Recensioni Affascinante concerto del compositore e violoncellista palermitano al Teatro Massimo Bellini di Catania. Nella prima parte è stato direttore e solista nello splendido Concerto n. 2 in re maggiore per violoncello e orchestra di Haydn, seguito dalla sua Suite “Terra con variazioni” del 2015; nella seconda parte, nei panni di compositore e direttore, ha presentato uno Stabat Mater con testo in siciliano, creazione di Filippo Arriva, per coro e orchestra
Giovanni Sollima non ha bisogno di presentazioni. E’ un musicista geniale, originale, grintoso, che ha fatto della musica la sua più profonda cifra esistenziale. Ma soprattutto è un grande sperimentatore, un uomo che osa e ama il rischio e le vette tecniche. Le cose facili, a quanto pare, lo annoiano. E così si è rivelato nell’affascinante serata dell’11 (con replica il 12 dicembre) che si è tenuta al Teatro Massimo Vincenzo Bellini di Catania nell’ambito del recupero della stagione sinfonica dell’anno precedente, dunque in una generale atmosfera di entusiasmo e ripartenza.
E Giovanni Sollima ci ha messo tutta la grinta e l’energia cui ci ha abituati, calandosi in varie vesti e con un programma oltremodo vario che ha sicuramente evitato noia e monotonia, spaziando dal classico al contemporaneo. Nella prima parte è stato, infatti, direttore e solista nello splendido Concerto n. 2 in re maggiore per violoncello e orchestra di Haydn, seguito da una sua composizione, la Suite “Terra con variazioni” del 2015; nella seconda parte, nei panni di compositore e direttore, ha presentato una novità assoluta del 2021 in prima esecuzione mondiale, uno Stabat Mater la cui peculiarità è stata la veste linguistica in siciliano, creazione di Filippo Arriva, per coro e orchestra. Il tutto intervallato dall’intervento di due validissimi solisti: il controtenore Raffaele Pe e Lina Gervasi al theremin.
Un programma, dunque, che incuriosiva e allettava. E le speranze non sono andate deluse. Nel concerto di Haydn Sollima ha avuto modo di manifestare tutta la sua abilità tecnica, sulla scia dello spirito con cui il compositore viennese compose questa pagina: valorizzare il violoncello come strumento solista e trattarlo come un mezzo autonomo di canto. Sollima, accompagnato dalla brava orchestra del Massimo (cui ha saputo infondere il giusto ritmo), ha accettato e vinto d’un balzo la sfida, soprattutto nel brillante finale, un pezzo di incantevole effetto, una pietra di paragone solida, una vetta espressiva difficile da conquistare.
Eppure, ad essere sinceri, il bello è venuto dopo. Perché le pagine contemporanee non solo non hanno affatto deluso, ma si sono rivelate emozionanti e musicalmente accattivanti.
La Suite “Terra con variazioni” è nata in modo insolito, come jingle commissionatogli dall’Expo in città a Milano. Ma il violoncellista, da un brano di un minuto, riecheggiante dalla metropolitana ad altri luoghi della città, è stato in grado di ricavare delle variazioni, che lo hanno reso godibilissimo e soprattutto capace di comunicare col pubblico, grazie anche all’esecuzione frizzante, dinamica, travolgente a tratti, una vera miscela di bravura e simpatia, come da tanto tempo non si vedeva al Massimo.
Infine è stata la volta dello Stabat Mater, che già di suo, per antica tradizione, rappresenta una pagina intima, centrata sulla figura della mater dolorosa, la vera protagonista della Crocefissione di Cristo. Ad impreziosire questa nuova inedita versione il meraviglioso, icastico, drammatico dialetto siciliano di Filippo Arriva, scrittore, giornalista e drammaturgo di chiara fama, da sempre innamorato del teatro musicale. Tutto ciò nell’ottica, tanto cara al commissario straordinario Daniela Lo Cascio e al sovrintendente Giovanni Cultrera, di promuovere la commissione di nuove opere a prestigiosi autori siciliani, affidandone l’esecuzione alle proprie formazioni orchestrali e corali.
Il risultato si è rivelato al di sopra delle migliori aspettative. La Madunnuzza di Arriva, sostenuta dal genio compositivo di Sollima, dalla splendida voce del controtenore Raffaele Pe e dall’attenta esecuzione al teremin di Lina Gervasi (davvero un’altra vera e propria voce), ha convinto tutti, regalando momenti di pura emozione e rendendo il pur non sempre musicale dialetto siciliano, un idioma dolcissimo e rivelatore. La scrittura visionaria e febbrile, posta al servizio di un abile gioco di strumenti, ha donato all’insieme un carattere di profonda ritualità e cocente intimità.
Giovanni Cultrera e il direttore artistico Francesco Nicolosi, con questa riuscita serata, mettono così un’altra freccia al loro arco. Si procede nel solco della tradizione, ma strizzando l’occhio alla produzione contemporanea. Osando, sempre.
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