Arte Il centro storico del paese nisseno si sta arricchendo di gigantografie di volti o scene di vita quotidiana, opere stampate su supporto forex che l'artista mussomelese, che ha fatto dell’inchiostro di china la sua cifra stilistica, ha donato per una fruizione pubblica: «Si tratta di immagini che richiamano la nostra antropologia culturale e alla quale sono molto legato»
Anno dopo anno la medievale Mussomeli, abbarbicata alle pendici del monte San Vito, si arricchisce delle opere del maestro Peppe Piccica che vorrebbe trasformare la Terra Manfridae in un immenso museo all’aperto, fruibile da tutti ad ogni ora del giorno e della notte. Già sono diverse le opere collocate lungo le vie del paese nisseno. Così chi arriva all’ingresso principale, fermandosi al crocevia più frequentato, ovvero tra la via Peppe Sorce, la via Palermo e la via Madonna di Fatima, può posare lo sguardo sul Colosseo, copia del disegno originale del maestro, realizzato con inchiostro di china, e riprodotto su un pannello di grande formato. Ma non è l’unico. Ce ne sono altri che impreziosiscono il centro storico di Mussomeli grazie all’intervento di vari sponsor che, dopo il primo pannello voluto dal gruppo Pensare Solidale, hanno condiviso il sogno dell’artista.
Come è nata l’idea di trasformare Mussomeli in un museo all’aperto?
«Come tutte le buone idee, è nata per caso, dall’intuizione d’un attimo. Mi trovavo presso l’Agenzia Sprescia di Vincenzo Sacheli, un’agenzia pubblicitaria, e rimasi incuriosito dalla stampa di una foto che lui stava riproducendo su materiale plastico, il cosiddetto forex. Chiesi se era possibile riprodurre anche i miei disegni e alla risposta affermativa, facemmo una prova. Il risultato fu di mio gradimento e chiesi al Comune l’autorizzazione ad affiggere quel pannello di grande formato ricavato da un disegno che avevo realizzato nel 1983. Si trattava dell’uscita dell’Addolorata dal santuario della Madonna dei Miracoli. L’autorizzazione venne concessa e il pannello lo attaccammo in Via Nettuno, dove a suo tempo sorgeva un antico bevaio. Un altro pannello della processione dell’Addolorata si trova in via Barcellona. Si tratta di immagini che richiamano la nostra antropologia culturale e alla quale sono molto legato».
Ed ecco allora il pannello raffigurante la struggente statua dell’Addolorata realizzata dal Biangardi, e portata in processione il Venerdì Santo dalla secolare confraternita Ss. Sacramento di San Giovanni Battista: un intenso momento di pietas popolare che sa di antropologia culturale e di memoria storica.
In altri due pannelli, sempre di grande formato, sono riprodotti il trecentesco castello manfredonico chiaramontano, posizionato in via Dalmazia, e Papa Francesco ritratto sotto la volta interna della cupola di San Pietro, nella centralissima piazza Umberto I.
Un’altra opera, Il confrate, già esposta nelle sale scuderie del castello manfredonico chiaramontano, si trova nel quartiere Sant’Enrico, dove è stata installata durante la Settimana dedicata alla festa di Gesù Nazareno, ovvero l’ultima domenica di settembre.
Tutti i pannelli sono realizzati in forex, materiale impermeabile che resiste alle intemperie, e raccontano anche scorci di vita mussomelese. Un’idea originale nata dall’indubbio estro di quest’artista di gran talento che, nell’estate del 2013, tributò l’ennesimo atto d’amore alla propria città con una mostra antologica che racchiudeva un’ampia selezione di disegni realizzati nell’arco di un’intera vita.
Quali altri pannelli ha realizzato oltre a quelli di cui abbiamo già parlato?
«Ho realizzato altri quattro pannelli, seppure di formato più piccolo, affissi nel quartiere San Giovanni Battista, dall’associazione Futtitinni nell’ambito di Battichiè la grandiosa manifestazione di luglio che fa rivivere la Mussomeli degli anni Quaranta. Quattro pannelli che richiamano delle immagini tratte da “Baaria”, il film del premio Oscar, Giuseppe Tornatore. Ho realizzato anche un altro pannello, appeso in via Barcellona, quartiere Madrice, che richiama il celebre “Quarto stato” di Giuseppe Pellizza da Volpedo. Un dipinto che ho sempre ammirato e che ho voluto riprodurre con un mio disegno».
Quali i luoghi prediletti per tale museo?
«Ho sempre avuto un debole per via Barcellona e la zona Madrice. Mi ha sempre affascinato la nostra Terravecchia. Percorrendo via Barcellona e le viuzze limitrofe, si raggiunge la chiesa di Santa Margherita, quindi si prosegue verso Via Minneci e da lì per Via Generale Cascino. Angoli bellissimi che senza nulla togliere agli altri bellissimi scorci di Mussomeli, per me hanno un fascino unico. Ricordo che da bambino giocavo in via Napoleone Colaianni dove al numero 7 abitava il fratello di mio padre. Ricordi legati all’infanzia dunque, quando quelle strade rigurgitavano di bambini che giocavano, si rincorrevano, le riempivano di vita. L’ultima volta che ci sono stato, invece, ho trovato il vuoto. Certo i tempi sono cambiati ma mi piangeva il cuore di fronte a tanta solitudine».
Quelli catturati da Piccica sono i volti e gli attimi fuggenti della gente di Sicilia, di Mussomeli in particolare, colti nella luce rivelatrice che l’artista focalizza con l’inchiostro di china, sua cifra stilistica ed espressiva. Tecnica affinata negli anni e padroneggiata con estrema perizia da quest’artista che ha messo ali tanto grandi da abbracciare per intero il mondo dell’arte. Nella sua produzione, oltre ai tanti scorci di Mussomeli ci sono anche paesaggi nordici, dominati da alberi innevati. Quegli alberi e quella neve che per l’artista rappresentano la solitudine che, prima o poi, afflige ogni uomo. Così come i cumuli di carcasse di auto, risalenti al periodo “rottamazione”, che mettono l’accento sull’abbandono, sul superamento di tutto ciò che l’uomo considera inutile e da rottamare, compreso se stesso.
Ma sono soprattutto i volti rugosi dei contadini offerti al sole del tramonto, degli anziani, gli scialli delle donne in processione e i volti dolenti delle madri, a restituire la vena più sensibile di questo artista che porta incise nel cuore Mussomeli e le tipicità made in Sicily.
Da ultimo, Piccica ha tratteggiato la disperazione dei migranti con un intenso disegno – collocato nel salotto di Mussomeli, in piena Via Palermo, sul muro del convento di San Francesco d’Assisi – utilizzato come manifesto per la grandiosa manifestazione Il lamento del Mediterraneo che ha visto riunire a Mussomeli, Paese delle Confraternite, i lamentatori provenienti da Sardegna, Corsica, Polonia e Georgia che si sono gemellati coi lamentatori locali. Disegno in cui traspare il dolore delle madri: lo strazio di chi ha perso i figli e non ha neppure un posto dove piangerli.
Un artista di grande sensibilità Piccica che anni addietro, a seguito del convegno finalizzato a dichiarare Mussomeli “Paese delle confraternite” e a iscriverlo nel Registro delle Realtà Immateriali, allestì una mostra di successo in cui erano raccolti i disegni che riassumevano i momenti salienti della Settimana Santa: l’uscita dell’Addolorata dalla chiesa di San Giovanni, la processione del Cristo morto, i ritratti di confrati, il popolo in attesa della processione, le vare portate a spalla la sera del Giovedì Santo.
Quelli di Piccica sono disegni che sanno toccare le corde più nascoste delle emozioni che la Settimana Santa riesce ad evocare, da secoli, nella comunità. Dopo aver vissuto a Palermo – durante gli studi universitari – e Parigi, Piccica per un periodo ha lavorato al nord Italia per poi ritornare a Mussomeli, sua città natale, che è la sua fonte primaria d’ispirazione.
Della vasta produzione dell’artista vanno ricordati anche gli altri scorci del paesaggio dell’entroterra siciliano, ma sono senza dubbio i volti, visti attraverso l’occhio di questo artista che è anche un eccellente fotografo, che Piccica riesce a restituire magistralmente attraverso l’inchiostro di china.
Di lui il grande fotografo Melo Minnella ha scritto: “Invidio la pazienza certosina e da incisore che traspare nella maggior parte delle opere di Piccica, le architetture barocche e l’urbanistica popolare non degradate dalla presenza di automobili e insegne pubblicitarie, le processioni della Settimana Santa e della varie congregazioni che, forse per fortuna o per la tipica indolenza del mussomelese a non propagandare le poche cose buone che ancora ci restano, non si sono trasformate in occasioni di folk festivals”.
Da ultimo, il grandioso museo all’aperto ha visto collocare la gigantografia della regina Elisabetta in Piazza Umberto: omaggio a una terra che da oltre mezzo secolo ha assicurato un futuro a tanti emigrati di Mussomeli, che hanno avuto l’opportunità di mettere a frutto le proprie potenzialità e il loro talento, nei più svariati mestieri. Il posizionamento del pannello è stato filmato da una troupe inglese per il format in sei puntate che lancerà, anche in Inghilterra, il progetto case a 1euro voluto dall’amministrazione comunale del sindaco Catania. «Ho voluto caparbiamente realizzare il pannello della regina Elisabetta perché da parecchi anni avevo in mente di rendere un pubblico omaggio alla sovrana inglese – dice Piccica -, massima rappresentante di una nazione che nel corso degli ultimi decenni ha, in maniera esemplare, accolto tantissimi lavoratori provenienti da Mussomeli che fuggivano da uno stato di assoluta miseria. La realizzazione di un pannello celebrativo è il minimo che potevo fare. Quindi grazie Regno Unito e grazie regina Elisabetta».
Incurante di chi storce il naso, il maestro Piccica continua, oltre che a disegnare, a coltivare l’idea di trasformare la città di Manfredi in un Museo all’aperto con opere fruibili da tutti, forte dell’insegnamento di Dostoevskij che ne “L’idiota” scrive “La bellezza salverà il mondo”. E a riprova della bellezza delle opere di questo maturo artista, c’è la sua inclusione alla selezione nazionale di artisti contemporanei la cui mostra venne realizzata nelle prestigiose Sale del Bramante di Piazza Del Popolo, a Roma; e una sua opera pubblicata nel catalogo “Italiani selezione d’arte contemporanea” a cura di Vittorio Sgarbi: un confrate con tunica e lanterna, simbolo di Mussomeli.
Il noto critico d’arte nella sua prefazione scrive: “Ritengo che ogni artista abbia diritto alla creatività e nessun critico può stabilire la sua inadeguatezza o inammissibilità. Per questo ho deciso di seguire, insieme con la casa editrice EA, un percorso di conoscenza e un metodo di studio del panorama artistico contemporaneo che si rifanno alla tradizione dei “Salons des Refuses” francesi nei quali fu possibile riconoscere, in tempi meno difficili e affollati, artisti come Manet e Gauguin”.
«E pensare che quel mio disegno – conclude l’artista – pubblicato a pagina 164 di questo magnifico catalogo, risale al lontano 1983, quando ancora molti di coloro che leggeranno questo articolo non erano neppure venuti alla luce».
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