natura di questa società futura che sopravvive all’ombra di un sistema precario, per l’appunto quello del reddito da gioco ideato dal magnate della Yang Corporation Sam Yang».
Ha altri romanzi di fantascienza in cantiere ambientati in Sicilia?
«Ne ho uno già pronto, sempre fantascientifico, il genere letterario che io prediligo, ma ambientato questa volta a Roma. Nulla toglie che nei prossimi sarà di nuovo la Sicilia a essere protagonista. La nostra terra è fonte di ispirazione per le storie e i voli pindarici più astrusi».
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