Recensioni Il regista canadese Robert Carsen, al suo debutto al Teatro Greco di Siracusa, firma per l'Istituto nazionale del dramma antico la più classica delle tragedie: una lettura puntuale del capolavoro sofocleo, di cui propone una messinscena classica ed elegante dominata dalle interpretazioni di Giuseppe Sartori, Maddalena Crippa e Graziano Piazza. Superbo e coreografico il coro di 80 elementi
E’ una platea gremita di gente, che occupa ogni posto di ogni ordine dell’antica gradinata, quella che ha accolto il debutto di “Edipo Re” di Sofocle, secondo spettacolo in programma, dopo l’Agamennone cinematografico di Davide Livermore, alla 57° edizione di rappresentazioni classiche organizzate dalla Fondazione Inda al Teatro Greco di Siracusa.
Il regista canadese Robert Carsen ha firmato la più classica delle tragedie (drammaturgia di Ian Burton, nella traduzione di Francesco Morosi), in una lettura puntuale del capolavoro sofocleo, di cui non tralascia alcuna sfumatura. Una messinscena classica, come dicevamo, ed estremamente elegante, ed è proprio l’eleganza, la sobrietà della scena e dei costumi, a dare forza ad un impianto scenico che ha il suo perno sulla parola.
In scena campeggia una larga e ripida gradinata grigia (le scenografie sono di Radu Boruzescu) a cui fanno da contraltare i costumi (di Luis F. Carvalho) neri del coro: gli ottanta elementi, tutti muniti di mascherina Ffp2, sono i primi a entrare in scena, con stracci a mo’ di corpi tenuti in braccio, in un cadenzato e composto corteo funebre. E’ il popolo di Tebe, stremato dalla fame a da un morbo pestilenziale (l’antesignano del più moderno Covid 19) che chiede aiuto al suo carismatico re.
Ed è Edipo, in tutto il suo vigore di uomo giovane e potente, il primo dei personaggi principali ad entrare in scena, scendendo la gradinata con sicurezza avvolto in un elegante e manageriale abito nero, come si confà ad un uomo, seppur re, illuminato e moderno. L’attore Giuseppe Sartori nei panni di Edipo si fa amare a poco poco: sembra entrare nel ruolo in punta di piedi per crescere costantemente nel corso dello spettacolo, fino ad esplodere nel finale in cui dà una grandissima prova d’attore.
E’ solo quando Creonte irrompe nella scena, annunciando che le notizie dell’Oracolo di Delfi sono positive, che il popolo di Tebe si libera delle mascherine ffp2, per la gioia del pubblico che finalmente ha potuto ascoltare nitidamente anche il capo coro – l’attore Rosario Tedesco, a cui va un plauso speciale per lo sforzo di aver recitato con chiarezza, pur indossando la mascherina-.
Anche Creonte (l’attore Paolo Mazzarelli) è un uomo moderno, più compito rispetto ad Edipo, comunque elegante. Entra in scena di ritorno da un lungo viaggio – quello verso l’Oracolo di Delfi che è stato interrogato sulle cause dell’epidemia– seguito da due camerieri in livrea e guanti bianchi.
In un continuo saliscendi di scale (31 gradini ripidissimi) Creonte svela ad Edipo che per scacciare la peste è necessario scoprire chi ha ucciso Laio, precedente re di Tebe, il cui assassinio è rimasto impunito.
Il coro, in controscena, intanto dispone gli abiti neri in circolo, a formare quello che sembra un enorme braciere fumante (forse un riferimento alla cella dell’Oracolo di Delfi?) sul quale verrà interrogato l’indovino cieco Tiresia, un superbo Graziano Piazza che ha strappato al pubblico più di un applauso a scena aperta. E’ un personaggio bellissimo questo Tiresia, un vecchio con gli occhi bianchi della cecità. Lucido, intenso e combattuto: «Non ti rispondo perché non voglio fare male né a te, né a me» dirà all’insistente Edipo.
Ma alla fine la verità verrà svelata da un Tiresia delirante, forse in trance come accadeva alla Pizia, in un linguaggio che prima ha dell’incomprensibile e che a poco a poco si fa sempre più chiaro, più nitido. E’ il vero che irrompe, in tutta la sua abominevole atrocità. Ecco che, complici le luci di cui si è occupato lo stesso Carsen con Giuseppe Di Iorio, tutta la scena assume dei toni grigi, chiaroscuri, come se il regista volesse porre all’attenzione del pubblico, anche visivamente, quella zona di mezzo dell’antico conflitto, tanto caro a Sofocle, tra volontà divina e responsabilità umana.
Edipo, “cieco” davanti al vero, sospetta un complotto ai suoi danni ad opera di Creonte, e sarà solo l’ingresso di Giocasta – sua madre e sposa – (una Maddalena Agrippa che non ha certo bisogno di alcun commento), a scongiurare il peggio.
Il dubbio inizia a insinuarsi nella mente di Edipo, e proprio nella scena della discussione con la moglie/madre Giocasta, il regista Robert Carsen sembra strizzare l’occhio ai quei film americani in cui una discussione di coppia non può che essere accompagnata da un immancabile bicchiere di whisky.
In questa messa in scena Robert Carsen non trascura neanche l’aspetto psicoanalitico dell’opera sofoclea – il famoso Complesso di Edipo teorizzato da Freud – tanto che Edipo e Giocasta si lasciano spesso andare in baci, abbracci ed effusioni di amanti appassionati.
Il rientro del coro, in quello che può essere definita una croce in movimento, è uno dei momenti più belli e spettacolari di questo “Edipo re”, di cui firma movimenti e coreografie Marco Berriel.
L’irruzione in scena del messaggero di Corinto (Massimo Cimaglia), che annuncia la morte di re Polibo interrompendo le offerte di Giocasta all’Oracolo di Apollo, sembra essere una bella notizia e la fine degli incubi di Edipo (a cui era l’oracolo aveva predetto che avrebbe ucciso il padre e sposato la madre), ma è in realtà l’inizio di una escalation di dolore. E’ Giocasta la prima a capire – ed a uscire di scena, in modo superbo, risalendo la gradinata – la tragedia che si è compiuta, mentre la folla porta in trionfo Edipo, ebbro per aver scoperto le sue origini nel popolo di Laio, in un rito estatico e dionisiaco.
Sarà l’interrogatorio del pastore di Laio (Antonello Cossia) a portare le tenebre in scena: Edipo è un assassino incestuoso. E dopo che uno dei servitori racconterà al popolo di Tebe l’atroce destino della regina Giocasta, sarà lo stesso Edipo ad irrompere in scena: completamente nudo, cieco per sua stessa mano, grondante di sangue, disperato.
Intenso ed emozionante il monologo finale di Giuseppe Sartori che, come un Cristo sulla via Crucis, risale la platea come fosse il monte Citerone, Golgota di un uomo fragile che ha scelto da solo il suo esilio, dopo aver tentato invano di opporsi al volere incontrovertibile degli dei. Saluti finali montati magistralmente, e meritati lunghi applausi. L’Edipo Re replica a giorni alterni fino al 3 luglio. Leggi il Calendario-INDA-2022
Pathos e horror, gli ingredienti di Livermore per condire la fredda vendetta dell’”Agamennone”
Commenti