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Regista con Euripide, attore con Dostoevskij, Gabriele Lavia rinnova il legame fra Taormina e il teatro

Recensioni Nell’ambito di Taormina Arte 2020, grande weekend teatrale di Lavia che ha spaziato come regista della Medea di Euripide, protagonisti sul palco Federica di Martino (una Medea monumento della solitudine umana) e Simone Toni (Giasone, cieco egoista), e protagonista del monologo del "Sogno di un uomo ridicolo" di Dostoevskij, opera con cui dialoga da una vita, meditazione filosofica sul suicidio e sull’amore

Gabriele Lavia, regista e attore. Per goderselo a tutto tondo son bastate due serate di magnifico spettacolo a Taormina,  luogo teatrale già di per sé pronto per l’uso, nello scenario del Teatro antico. Già. Perché Lavia, in veste di regista, lo scorso 8 agosto ha scelto proprio la perla siciliana, nell’ambito di Taormina Arte 2020, per il debutto in prima nazionale di “Medea” da Euripide, dirigendo con mano quasi invisibile Federica Di Martino e Simone Toni in una performance incantevole, che ha lasciato col fiato sospeso i tenaci spettatori, capaci di sfidare anche la pioggia e risoluti ad assistere a uno dei testi più forti del teatro classico.

Simone Toni e Federica Di Martino in “Medea”, foto di Ivana Scimone

Sulla scena dominata da un intenso colore rosso, simbolo di passione d’amore e sangue filiale, e con pochi suggestivi elementi, un letto, due sedie e un baule, l’acuto regista ha fatto agire Giasone e Medea, unici protagonisti,  quasi in una pirandelliana stanza della tortura, scarnificando al massimo l’azione scenica e immergendo gli spettatori direttamente nell’atrocità degli avvenimenti. Nella sua Medea la “barbara” donna che tutto ha osato per amore ha acquistato un’umanità incandescente e dolente, incarnando il femminile nella sua forma più ancestrale e coraggiosa: Federica Di Martino, affascinante per tecnica e doti interpretative, ha aderito perfettamente al personaggio (strizzando anche l’occhio alle donne di Strindberg) e a tutte le passioni più oscure e potenti, quasi diaboliche, della sua anima, delineandosi come monumento alla solitudine umana. Simone Toni, dal canto suo, ha fatto da perfetto contraltare con un Giasone dominato dal suo cieco egoismo, la sua logica paradossale, sfoderando una bella padronanza della voce e una sicura gestualità.

Federica Di Martino in “Medea”, regia di Gabriele Lavia, foto di Ivana Scimone

E così, da quel suo angolino nascosto, da quel suo punto d’osservazione riservato, Gabriele Lavia regista  ha compiuto un piccolo miracolo: far sì che lo spettatore del teatro classico, in cui chi sbaglia è inesorabilmente colpito dal destino che ha meritato,  non ritornasse a casa pacificato e a catarsi avvenuta, bensì squietato, animato da dubbi feroci. La stanza della tortura non ha cessato di inquietare il folto (ma ben distanziato) pubblico nemmeno a piéce conclusa, lasciando una dubbiosa scia di riflessione in menti e cuori.

Simone Toni è Giasone in “Medea”, regia di Gabriele Lavia, foto di Ivana Scimone

Riflessioni profonde che hanno avuto un magico seguito l’indomani 9 agosto, quando Lavia ha regalato ai suoi spettatori un capolavoro assoluto di Dostoevskij, quel “Sogno di un uomo ridicolo” che rappresenta una delle più alte vette dello scrittore russo. Un testo chiave col quale, come ha raccontato al pubblico prima di iniziare, l’artista ha dialogato fin dall’età di 16 anni per poi portarlo in scena a Spoleto a 32 e mai più abbandonarlo.

Gabriele Lavia, foto di Ivana Scimone

Insomma l’opera di tutta una vita, una meditazione filosofica sul suicidio e sull’amore cui l’attore, ottimo regista di sé stesso, ha dato corpo e voce magnificamente, in un crescendo di toni e sfumature, con un perfetto uso della voce, piegata alle molteplici esigenze della trama, e una corporeità nervosa e concentrata, tutta tesa a esaltare i momenti più drammatici: splendido e teso come un arco il momento del tentato suicidio da cui si dipanerà poi la rinascita dell’amore e della solidarietà.

Lavia in “Sogno di un uomo ridicolo”, foto di Ivana Scimone

“Ama il prossimo tuo come te stesso”. Con questo grido di dolente umanità Lavia ha lasciato, svanendo nell’ombra da perfetto uomo “ridicolo”, il palcoscenico, meritando davvero gli scroscianti applausi che lo hanno richiamato più e più volte sulla scena, mentre elevava il suo omaggio a Taormina e allo scenario naturale in cui è riuscito a dar vita a un indimenticabile weekend teatrale.

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