Blog Non mi aspetto che i sacerdoti ne facciano oggetto di edificanti omelie, né che i colleghi che insegnano Storia delle religioni le dedichino un corso universitario, ma solo che se ne sorrida per quello che è: una barzelletta raccolta nel ricchissimo deposito delle storielle amene. E non se ne adonti un popolo che ammiro, della cui cultura mi imbevo e alla cui leggendaria autoironia faccio appello
Questa è la mia lettura affettuosamente satirica dell’Antico Testamento. Non mi aspetto che i sacerdoti ne facciano oggetto di edificanti omelie, né che i colleghi che insegnano Storia delle religioni le dedichino un corso universitario, ma solo che se ne sorrida per quello che è: una barzelletta raccolta nel ricchissimo deposito delle storielle amene. E non se ne adonti un popolo che ammiro, della cui cultura mi imbevo e alla cui leggendaria autoironia faccio appello.
Un giorno a Javeh, cioè Dio, venne voglia di stringere un patto con un popolo della terra. Chiamò l’arcangelo Gabriele, il più fidato tra i suoi emissari. «Scendi tra gli uomini – gli disse – e cercami un popolo disposto a stringere un patto con me». Gabriele planò sulla terra, atterrando in una bellissima città, opulenta e fastosa, con cittadini riccamente vestiti a cui si rivolse: «Volete stringere un patto con l’Altissimo?».
«Potremmo – gli fu risposto – ma a quali condizioni?».
«A condizione di far vostro un comandamento e di rispettarlo».
«E quale?»
«Non fornicare».
Generale imbarazzo. Il più autorevole degli astanti si rivolse all’arcangelo: «Gentile amico, questa città è Babilonia, e come lei può constatare abbiamo raggiunto un livello di vita molto soddisfacente, viviamo negli agi e apprezziamo la bellezza. Da tempo abbiamo liberato la lussuria dagli stupidi scrupoli che ne impedivano le molteplici e affascinanti varietà, ci possiamo permettere di prendere dai nostri corpi tutto il piacere che vogliamo, possiamo anche pagare le estasi più raffinate e smodate. Perciò ci dispiace ma il vostro patto non ci interessa».
Deluso, Gabriele decollò da Babilonia e dopo un lungo volo decise di atterrare in un porto operoso, traboccante di traffici, tra una folla di mercanti, marinai e imprenditori. A un gruppo di loro, su un molo affollato, rivolse il suo invito: «Volete stringere un patto con l’Altissimo?».
«Potremmo – gli fu risposto – ma a quali condizioni?».
«A condizione di far vostro un comandamento e di rispettarlo».
«E quale?»
«Non rubare».
«Caro signore – gli risposero – sarebbe certo carino, ma noi siamo Fenici, viviamo di commerci, e come lei forse saprà nel commercio è difficile distinguere il profitto dal furto, anzi è lecito guadagnare qualcosa dalle transazioni, altrimenti saremmo ancora fermi alla preistoria e al baratto. No, quel patto non ci interessa».
Povero Gabriele. Dispiegò le sue ali per un ultimo tentativo. Sorvolò un deserto, e tra polvere e sassi avvistò un popolo che avanzava lacero e stanco, afflitto e malconcio. Stavolta volle sapere prima di chi si trattasse e lo chiese a un anziano patriarca: «Chi siete?».
«Siamo gli Ebrei».
«Bene. Volete fare un patto con Dio?».
«A quali condizioni?».
«Vi sarà imposto un comandamento».
Il vecchio non battè ciglio: «Quanto costa?».
«È gratis».
«Ah! Allora ne prendiamo dieci».
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