Libri e Fumetti «L’unico copyright che possiedo è quello sulla mia vita e sulle mie scelte umane e professionali, tutto il resto è fiction». Geniale, ardito, oculato, lo sceneggiatore messinese, dopo una carriera di romanzi, poesie e fiction tv di successo, torna con la fantasmagorica "Leuta", dove ancora una volta la disperazione esistenziale appartiene a uno scrittore. Reduce dalla candidatura all'ultimo Strega per la poesia, Falcone è un motore inarrestabile di arte e creatività
Pubblicato dall’indipendente Arkadia (casa editrice sarda che annovera diversi autori siciliani nel suo parco autori, tra questi anche il catanese Vladimir Di Prima e il panormita Rosario Palazzolo, ambedue candidati allo Strega), “Leuta” (pp. 236, € 18,00) sancisce il ritorno alla narrativa del messinese Mario Falcone, da oltre 40 anni cittadino romano dove si è affermato tra gli sceneggiatori più noti d’Italia: si ricordano di lui fiction televisive quali “Anita Garibaldi”, “Cuore, “De Gasperi”, “Einstein”, “Ferrari”, “La guerra è finita”, “Padre Pio” e vari altri. Il suo libro precedente – “Piccole pietre”, La Feluca Edizioni, candidato allo Strega nella sezione poesia, ne ha confermato il grande talento narrativo e la capacità di evocare emozioni profonde, proprio come succede nelle sue sceneggiature e nelle sue poesie. Tornando al suo debutto in Arkadia, il romanzo è ambientato sull’isola di Leuta, vera o immaginaria che sia lo dirà il lettore, ed esplora temi universali come memoria, identità e appartenenza.
La coralità delle voci, l’ambientazione vivida e l’intreccio tra reale e metafisico rendono l’opera intensa e coinvolgente. Con una scrittura raffinata, Falcone alterna momenti contemplativi e accelerazioni narrative, mantenendo viva l’attenzione. “Leuta” è un libro consigliato per chi cerca emozioni autentiche e riflessioni profonde, un’opera di grande spessore che lascia un segno duraturo. Il romanzo, che si è aggiudicato il #librocopertina nel nostro blog Massimo Volume nello scorso novembre, ci ha invogliato ad una chiacchierata con l’autore che si è gentilmente prestato per il nostro webmagazine.
Non è stato difficile – ringraziamo anche un amico in comune, il regista e scrittore Vladimir Di Prima, che lesse il libro ancora in embrione – individuare la prima curiosità da farci narrare.
Quali sono le principali differenze tra “Leuta” e le sue opere precedenti?
« I miei romanzi precedenti hanno toccato diversi generi: lo storico con “L’alba nera”, il mio romanzo d’esordio che racconta i cinque mesi che precedono il terremoto di Messina (pubblicato in Francia da Gallimard e uscito fuori catalogo dopo 14 anni), il noir, il romanzo d’inchiesta, lo storico contemporaneo con un romanzo a cui sono molto legato, dal titolo “La licenza”, e infine il romanzo di formazione dedicato ai ragazzi delle scuole medie. Insomma, ho cercato di non fossilizzarmi e seguire le mode, ma di sperimentare e sperimentarmi. ”Leuta” è un romanzo intimista, una scommessa, una sorta di specchio in cui ho guardato la mia vita avviarsi verso l’ultimo naturale segmento temporale. È un lenzuolo steso al sole che tutti possono vedere. Solo la generosità e la potenza della scrittura ti concede ciò».
Come il romanzo esplora il tema della circolarità e come si riflette nel percorso del protagonista Enrico Criaco?
«Il romanzo parte e arriva nello stesso punto, in mezzo c’è il magma incandescente della vita. La letteratura è piena di personaggi che compiono un percorso circolare come Ulisse e ‘Ndria Cambria di Horcynus Orca, tanto per citare i primi che mi vengono in mente. Nella vita di Enrico Criaco tutto ciò si riflette in una serie di autorivelazioni che lo portano a cercare quel “nuovo equilibrio” che sa di poter trovare solo a Leuta, cioè al punto di partenza».
In che modo Leuta funge da “pretesto” per fare i conti con il passato del protagonista?
«Essendo il buen retiro per eccellenza, Leuta ha tutte le caratteristiche per porsi come luogo adatto per risanare le tante ferite che Enrico si porta appresso. Sono tanti, troppi, i file rimasti ancora aperti che necessitano di una risposta per essere chiusi. Enrico ci prova, ma la vita ha in serbo altri programmi per lui che, inevitabilmente, riapriranno nuovi file».
Qual è il significato del “nostos” nel romanzo e come viene trattato?
«Il ritorno è pilone centrale, l’architrave su cui poggia l’intera narrazione. Il ritorno a casa ha tutta una serie di riferimenti simbolici che attribuiscono al luogo narrativo un’importanza basilare. Di solito i ritorni sono abbastanza controversi, così come c’insegna la letteratura, ma anche certo cinema, ad esempio mi viene in mente tutta la filmografia americana che ha raccontato l’amaro coming home dei soldati reduci dal Vietnam. Quello di Enrico è si pieno di spine ma anche di tutto l’amore che trova da parte di familiari e amici. È un “nostos” che equivale a una riscoperta non solo di sé ma del luogo che il protagonista lasciò cinquant’anni prima e che ritrova completamente diverso. Il ritorno di Enrico a Leuta è caratterizzato da una novità che lo vedrà insieme ai compaesani cercare di contrastare una multinazionale del divertimento decisa a trasformare Leuta vecchia – la parte disabitata dell’isola – in un resort di lusso per ricchi diportisti e miliardari amanti di quei luoghi mitologici. Perciò, il ritorno coincide anche con la difesa di quello che ha lasciato e che secondo lui dovrebbe rimanere intatto».
Come l’isola (vera o immaginaria?) di Leuta rappresenta un ambiente narrativo tipico della sicilianità e come questo influisce sulla trama?
«Pur essendo un’isola immaginaria Leuta (e la sua gemella Malia) rappresenta l’emblema della sicilianità non solo da un punto di vista morfologico, (isola di natura vulcanica, spiagge favolose, pesca, microclima, specie animali rare) ma soprattutto per gli abitanti e i loro antenati che si sono insediati nell’isola tanti secoli prima, portando dalla terraferma abitudini, lessico, cucina, modo di pensare e immaginare la vita, comprese le tradizioni e la profonda religiosità che a Leuta si manifesta nella totale devozione a San Rocco, santo protettore dell’isola. Leuta è un avamposto della sicilianità nel Mediterraneo; pur essendo più vicina alle coste africane, è siciliana alla radice e questo nella trama influisce in maniera profonda e continua».
Che ruolo giocano la memoria e i sensi di colpa nel cammino emotivo di Enrico Criaco?
«I sensi di colpa di Enrico sono così incisi nella sua memoria che fungono da metronomo e scandiscono ogni passo e ogni azione dell’uomo. Enrico ha una mission: affrontare, capire e risolvere i sensi di colpa che si porta dietro ormai da troppo tempo. Il ritorno a Leuta ha questo preciso scopo e cioè quello di far pace con sé stesso e con Dio attraverso un percorso di consapevolezza e di espiazione. La redenzione di Enrico passa proprio attraverso l’accettazione di sé come uomo fallibile e fragile, e la presa d’atto che solo attraverso l’ammissione della colpa, possa esistere la tanto desiderata redenzione».
In che modo la delicatezza della sua introspezione può catturare il lettore?
«Non lo so ma ci provo. Ad esempio, facendo leva sui sentimenti e su una onesta narrazione del fuoco che arde dentro l’anima del protagonista. Non nascondere nulla, leggere in controluce la storia e vederne la filigrana. Enrico è uno che gioca a carte scoperte e questo – a mio avviso – è uno dei segreti dell’appeal del personaggio».
Quali sono le implicazioni del “ritorno alle origini” per Enrico, sia sul piano fisico che emotivo?
«Al netto di ciò che la vita ha in serbo per lui e che per ovvi motivi non può nemmeno immaginare, sono devastanti, Leuta gli ha dato la vita ma gli ha tolto gli affetti più cari, di conseguenza nei confronti del posto in cui ritorna, dopo cinquanta anni, è decisamente in credito. Il piano fisico è spesso un’espressione di quello spirituale, anche qui attraverso una pervicace forma d’insonnia Enrico paga un prezzo altissimo. Insomma, tutto si paga, anche il “ritorno a casa”».
Come la figura di Enrico riflette le sfide e le ambizioni degli scrittori e delle persone che affrontano un bilancio con la propria vita?
«Enrico è un personaggio controverso, spigoloso ma non trucca il proprio curriculum, come fanno in molti. Affronta il dare e avere senza barare o fregare sul peso, le sue scelte sono dolorose ma nette e una volta prese non torna indietro. Pur essendo uno scrittore di successo, non se ne serve come un’arma, attribuendo più importanza a cose e situazioni meno effimere e più profonde come quel mare che risucchiò i suoi genitori».
Quale messaggio lei vuole trasmettere ai lettori più giovani attraverso la storia di Enrico e il suo cammino di consapevolezza?
«Non ho la presunzione di possedere alcuna facoltà di produrre e trasmettere messaggi a chicchessia o di insegnare niente a nessuno come oggi pretendono di fare in molti. Il romanzo è assolutamente privo di messaggi, è una storia sull’imprevedibilità della vita e sul superamento del dolore attraverso la sua accettazione. Se qualcuno leggendolo riuscirà a trovare un messaggio, un consiglio, una dritta o un’indicazione, potrà considerarli di sua esclusiva proprietà. L’unico copyright che possiedo è quello sulla mia vita e sulle mie scelte umane e professionali, tutto il resto è fiction».
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