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Roberto Alajmo e la fatalità della vita: porta a Lampedusa l’odissea mediterranea di Ousma

Libri e Fumetti Il molteplice talento dello scrittore palermitano gli permette di raccontare il dramma dell'immigrazione in maniera diversa nel libro “Il piano inclinato”, edito da Sellerio. Al centro del racconto vi è un protagonista che si sottrae agli stereotipi opposti che riguardano i migranti, dipinti sempre come vittime o come delinquenti. C’è una forza che spinge Ousma e quelli come lui sempre oltre, sul piano inclinato del caso e della fatalità

Non è facile riuscire ad essere narrativamente originali raccontando storie di immigrazione. E’ un tema giustamente molto raccontato sul piano giornalistico, letterario, sociologico, psicologico e antropologico. Vi è il rischio di ripetere cose ovvie o di cadere in stereotipi. Roberto Alajmo, palesando ancora una volta il suo talento molteplice – che non si fa restringere in un solo genere, anzi li decostruisce e li mescola in maniera originale -, è riuscito a raccontare il dramma dell’immigrazione in maniera diversa nel libro “Il piano inclinato”, edito da Sellerio.

Roberto Alajmo

Lo scrittore, giornalista, drammaturgo palermitano, è un intellettuale che ha la volontà e la capacità di tentare di cogliere l’essenza dei fenomeni, andando oltre l’apparenza. Non ha pretese di verità assolute ma vuol provare a decostruire dogmi, stereotipi, pregiudizi, verità apparenti e addomesticate. E riesce a demitizzare non con annunci astratti ma entrando con umiltà socratica nelle pieghe dell’esistenza, nei meandri dell’animo umano, nelle complessità e nelle contraddizioni dei fenomeni sociali. Chi è Ousma? Ousma è uno dei tanti giovani o giovanissimi che partono dai loro villaggi in Africa con la meta dell’Europa. Il ragazzo è partito dal suo villaggio in Mali nella speranza di una vita migliore o una possibilità di una vita diversa rispetto all’assenza di possibilità. Inizialmente non era povero, la sua famiglia era moderatamente agiata, poi con la morte del padre sono iniziate le sofferenze. Un insieme di probabilità lo ha condotto ad una serie di drammi, a scontrasi con una serie di difficoltà che mai avrebbe immaginato di dover affrontare. E qui emerge una caratteristica dell’interpretazione filosofica di Alajmo, la sua visione è probabilistica, casualistica non causalistica. Non vi è però però un determinismo-meccanicistico nella sua interpretazione della realtà ma una serie di coincidenze che si intersecano con il libero arbitrio. La sua visione sembra assomigliare alla concezione probabilistica della meccanica quantistica del filosofo e scienziato Carlo Rovelli.

L’inferno del campo in Libia

“Andare a finire in un campo in Libia è come andare a finire in un campo in Libia. Non esiste raffronto possibile. Se dovesse raccontarlo per bene, lo stesso Ousma non saprebbe da dove cominciare. (…) Ora invece, senza nessuna donna all’orizzonte, il mondo gli sembrava molto più brutale. Brutale fino a un punto dove lui non avrebbe mai pensato potesse arrivare la brutalità. Nel suo camerone c’erano quattro materassi fetenti poggiati per terra, e loro erano almeno una cinquantina di persone. Le celle erano tutte perennemente luride. Impossibile riuscire a pulire uno spazio dove tanti maschi facevano la loro vita e le loro cose. Ousma assieme a qualcun altro dei prigionieri ci aveva provato, all’inizio. Ma quasi subito si era reso conto che ogni sforzo era inutile, perché nessuno pensava potesse esistere un margine di decenza da difendere. La decenza era una sola: riuscire a rimanere vivi in un posto dove le legnate arrivavano sempre e comunque, per i motivi più diversi o senza nemmeno un motivo. Le legnate erano la lingua franca con cui tutti si esprimevano, in quel posto. La lingua che specialmente le guardie parlavano e tutti erano in grado di capire”.

Un campo di detenzione in Libia ricreato nel film “Io capitano” di Matteo Garrone, foto dis cena di Greta De Lazzaris

Il linguaggio della violenza e la banalità del male

“Uno dei due aiutanti del Capo aveva fatto un passo avanti. Ousma aveva pensato che gli avrebbe tolto il telefono dalle mani, ma quello gli aveva dato un pugno in piena faccia, colpendo pure il telefono, facendoglielo cadere per terra. Era stato un cazzotto sferrato con competenza e trasporto, che lo aveva fatto urlare dalla sorpresa e dal dolore. La sorpresa era stata solo momentanea, mentre il dolore è proseguito perché rappresentava appena l’inizio. Durò un minuto, forse due, ma a Ousma sembrò un tempo molto più lungo: lui a terra che prendeva calci dappertutto e la Madre che ascoltava in vivavoce le sue urla. Quando finalmente smisero, lui prima ancora di provare a rimettersi in piedi aveva recuperato il telefono. La Madre stava singhiozzando e ancora non capiva: -Ma che hai fatto? -Niente, Madre… -Qualcosa hai fatto. -Niente. Qui ti prendono… senza bisogno che fai niente”.

“Migrants”, opera di Benito Leal Gallardo, acrilico su tela116×150 cm in vendita su https://www.artmajeur.com/ancalatita/it/opere-d-arte/14484845/migrantes

 

L’odissea nel Mediterraneo

L’odissea di Ousma lo porta ad attraversare il Mediterraneo ma non è un nuovo Ulisse, è solo una persona smarrita e in difficoltà estreme, come tanti altri. La sua meta è la Sicilia, è l’Europa. Lasciamo che lo presenti l’autore stesso, con la sua rappresentazione narrativa: “Chiamiamolo Ousmane. O meglio ancora: Ousma, come lo chiamava sua Madre. Chiamava, al passato, non perché sia morta – per quanto ne sa lui sta bene, se Dio vuole – ma perché è lontana, e Ousma non è sicuro che riuscirà a rivederla, prima o poi. Probabilmente no. Sua Madre appartiene al mondo del prima. C’è un prima, abbastanza ben delineato nella memoria di Ousma. Prima comprende tutto quel che ha fatto, detto e pensato nell’arco della sua vita, da quando ha memoria fino a oggi che ha quasi diciassette anni. E qui si ferma, perché già domani Ousma immagina di essere morto. Morto annegato, per la precisione. Lo sarà di sicuro se continua ad andare sotto come sta facendo ora, sempre più di frequente, sempre un po’ più a lungo della volta precedente. Alla partenza, con un piccolo sovrapprezzo, gli avevano offerto un giubbotto salvagente arancione molto vistoso, ma il piccolo sovrapprezzo lui non poteva pagarlo, quindi aveva rinunciato. Astrattamente adesso gli dispiace, ma anche volendo tornare indietro, non avrebbe potuto fare altrimenti. Quindi niente rimpianti: meglio concentrarsi su quello che può fare adesso, in mezzo al mare.  Adesso, in mezzo al mare, Ousma ha la netta sensazione che i vestiti bagnati e le scarpe da tennis che indossa contribuiscono a trascinarlo giù”.

Una immagine tratta dal sito di Mediterranean Hope, rete delle chiese evangeliche in Italia

La vita tra l’apparente fine e la salvezza

“Anche Ousma capisce quanto sia inutile invocare aiuto. Non c’è aiuto che possa aiutare in un frangente del genere. Fra un’immersione e l’altra, quando riesce a mettere la testa fuori dall’acqua raccoglie il fiato che gli serve, cercando di riempire i polmoni sincronizzandosi meglio possibile con l’alternanza fra sopra e sotto il livello del mare. Ma non è un ritmo facile da prendere. Va sotto, beve di nuovo, e la sorsata fa svanire tutto l’ordine che Ousma aveva cercato di dare a quegli istanti che convulsi erano e convulsi continuavano a essere, come la tosse che si impadronisce della sua gola e gli fa perdere qualsiasi respiro. Si fa prendere dal panico. Tossisce e va in apnea anche quando riesce a mettere la testa fuori dall’acqua. Grida e pensa: – (Questo è il mio ultimo grido)”.
Alajmo rende vivido ogni attimo: “Ousma per un attimo osserva le bolle d’aria che lascia deliberatamente scorrere via dalla bocca senza più preoccuparsi di cosa verrà dopo. Strana sensazione: il suo corpo è più pesante, pronto a scendere, mentre nel complesso lui si sente molto più leggero, ormai libero dall’obbligo di rimanere in vita. Chiude gli occhi e in quel preciso momento la leggerezza mentale assume una sua fisicità. Smette all’improvviso di scendere e risale in superficie trascinato da una forza inspiegabile, che lo solleva fino a fargli tirare la testa fuori dall’acqua, permettendogli un respiro filato e bellissimo, come gli sembra di non averne mai fatti in vita sua. La misteriosa forza che lo solleva consiste in un lungo bastone di legno che termina con un gancio metallico. Il gancio ha trovato presa proprio sotto il colletto della felpa indossata da Ousma. La stessa felpa che inzuppandosi lo trascinava a fondo e quasi stava per ammazzarlo alla fine è servita a salvargli la vita. All’altro capo del mezzo marinaio c’è un Marinaio intero, in carne e ossa, che dopo avere agganciato Ousma lo trascina verso lo scafo esercitando una forza brutale e salvifica allo stesso tempo. Malgrado la concitazione del momento, mentalmente Ousma non tralascia di ringraziare il Signore per avergli concesso una proroga di vita, e questo prima ancora di rendersi conto che a fare da intermediario con la determinazione del Signore è una motovedetta della guardia costiera italiana che sembra essersi materializzata dal nulla, perché Ousma avrebbe giurato che fino a un momento prima non c’era e adesso c’è”.

Un salvataggio nel Mediterraneo da parte della Ong Open Arms

Vi è un altro aspetto fondamentale nel romanzo di Alajmo, al centro del racconto vi è un “protagonista che si sottrae agli stereotipi opposti che riguardano i migranti, dipinti sempre come vittime o come delinquenti. C’è però una forza che spinge Ousma e quelli come lui sempre oltre, sul piano inclinato del caso e della fatalità”. Ma è davvero fatalità o è l’intreccio con il complesso delle azioni umane, di interazioni sociali, di scelte che si intersecano tra libertà, ostacoli apparenti e superabili e ostacoli insuperabili? Il romanzo lascia aperte diverse interpretazioni, un’orizzonte aperto a differenti ermeneutiche.

Lampedusa, un nuovo orizzonte, e le inevitabili incertezze dell’esistenza umana

La Porta d’Europa, opera di Domenico Paladino dedicata ai migranti giunti a lampedusa. Foto di Vito Manzari – https://www.flickr.com/photos/vitomanzari/15061648441, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=99450833

Un itinerario nelle contraddizioni della vita umana: “Ha visto, in effetti. Poi ha visto parecchie cose. Ma è sopravvissuto sia alla sabbia sia al mare, sia alla morte secca sia alla morte per acqua. È sopravvissuto persino al desiderio di morire. Dopodiché  la sua vita è ricominciata su basi diverse, in un continente diverso, con prospettive diverse. Si è messo la morte alle spalle e adesso il  centro d’accoglienza di Lampedusa per Ousma rappresenta l’avamposto di un futuro ancora tutto da capire. Fin dall’arrivo gli hanno detto che sarebbero rimasti pochi giorni e anche se i pochi giorni si erano trasformati presto in un mese, lui teme che da un momento all’altro possano metterlo su un aereo e rispedirlo da dove è venuto. Nell’incertezza, fosse per lui si accontenterebbe anche di restare a Lampedusa. Rispetto alla Libia gli pare una variante più che accettabile dell’inferno, un limbo dove cercare di rimanere nella speranza di evitare guai peggiori”.

 

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