Mestieri perduti Quando aveva 5 anni Renato Guttuso gli scrisse una dedica: “possa essere degno di portare il glorioso nome dei Ducato”. Oggi sotto lo sguardo attento della gatta Gigia, l'architetto bagherese ha perpetuato la tradizione di famiglia di essere un decoratore non solo di carretti siciliani ma di qualsiasi oggetto adornato con le sue pitture ad olio che raccontano la cultura dell'anima siciliana intrisa di leggenda, storia e melodramma: «Da anni chiedo all'Istituto artistico di Bagheria di fare un laboratorio dedicato al carretto siciliano perché se ne possa conservare la memoria»
Gigia ha scelto un luogo davvero insolito dove vivere, tra barattoli piccoli e grandi, muovendosi con grazia felina in una miriade di pennelli di qualsiasi foggia e oggetti sparsi in disordinato ordine sul tavolo dove poggia le sue zampette grigie spruzzate di bianco. Trascorre gran parte del tempo accovacciata sui cuscini di una vecchia sedia accanto a quella dell’artista o gli fa le fusa ferma sulle sue ginocchia, seguendo per ore i suoi movimenti mentre lui, con certosina pazienza, dipinge i particolari “ri masciddari”, delle ruote e il fondo cassa. «E’ capitata per caso sette anni fa qui e da allora mi fa compagnia nelle mie lunghe giornate di lavoro che iniziano già di buon mattino e durano fino a tardi».
Si scambiano uno sguardo complice, la gatta grigia dagli occhi verdi e il maestro Michele Ducato, 47 anni, uno degli ultimi eredi di un’antica e celebre dinastia bagherese di un mestiere ormai in via d’estinzione: «Il pittore di carretti» scandisce con orgoglio le parole, Michele che fin dall’età dei 5 anni, con il pennellino tra le piccole dita sotto l’occhio attento di papà Peppino, dipingeva quello che Renato Guttuso, definiva il “simbolo della fantasia, della fierezza, della vitalità del popolo siciliano”. E’ un antro magico la sua bottega che racchiude i colori del sole, il rosso ed il giallo ed il blu di quel mare che lambisce Bagheria, la sua città natale impreziosita da ville storiche dove un tempo i nobili andavano a villeggiare. Lo sguardo si perde ad ammirare i decori dei grandi carretti che esaltano, capolavori d’arte unici, la maestria del padre e del figlio insieme.
Alle pareti, le foto, alcune in bianco e nero, raccontano la tradizione di famiglia. Fu il nonno Michele, nel 1895, ad aprire a Bagheria la prima bottega davanti Villa Cattolica, quando il carretto siciliano serviva ai contadini per il trasporto delle merci. Poi i figli, Onofrio, Giovanni, Domenico e Giuseppe, malgrado le difficoltà, continuano a coltivare la passione della pittura del carretto. «Negli anni della guerra – racconta Michele – per combattere la crisi, cambiarono nome alla vecchia bottega con un’operazione di marketing che risentiva del moderno influsso dei tempi». Nacque così la Ducato Bros Pictures dove passò anche Carlo Levi che nel suo romanzo “Le parole sono pietre” così la descrive : “Dappertutto nella bottega stavano sportelli e pannelli e casse di fuso intagliate con San Giorgio, coi ferramenti e gli arabeschi e chiavi scolpite col Bambin Gesù e barroni con le loro teste e traversine o chiomazzelli, fondi cassa e tavolazzi: tutte le parti di quei meravigliosi strumenti che percorrono le strade di Sicilia, preparate e dipinte secondo i prezioso disegni tramandati dal padre, di cui era piena una grande cassa, in un angolo”.
Grazie alla mostra del 1978 “Forme e colore del carretto siciliano” organizzata a Palazzo Fatta di Palermo, la pittura dei carretti mutò, puntando sulla raffinatezza stilistica della rappresentazione, prescindendo dalla sua funzione originaria. «Cambiò la committenza – racconta Ducato -. Il carretto ormai veniva richiesto da professionisti, collezionisti, docenti che ritrovarono nel carretto con le sculture di cui si adorna, le figurazioni ed i racconti pittorici delle fiancate, la massima espressione della cultura del popolo siciliano. Avevo sei anni – continua – e ricordo il grande fermento che ci fu attorno alla valorizzazione del carretto».
Seguendo l’onda, il piccolo Michele diede spazio alla fantasia ed alla creatività per raccontare con le sue pitture ad olio la cultura dell’anima siciliana intrisa di leggenda, storia e melodramma. La passione cresceva e Michele sapeva già con certezza cosa farà da grande. Aveva appena 5 anni quando Renato Guttuso che frequentava spesso la bottega, gli scrisse una dedica profetica con l’augurio che “possa essere degno di portare il glorioso nome dei Ducato”. Michele si emoziona ancora guardandola. Di lui e dell’unicità del carretto, definito “il racconto itinerante della Sicilia”, hanno scritto riviste nazionali ed internazionali ed anche “Topolino” della Walt Disney gli ha dedicato un’intervista. Invitato alla trasmissione televisiva di Pippo Baudo, “1 su 100” lo accompagnò, perché non ancora maggiorenne, un «papà felice ed orgoglioso», ricorda Michele.
Michele Ducato ha studiato all’Accademia di Belle Arti, si è laureato in Architettura e nei ritagli di tempo, con i suoi colori ad olio, dipinge le gesta dell’Opera dei Pupi sui carretti. Negli anni sono nate collaborazioni importanti come quella con il pittore Bruno Caruso che gli chiese il permesso di mettere la sua firma accanto alla sua. «Restai di stucco di fronte a quella richiesta -ricorda con emozione -, ero io che mi sentivo onorato del suo prezioso contributo. Mi diede una grande lezione di vita, la grandezza dell’umiltà». Nel 2015, i motivi decorativi del carretto disegnati da Michele Ducato diventarono fashion con la coppia glamour della moda, Dolce e Gabbana. «Quando ricevetti la telefonata pensai all’inizio fosse una presa in giro. Ben presto, però, mi dovetti fortunatamente ricredere». Fu un successo.
Anche gente comune gli chiede di dipingere altri oggetti con le decorazioni dei carretti, come gli orologi ma Michele non si è montato la testa. Ogni giorno apre la sua bottega e con i suoi strumenti, oggi come allora, continua a fare l’unico mestiere che sa e vuole fare in compagnia della sua Gigia. Da un astuccio di latta estrae un pennello dal nome particolare, lo scapidduzzu. «Per i pittori di carretti è indispensabile. Lo ha costruito mio padre con il pelo della pancia delle capre. Serve per tracciare – dice mostrandomele con il dito con su gli occhi la lente d’ingrandimento – delle sottili linee finissime colorate nell’intercapedine delle ruote». Oggi Ducato coltiva una speranza: «Da anni chiedo all’Istituto artistico di Bagheria di fare un laboratorio dedicato al carretto siciliano perché se ne possa conservare la memoria». Instancabile, sta lavorando, sotto lo sguardo vigile della sua Gigia, ad un’esposizione che celebrerà, oltre lo Stretto, l’evoluzione della pittura dei carretti siciliani della bottega di Giuseppe (scomparso nel 2012) e Michele Ducato. Perché il futuro ha radici lontane.
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