Recensioni Ha fatto tappa al Teatro Massimo Città di Siracusa "Parlami d'amuri - 'Na storia antica" l'ultimo spettacolo di Mario Incudine, scritto da Costanza DiQuattro e diretto da Pino Strabioli. Attraverso la storia di una bambina, DiQuattro costruisce una commovente parabola dell’Italia che pian piano si allontana dalla propaganda fascista. Accompagnato dalla musica dal vivo di Antonio Vasta, Incudine aggiunge il sapere antico del cuntista, la voce appassionata e il corpo di chi sa ammaliare il pubblico
In giro da mesi per tutta l’Italia, “Parlami d’amuri. ‘Na storia antica“ è l’ultimo spettacolo del cantante, musicista, attore, cuntista e regista Mario Incudine accompagnato dal maestro Antonio Vasta al pianoforte e alla fisarmonica. Fino al 26 gennaio lo spettacolo – scritto da Costanza DiQuattro e diretto da Pino Strabioli – ha fatto tappa al Teatro Massimo Città di Siracusa. Godibilissimo sin dalla prime note, Parlami d’amuri è molto più di un brillante racconto della canzone italiana dell’Italia tra il 1918 e il 1940. Sono, questi, gli anni della propaganda fascista e della nascita delle trasmissioni radiofoniche in Italia, di cui lo spettacolo commemora i cento anni. Una scatola parlante, la radio, che divenne lo strumento ideale perché si ramificassero i sentimenti patriottici del regime dentro le case di tutti gli italiani. Sono anni di canzonette spensierate e ricche di palpiti amorosi ma, al tempo stesso, fatte di note giuste perché la gente si commovesse, allontanasse il pensiero di un regime che piano piano gli stava sottraendo la vita.
Eppure è molto più di questo Parlami d’amuri, perché è un testo che si muove su un doppio registro: quello del racconto musicale popolare e, al tempo stesso, della narrazione. E’ la storia di una bambina, zia dell’autrice, la quale, crescendo, diventa la giovane spettatrice sempre più consapevole di un’Italia cambiata, di un regime che assoggettava scegliendo note musicali accattivanti, testi commoventi come quelli di una madre distratta e di una figlia infelice (“Profumi e balocchi” di Luciano Tajoli). E con gli occhi di una bambina si muove dinanzi a noi l’Italia, con le sue famiglie nobili che lasciano i palazzi di città, rifugiandosi in campagna, cha va in guerra tra sogni di gloria e sconfitte clamorose. Incudine procede con lo sdoppiamento di persona, da grande performer qual è, a tratti è la bambina che racconta, a tratti l’interprete, quindi il cuntista. La radio, in quegli anni, rappresentava un ponte con l’esterno ma anche un luogo irreale e pieno di sogni, con le sue canzoni in cui immergersi per dimenticare che, nel frattempo, in guerra andavano a morire i giovani e che in quelle case piene di musica e malinconia, non sarebbero più ritornati. «Eravamo tutti fascisti – racconta ancora Mario Incudine – fascisti e religiosi, monarchici e ciechi… ma la musica ci faceva sognare, ci mentiva, ci distraeva… E si sa, chi ti regala la felicità ti dà anche un grande dolore…».
Avanza sul palco l’artista ennese, ancora sdoppiandosi, dà voce a quell’amarezza dentro il cuore che lasciò il regime, a quella disillusione e ai ricordi. Il tono del cuntista accelera il ritmo, il piede batte e comincia un’altra storia. Il maestro Vasta si ferma, il pubblico tace e col battito del piede si lascia trasportare verso il mondo dell’ingiustizia, della guerra maledetta che ruba i figli alle madri, dei patrioti il cui sacrificio non verrà mai riconosciuto. E’ un po’ come andare sulle montagne russe con Mario Incudine, una emozione dopo un’altra. Il pubblico trova il riso nella trovata dei funerali siciliani, dove vince il contrasto del ridi e piangi, per passare poi alle note trascinanti del “Soldato innamurato”. La guerra consumava la notte di madri e di giovani, eppure la radio raccontava altro, addolciva con temi e note fugaci, come era e doveva essere la vita: «Maramao perché sei morto… pane e vin non ti mancava… l’insalata era nell’orto e una casa avevi tu…».
E allora, per i cento anni della radio Costanza DiQuattro ha ricostruito una commovente parabola dell’Italia «che si trova fascista e si risveglia partigiana». La voce di una bambina dipana la matassa dell’anima innocente, dal suo racconto si muovono piccoli pupi in un teatrino di provincia, lo stesso in cui Costanza e la sua famiglia è cresciuta, con un Vittorio Emanuele re, neanche tanto amato. Con “Parlami d’amuri” si sciolgono i nodi della nostalgia e dell’amarezza di un risveglio pesante. Mario Incudine vi aggiunge il sapere antico del cuntista, la voce appassionata e il corpo di un ammaliatore, di chi il pubblico lo guarda fisso, lo abbraccia con le note della sua voce, con le mani grandi di chi il teatro e la musica la sentono dentro e la vivono con la passione antica. Antico come il rito del cunto, la cui voce ammalia e trasporta in mondi sconosciuti e straordinari.
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