Audio Il terzo album del musicista taorminese, alter ego rockeggiante del videomaker Antonio Limina, pubblicato dalla etnea Viceversa Records/Seltz Recordz, tra sonorità new wave, quasi darkeggianti, con molta elettronica analogica, se non proprio vintage, dentro, racconta di un campionario di esistenze decisamente marginali, disperate e danneggiate a più livelli: «Un viaggio musicale, a tratti quasi allucinatorio e, se vogliamo, pure funebre»
«Quando iniziai a scrivere “Love in the morgue” ebbi la netta sensazione che stavo per inoltrarmi in un territorio pericoloso. Per molti versi insano. Seguendo rabdomanticamente i personaggi e le situazioni raccontate nell’album – man mano che le canzoni prendevano forma – mi sono trovato davanti a un campionario di veri e propri casi umani: esistenze decisamente marginali, disperate e danneggiate a più livelli». Amore all’obitorio, un titolo forte per Tony Lemon, l’alter ego rockeggiante del videomaker Antonio Limina, artista taorminese a tutto tondo che caratterizza con questo titolo un album che porta indietro nella memoria musicale rock con quelle sonorità new wave, quasi darkeggianti, con molta elettronica analogica, se non proprio vintage, dentro. Dieci brani pubblicati dalla etnea Viveversa Records/Seltz Recordz, etichetta sempre pronta a cogliere le migliori realtà rock della Penisola, con distribuzione Believe.
«Stavo in altre parole attraversando, mi si perdoni il nobile paragone, le “terre desolate” di Eliot – prosegue Lemon/Limina -. Insomma, qualcosa del genere. Il registro, mio malgrado, sembrava essere quello. Del resto, non è mai facile capire quale sia l’esatto confine che separa la vita vera dalla pura invenzione. È molto probabile che i due mondi si nutrano a vicenda. Dai, sappiamo che, più o meno, funziona così. E, in effetti – pensandoci bene – il disco mi sembra il risultato di un classico processo di sedimentazione preceduto da una fase di violenta e nerissima macerazione. Mettiamola sul piano della simbologia alchemica, su. Possiamo chiamarla elaborazione? Chiamiamola così. Alcune canzoni erano venute fuori già nel mondo pre-Covid. È un album che ha avuto una lunga gestazione. Con molte pause. Le contingenze della vita – che sia la tua o quella degli altri – ti impongono delle soste forzate. Ma non è necessariamente un male. Questo ti permette di guardare a ciò che fai con più distacco».
L’album è stato annunciato da due singoli, “A thug on the run” uscito a giugno: «Praticamente un inno al dionisiaco. Trasformazione e rinascita. “Just give me a resurrection of my flesh. Right here, right now”. E qui che voglio rinascere. Su questa terra».
L’ultimo “The last call” è stato pubblicato lo scorso 7 luglio: «Per qualche strana ragione ho sempre pensato che questa canzone avesse a che fare con un passato lontanissimo. Insomma c’è nell’aria qualcsa di epico e arcaico. Potremmo essere dalle parti di Alessandro Magno o giù di lì. Ma non ne sono sicuro. Comunque è un’altra storia di sopraffazione e vendetta». I due video, rigorosamente in bianco e nero, sono stati realizzati dallo stesso Limina.
Antonio Limina si è sempre mosso con una certa disinvoltura negli ambiti della scrittura, delle immagini e naturalmente della musica, cercando di far convivere il
più possibile questi mondi. Dopo gli studi, ha approfondito la storia del cinema, le tecniche di narrazione e la regia; negli ultimi quindici anni ha alternato l’attività di filmmaker, realizzando cortometraggi di finzione, lavori di reportage ecc., a quella di musicista. Solo all’inizio del 2013 pubblica il primo singolo, “Unforsaken”, con la Acetone Music, indie label londinese. Mesi dopo, con la medesima etichetta, pubblica il primo album dal titolo “Out of date”. Seguono altri due singoli: “Touched by the sun” e “Urban disease”. Arriva quindi il secondo album, “Some Health Issues”, che Seltz Recordz pubblica nell’ottobre del 2017. Durante gli ultimi anni ha curato diversi progetti fotografici e la scrittura di soggetti senza abbandonare la pre-produzione di un lungometraggio di esordio per il cinema. Tra il 2018 e il 2019 con i suoi Jealous Guys, ha portato in giro un progetto dedicato agli anni newyorkesi di John Lennon.
Lo scorso anno sono iniziate le registraazioni del terzo album: “Love in the morgue”. Si lavora alacremente su dieci tracce alla vecchia maniera: il disco va suonato prima insieme alla band per trovare il suono giusto. Poi, si procede alla registrazione vera e propria: il solito esaltante viaggio tra dubbi, scazzi e momenti di esaltazione e compagnia bella, con la possibilità di utilizzare gli ultimi gioielli dell’era analogica arrivati da Londra al RecOnBlack Studio come ad esempio un leggendario Korg MS10 prodotto nel 1978 o un ampli Fender del 1965.
Tony Lemon: «Ero cosciente del fatto che questo viaggio musicale, a tratti quasi allucinatorio e, se vogliamo, pure funebre, avesse la strana caratteristica di essere come “emotivamente postdatato”. In qualche modo è il frutto di contenuti emozionali che erano rimasti congelati per molto tempo. Quindi, intrappolati in una bolla relativa a qualcosa di consunto. Stelle morte, in sostanza. Quando abbiamo iniziato con le registrazioni vere e proprie in studio, ero già una persona diversa. Non necessariamente migliore. Tuttavia, ho trovato estremamente interessante lavorare con questo stato d’animo; mi ha permesso di operare come un entomologo, smontando pezzo per pezzo gli scheletri che avevo conservato lungamente nell’armadio. E, alla fine, trovi sempre la forza taumaturgica e consolatoria del vuoto. Ma questa è un’altra storia».
Testi e musica di “Love in morgue” sono di Tony Lemon che ha contribuito all’album anche con voce, cori, chitarre, synths and strings. Ottavio Leo, che ha curato la produzione artistica dell’album con Limina, ha suonato il basso, programming, e moog, Andrea Nunzio la batteria, Enzo Longo la chitarra. Registrazione, mix e mastering sono stati curati da Ottavio Leo al RecOnBlack Studio di Santa Teresa di Riva (Messina).
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