Buio in sala A sette anni da "Via Castella Bandiera" la regista palermitana Emma Dante torna dietro la macchina da presa e fa centro con la sua prorompente visione del mondo al femminile, incentrandola questa volta sul concetto di famiglia che, seppure deprivata delle figure genitoriali, presenta tutti i tratti canonici di quella siciliana
Presentato alla 77ma mostra del Cinema di Venezia, “Le sorelle Macaluso” di Emma Dante è nelle sale cinematografiche italiane dal 10 settembre . Sceneggiato dalla stessa Dante insieme ad Elena Stancanelli e Giorgio Vasta, il film esce dopo sette anni dal primo “Via Castellana Bandiera” e, come questo, rappresenta una profonda analisi antropologica di quel sottoproletariato urbano tanto caro alla commediografa palermitana.
Ancora una volta la Dante fa centro con la sua prorompente visione del mondo al femminile, incentrandolo questa volta sul concetto di famiglia. Questa, nel film, seppure deprivata delle figure genitoriali, presenta tutti i tratti canonici della famiglia siciliana ripiegata su se stessa e dove le categorie del bene e del male vengono applicate solo tra familiari, in un avvinghio esagerato dell’amore. Le cinque sorelle vivono all’ ultimo piano di quella palazzina della Palermo bandita e le più grandi badano alle più piccole con la cura di chi è fratello maggiore senza mai averlo chiesto di essere.
Non sappiamo il perché di questa compagine familiare, né lo sapremo mai; sappiamo piuttosto che abitano in questa casa di proprietà alla periferia di Palermo e che sopra tengono una piccionaia dove allevano “colombe da ritorno” che noleggiano ai matrimoni come volatile simbolo di amore e fedeltà. Nell’excursus narrativo delle Sorelle Macaluso seguiamo la loro crescita nelle fasi della giovinezza, dell’anzianità e della vecchiaia; le accompagniamo osservandone le ribelli pretese di felicità giovanili, i sogni, le ambizioni, la cura diversificata (ora interessata, ora amorevole) per quelle colombe che, come loro, dopo ogni volo ritornano sempre a casa. Sono diversissime eppure sempre unite, in piccoli (grandi) gesti quotidiani che rendono unico il rapporto che ciascuna di loro ha con l’altra.
L’attesa della “andata a mare” è per tutte la felicità, e non importa se l’ingresso è abusivo; fa parte del diritto dei poveri a beneficiare del bello della spiaggia, anche se goduto da sotto le palafitte dello splendido liberty siciliano. Si balla e si gioisce tra gli spruzzi d’acqua, i baci trasgressivi e le nuotate in libertà. Ma la tragedia è dietro l’angolo, ed il nucleo di dolore, pian piano, si coagula attorno all’evento che cambierà tutto.
L’opera, dal passo teatrale, suggestiona con il suo gusto estetico imponendo un’atmosfera di un continuo chiaroscuro dove le note di Franco Battiato, Geraldina Trovato e Gianna Nannini compongono l’emozionante colonna sonora, ed un cast eccellente riesce a mantenere alta l’emozione. Più attrici (Alissa Maria Orlando, Laura Giordani, Rosalba Bologna, Susanna Piraino, Serena Barone, Maria Rosaria Alati, Anita Pomario, Donatella Finocchiaro, Ileana Rigano, Eleonora de Luca, Simona Malato e Viola Pusateri) impersonano Maria, Lia, Pinuccia, Katia ed Antonella nelle diverse fasi della vita.
In questo srotolarsi del loro tempo familiare, la misteriosa ed imprevedibile tessitura delle circostanze farà sì che di loro una sola rimarrà per sempre la stessa, e sarà per lei che tutto sgretolerà: la casa – spettatrice e protagonista muta di tutto il film – diverrà l’inferno dei rapporti, luogo in cui si maniffesterà il sottaciuto tormento, sotto la scure di rimorsi e rimpianti. La prorompente vitalità e le promesse di vita cederanno il passo alla vecchiezza edalla malattia e, come dice Schopenhauer, rendendo ancora più crudele e torturante questo destino, fin quando incomberà su ciascuna la certezza della disfatta finale.
Da quella casa, protagonista al pari delle sorelle, ed anzi metafora stessa del loro percorso umano, la storia delle sorelle Macaluso si chiude con una bara calata dall’alto: residuando di quella quotidianit,à forse un po’ becera, dove l’arte dell’arrangiarsi – anche sentimentalmente – si configurava come sola risorsa quotidiana. Il dolore diventa così sabbia mobile, mentre i loro spettri decrepiti si aggirano, sconsolati, tra le macerie di una casa mai più intonacata, e di una colombaia ormai vuota.
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