Calici & Boccali «Nel 2021 sono state prodotte 21.126.895 milioni di bottiglie di Grillo Sicilia DOC, +26 % rispetto ai 16.707.274 del 2020». Il dato viene da Antonio Rallo, presidente del Consorzio di tutela dei vini Doc Sicilia, e diffuso durante la masterclass "Discovery Grillo" che si è tenuta a fine giugno a Marsala che ha fatto conoscere le tante sfaccettature di un vitigno eclettico e vigoroso, nelle diverse aree di produzione, dal mare alla collina
Il “Grillo” uno e… centomila! O tutto quello che avreste voluto sapere sul Grillo e non avete mai avuto il coraggio di chiedere. Si potrebbe sintetizzare così, parafrasando il titolo di un celebre fim di Woody Allen, la masterclass “Discovery Grillo”, tenutasi a fine giugno a Baglio Oneto a Marsala organizzata dal Consorzio Doc Sicilia. Guidata da Antonio Rallo, presidente del Consorzio e dall’enologa Lorenza Scianna, la masterclass ha fatto conoscere le tante sfaccettature di un vitigno eclettico, nelle diverse aree di produzione, dal mare alla collina, da Palermo a Ragusa e Siracusa, passando per il centro Sicilia, Agrigento e Caltanissetta ed infine Trapani, laddove occupa la maggiore superficie vitata.
Tra ieri, oggi e domani, il racconto puntellato da dati scientifici, storie, aneddotti e curiosità ha accompagnato la degustazione, rigorosamente alla cieca, annata 2021, del “bianco” siciliano più conosciuto e amato nel mondo, di sei bottiglie di vino rappresentative di altrettanti diversi terroir e condizioni pedoclimatiche differenti dei circa 8.500 ettari sui quali si coltiva questa varietà autoctona. Una storia affascinante non priva di colpi di scena che esalta l’unicum di questo vitigno dal grappolo compatto, figlio della luce che gli conferisce un buon 57% di norisoprenoidi che regalano sensazioni di fiori esotici, frutta matura e tropicale.
Detto anche “Riddu” dai contadini che amavano quel vino come il frinire piacevole dei grilli nelle sere d’estate, il “Grillo” è un vitigno contemporaneo. Frutto di un incrocio tra il Catarratto Bianco (oggi detto Lucido) e lo Zibibbo, ottenuto a fine ‘800 dall’ampelografo barone Antonio Mendola di Favara, perchè portasse aromaticità e struttura al Marsala, che lo chiamò “Moscato Cerreti” in omaggio al padre della prima scuola di viticultura, il Grillo ha una vigoria elevata, tanto che dopo l’era disastrosa della fillossera è stato il vitigno più impiantato in tutta la Sicilia. «E’ un’uva con una particolare intelligenza adattativa – lo ha definito l’enologa Lorenza Scianna -. La Sicilia si presenta come un mosaico molto eterogeneo per orografia, clima, suoli, escursioni termiche, temperature e piovosità: a seconda di dove si trova, il Grillo si adatta all’ambiente e si esprime in maniera diversa, pur mantenendo sempre un’identità precisa».
Non solo Marsala. Nel 1976 Bruno Pastena intuì le sue potenzialità perchè potesse dare vita a “vini da pasto di buona finezza”. Il suo exploit nel 2017 quando entra a gamba tesa nella Doc Sicilia dove può essere univocamente rivendicato nella menzione in bottiglia. «Un vero e proprio caso di successo – commenta Antonio Rallo, presidente del Consorzio Vini Doc Sicilia -. Nel 2021 sono state prodotte 21.126.895 milioni di bottiglie di Grillo Sicilia DOC, +26 % rispetto ai 16.707.274 del 2020. Il Grillo si distingue tra le oltre 70 varietà autoctone della regione, in virtù di caratteristiche qualitative e di versatilità uniche: per profumi, struttura e vivacità».
“Riddu”, ha una produttività alta grazie al peso medio superiore alla media, e il suo accumulo degli zuccheri avviene tra luglio e agosto. E come sarà il Grillo di domani? «Nei prossimi 50 anni sono previsti aumenti di temperatura media da 1 a 5 gradi in più, e simili aumenti vanno a incidere su tutti i metaboliti della vite – dice Rallo -. La viticoltura dovrà essere sempre più un lavoro di precisione: dovremo usare sempre di più tutti i mezzi tecnici a disposizione per pianificare il lavoro più opportuno, in modo da non disperdere più nulla, né acqua né trattamenti». Una sfida, quella del cambiamento climatico, cui non possiamo sottrarci. «Fare finta di niente non serve – ha sottolineato Lorenza Scianna – e soprattutto non ce lo possiamo permettere. Io mi fido del Grillo perchè ha una vigoria molto importante. Ma noi – aggiunge – dobbiamo fare la nostra parte intervenendo con ogni mezzo possibile, modificando la gestione della chioma, cambiando forme di allevamento, portinnesti, orientamento dei filari».
Prioritario per il Consorzio della Doc Sicilia, custodire il “Vigneto Sicilia”, il più grande d’Italia con i suoi 98.000 ettari, in Europa, pari alla Germania e nel mondo misura tre volte il vigneto della Nuova Zelanda. Inoltre la Sicilia, è la prima regione in Italia per superficie vitata in biologico. A supporto della qualità , ha preso già il via il progetto “Valorizzazione del germoplasma viticolo” con l’obiettivo di conservare la biodiversità generata dai 3.000 anni di viticoltura nell’Isola e le sue varietà autoctone. L’intento è quello di creare una filiera corta e certificata che garantisca l’integrità sanitaria e l’identità varietale intervenendo a monte, dotando cioè i vivaisti di materiale di base da cui ottenere un prodotto certificato da fornire alle aziende. Allo stato attuale, le piante prodotte con la prima annualità del progetto sono state impiantate, a cura del Consorzio Vini DOC Sicilia, in due diversi appezzamenti in agro di Mazara del Vallo e Petrosino.
E proprio qui, a Petrosino, il comune più vitivinicolo d’Italia, filari di Grillo affondano le loro radici sul terreno sabbioso, affacciati a perdita d’occhio sul mar Mediterraneo. In questo angolo di Sicilia, dove non di rado si raggiungono temperature molto elevate, si raccontano storie di vita e di viti. Il Grillo qui sa di sole e di sale. «Si racconta che quando a causa delle alte temperature si lasciavano appassire gli acini di Grillo – spiega Gaspare Baiata, agronomo e presidente di Cantine Paolini – una volta raccolti si mettevano in un recipiente con dell’acqua di mare che gli davano un gusto sapido e serviva anno dopo anno a fare il vino perpetuo con il metodo Soleras». Dallo spumante al passito, da vino fermo a uva da tavola dolce da mangiare, con il Grillo si fa anche il pesto. Curiosità. «Gli acini pestati trasformati con l’aglio rosso di Nubia in una salsetta servivano ad insaporire – racconta Baiata – i pesci salpa. Da qui il nome in dialetto siciliano dei pesci manciaracina».
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