Blog Con mani veloci la padrona le afferrava senza neanche guardare e, sembrando che avesse gli occhi sulle dita, le sceglieva per fissare lenzuola ed asciugamani ingombranti. Le posizionava sulla corda più esterna, mentre riservava le altre due ad indumenti meno ingombranti e più leggeri, a cui destinava esclusivamente le pinze di plastica...
Le mollette da bucato in plastica stavano lì, gran pavese multicolore in attesa dei panni da stendere. Si dondolavano, oziando al leggero vento del mattino sulle corde da bucato strettamente ancorate con più nodi ai ferri saldati alla ringhiera del balcone, lato cucina, di un terzo piano, di una via qualunque.
Quel giorno di fine maggio il sole stava alto nel cielo e scottava in un preoccupante anticipo estivo. Le mollette di plastica si sentivano incandescenti ma, neanche sotto tortura avrebbero confessato il desiderio di ritirarsi nel piccolo cestino di vimini, dietro il sacchetto delle cipolle, accanto alla bombola del gas. Nella loro attesa si guardavano attorno sbirciando in alto ed in basso invidiose nel vedere negli altri piani i fili da stendere vuoti, cosa che denotava un cura ed una attenzione casalinga che la loro padrona, impegnata com’era in attività inutili, palesava solo di tanto in tanto. La cosa non avrebbe avuto alcuna importanza se negli ultimi tempi non ci fosse stata una vera e propria moria tra loro.
Accadeva infatti che, per una sorta di epidemia, di colpo si rompessero in un punto preciso che le più ansiose avevano definito “punto estremo di deformazione”.
Tra loro non parlavano mai di questo, ma sapevano tutte benissimo come avveniva la rottura: la padrona afferrava le mollette, e quando andava per posizionarle sull’indumento bagnato zac … si sgretolavano tra le mani, e via giù a precipizio fino al cortile. Molte cadevano davanti la soglia della carrozzeria, destinate ad essere maciullate dalle vetture in continuo movimento.
Le mollette di plastica affrontavano dunque quella nuova evenienza tragica proprio nel nuovo tempo della maturità, quando l’apparenza cede il posto all’essenza e svela l’inganno del tempo. Come erano lontani i tempi quando nuove di zecca, appena libere dal cellophane, si pavoneggiavano sgargianti davanti alle mollette in legno che reputavano tristi, ordinarie e tutte uguali tra loro. Quelle d’altronde inghiottivano bene l’insulto, sapendo come sarebbe andata a finire.
Le mollette in legno, infatti, erano consapevoli del valore delle loro salde ganasce le cui origini a stelle e strisce risalivano a metà ’800, quando un certo David M. Smith di Springfield le inventò e le brevettò con successo.
La signora, trafelata, aprì le imposte recando con sé il catino pieno di biancheria da stendere, e la sua agitazione si propagò a tutti. Adesso occorreva disporsi al lavoro e fare una buona accoglienza a quei panni tutti bagnati e sicuramente stressati dalla centrifuga, che adesso venivano sciorinati con violenza. Alle mollette in plastica però non sfuggì che, da qualche tempo, per la biancheria voluminosa che doveva essere stesa in prima fila, la signora ricorresse solo alle vecchie mollette in legno. Queste infatti, nonostante esibissero agli estremi dei rebbi le mutilazioni dovute all’umido che le macerava, risultavano molto più durature e sicure.
Con mani veloci la padrona le afferrava senza neanche guardare e, sembrando che avesse gli occhi sulle dita, le sceglieva per fissare lenzuola ed asciugamani ingombranti. Le posizionava sulla corda più esterna, mentre riservava le altre due ad indumenti meno ingombranti e più leggeri, a cui destinava le pinze di plastica.
Le tre corde da bucato, distanziate le une dalle altre, soggiacevano nervose e duttili al peso della biancheria e al morso delle mollette. La corda più distante dalla ringhiera era destinata a lenzuola ed asciugamani ingombranti; si evitava così di farle lordare al parapetto o al muro del bancone.
Ai capi stesi piaceva la ventilazione. Nella danza fluttuante e seducente i teli da letto acquisivano di se stessi un’immagine lontana dal reale: liberi dal vincolo al materasso, alle coperte e all’odore di corpi dormienti, in presenza di poco vento si divertivano a spaventare le mutandine dei bambini fingendosi tetri sudari di incorporei fantasmi, ma quando il vento diventava capriccioso si lasciavano andare e diventavano vele di galeoni. Gonfie e tese come capitani di ventura, conducevano veloci gli scafi lungo i percorsi liberi e misteriosi del cielo. Spiegandosi all’aria, sembrava portassero folate odorose di mare con cui correggevano la realtà e sceneggiavano quei sogni intensi e rapaci come i raggi del sole siciliano.
Strofinacci da cucina, le canottiere ed i piccoli tovaglioli relegati alla seconda corda ascoltavano rapiti le storie dei mari in tempesta, i salti dei pesci volanti e dei delfini, ed i canti dolenti dei marinai lontani dai loro amori. Il tempo trascorse, e il pomeriggio segnava con ombre diverse i profili delle cose. La giornata era stata calda, il vento era calato e la biancheria probabilmente era pronta per essere ripiegata e riposta. La signora venne a controllare: bene, era tutto asciutto! Cominciò a raccogliere biancheria e mollette, ma si accorse che due mollette di plastica erano un po’ storte… le guardò, indecisa se buttarle o no, mentre quelle trattenevano il fiato.
Non le buttò, e non per clemenza, ma perché il sacco per la plastica era già chiuso. Così finirono ancora una volta, forse l’ultima, dentro il cestino, scampando al loro destino, per il momento solo differito.
-“Non mi va di spegnermi nel fiore degli anni” disse la molletta verde a quella rossa
-“Non ti preoccupare – rispose la molletta rossa – adesso cerco di raddrizzarti …. sai, il punto di rottura è microscopico” – poi aggiunse – “non temere, in ogni caso, ce ne andremo assieme”.
Nessuno le aveva mai detto che la solidarietà fosse un rimedio all’angoscia della preoccupazione, ma con molletta verde funzionò. Stettero un po’ assorte, ognuna nei propri pensieri, il sonno le prese a tradimento, forse anche perché stordite dall’odore di cipolla che esalava fastidioso dal sacchetto posto accanto al loro cestino. Adesso tutto riposava nel caldo appiccicoso notturno.
Mentre le mollette in legno ronfavano stanche della giornata, il sonno delle due mollette in plastica rimaneva leggero e disturbato, tanto che sussultarono pensando che stessero precipitando giù nel cortile, davanti l’uscio del carrozziere, destinate ad essere maciullate dalle vetture in continuo movimento.
In realtà era solo lo sbattere delle imposte, chiuse con forza per non fare entrare in casa le zanzare del balcone. Quello lato cucina, di un terzo piano, di una via qualunque.
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