Recensioni A Taormina la prima nazionale de "La misteriosa fiamma della regina Loana", produzione del Teatro Stabile d'Abruzzo in collaborazione con Taormina Arte e Teatro dei 99, dal noto romanzo di Umberto Eco, con Ninni Bruschetta e Viola Graziosi nei ruoli principali. Quando ci si accosta a Eco, è facile smarrirsi nei suoi “boschi narrativi”, ma il regista Giuseppe Dipasquale riesce comunque a trovare la strada: quella della ricerca dell’identità e della fiamma d’amore
“…si sa, i pepli, specie se serici, si sollevano prima sulla caviglia e poi sul polpaccio, e se una donna si aggrappa al collo di un Avanguardista, e ha paura, quella stretta non può che diventare un abbraccio spasmodico”. Eccole, le parole più erotiche del romanzo di Umberto Eco “La misteriosa fiamma della regina Loana” ed eccola, Loana scendere dalle scale del suo trono con una gonna di veli, le piume in testa e con un reggiseno rosso in un’illustrazione delle pagine finali. Che il reggiseno fosse vezzoso e irrequieto si è scoperto quando poi dalle pagine è balzato in teatro e ha provato a togliere il mistero alla fiamma dello smemorato protagonista Giambattista Bodoni e il fiato (letteralmente mentre Giulia Di Quilio in puntino ha accennato al suo burlesque) agli spettatori del Teatro Antico di Taormina, che hanno assistito alla riduzione scenica del capolavoro di Umberto Eco.
E va bene che per i libri di Eco il termine capolavoro può essere un refrain, ma questo romanzo lo è su tutti, fosse solo perché “La misteriosa fiamma della regina Loana” è il romanzo di Umberto Eco che meglio narra Umberto Eco. Scritto nel 2006, il romanzo è quanto di più lieve possa felicemente resistere dentro uno sfrenato intellettualismo e una imbarazzante (per chi non la possiede) cultura. Incastrato tra l’ostico “Baudolino” (2000) e il complottismo di “Il cimitero di Praga” (2010), il romanzo illustrato “La misteriosa fiamma della regina Loana” è all’apparenza una vacanza, pieno com’è di ironia, musica, immagini. Passioni: ci sono tutte le passioni di Eco, dai fumetti agli incunamboli, dalla ricostruzione storica allo sperimentalismo linguistico. Solo all’apparenza: il romanzo è un labirinto narrativo tra memoria (in tutte le sue declinazioni biologiche e culturali), storia (dal Ventennio fino al 1991), vintage intellettuale, filosofia del tempo e di Dio, e una sfilza di punti interrogativi sull’identità. «Opera di paroliberismo», l’ha detta Pietrangelo Buttafuoco annunciando lo spettacolo che il Teatro Stabile d’Abruzzo, di cui lo scrittore è presidente, ha tratto dal libro e che dopo l’anteprima a L’Aquila in luglio, ha debuttato in prima nazionale al Teatro Antico di Taormina lo scorso 6 settembre, coprodotto da Taormina Arte e Teatro dei 99.
Paroliberismo, “La misteriosa fiamma della regina Loana” o citazionismo. E’, infatti, la citazione il suo ganglo mentale e narrativo. In essa si innesta il tentativo del protagonista Giambattista Bodoni detto Yambo – si scrive con la Y ma si pronuncia in scena con la J: beata identità! – di recuperare la memoria dopo un incidente. Sollecitato dalla moglie Paola e dalle figlie su consiglio del medico torna nella casa di campagna e lì precipita all’indietro rovistando tra reperti in forma di libri, riviste, fumetti, poster, canzoni, grammofoni, radio, dischi, giocattoli, amori e amicizie. Ed è qui che Eco fa incetta di citazioni in pagine di memorabile (è proprio il caso) arguzia, qui fa coincidere il teatro della mente con il teatro dell’esistenza a furia di nomen omen, di suggestioni fonetiche (Lila, Sibilla, Loana), di mescolanza questa davvero paroliberista tra illustrazioni e racconto. Il romanzo più chisciottesco, calviniano, dantesco, borgesiano di Umberto Eco si presta a operazioni metalinguistiche visto che è di per sé metalinguistico.
Cinema o teatro? Giuseppe Dipasquale ha rischiato la scrittura drammaturgica e dovendo scegliere quale declinazione teatrale dare all’impresa ha optato per una maieutica vaporosa. Nella sua regia si sovrappongono avanspettacolo, commedia musicale, cabaret al limite del macchiettismo e movimenti scenici di vaga eco ronconiana: gli attori non escono quasi mai di scena e la abitano muovendosi o fermandosi insieme agli oggetti. L’effetto è stridente ma allo spettatore munito di lettura del romanzo prova a evocare lo spaesamento intrigante tra immagini e parole di quello.
Quando ci si accosta a Eco, è facile smarrirsi nei suoi “boschi narrativi”, ma Dipasquale riesce comunque a trovare la strada: quella della ricerca dell’identità e della fiamma d’amore. Tralascia il racconto del periodo della dittatura fascista e della Resistenza, accenna ai motivi filosofici e religiosi (due camei evitabili) e punta sulla musica e sulla anamnesi esistenziale di Yambo. Le musiche sono di Giorgio Conte e basterebbe questo per amare lo spettacolo: canzoni originali con fraseggi di swing e arrangiamenti scanzonati delle vecchie canzoni citate da Eco. Sfavillante spartito per uno sfavillante protagonista. Yambo è Ninni Bruschetta. Emozionato quel tanto che basta per mostrare l’attore dietro il personaggio, Bruschetta restituisce al personaggio di Eco quell’identità che cerca nel romanzo. Si muove a proprio agio nei panni del libraio antiquario smemorato, rende credibile il suo tratto ironico e un po’ marpione, disincantato di tutto tranne che delle donne. Di Paola, la moglie, interpretata da Viola Graziosi che dà ulteriore conferma della sua versatilità scenica e della capacità di dominare il palcoscenico (con Dipasquale è in scena anche con “Medea” e “Clitemnestra”, che le poteva valere il Premio Maschere del Teatro 2022).
Di Sibilla ora e di Lila nel passato e di Loana sulle pagine ingiallite del fumetto di Cino e Franco, da cui è tratto il titolo del romanzo: Sibilla, la giovane collaboratrice di Yambo nel negozio di libri, è Giulia Di Quilio, brava a giocare sui registri linguistici e pienamente nei ruoli, Sibilla e Loana. Ruoli, perché i sette attori man mano si trasformano nelle elucubrazioni memoriali di Yambo. Così Antonello Angiolillo è l’amico con la erre moscia (troppa erre moscia) Gianni Laivelli, poi anche Gragnola (un peccato non aver visto di più del partigiano che dà a Yambo una coscienza politica); il bravo Cesare Biondolillo è il dottor Gratarolo e un accenno di duce. Completano il cast Alberta Cipriani (Nicoletta, figlia di Yambo) e Chiara Catalano (l’altra figlia Carla) e Gabriella Casali (Amalia, governante della casa di Solara) con un’interpretazione tra le più giustamente applaudite.
Dipasquale ha messo in piedi uno spettacolo godibile e sorridente, pieno di colori e di note che hanno squarciato la nebbia di Yambo e fatto maschera pop della malinconia. Eco, si può scommettere, si sarebbe lisciato sornione la barba. Da buon avanguardista, con la minuscola.
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