Libri e Fumetti Il giornalista e scrittore palermitano, intellettuale poliedrico, è sempre più impegnato con i suoi libri, a partire dalla recente ristampa da parte di Sellerio di "Notizia del disastro" sull'incidente aereo di Punta Raisi del 1978 - «Una detective story in cui il colpevole, il destino, la fa franca» -, in attesa di uscire a maggio col terzo giallo su Giovà, «il mio investigatore riluttante». E sulla Sicilia: «Bisognerebbe distillare la bellezza da tutto il resto, ma è difficile, dovendo viverci»
La letteratura come chiave di comprensione del mondo, la narrativa come dimensione di creatività e riflessione, la capacità di affrontare tematiche diverse con l’identità del proprio stile. Questa triade concettuale emerge dal dialogo con Roberto Alajmo, uno degli scrittori di maggior qualità e originalità del panorama italiano contemporaneo (con una proiezione estera, i suoi libri sono stati tradotti in inglese, francese, spagnolo, tedesco e olandese). Alajmo, giornalista e scrittore, intellettuale poliedrico impegnato nel sociale, ha svolto anche il ruolo di direttore del Teatro Biondo della sua Palermo, dove è stato anche docente a contratto di Storia del giornalismo alla Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università.
Nell’intervista con SicilyMag spazia dalla dimensione culturale a quella esistenziale. Ha scritto romanzi e saggi, pubblicati da diverse case editrici (tra cui Mondadori, Feltrinelli, Sellerio, Garzanti, Laterza). Tra i libri editi da Sellerio negli ultimi anni vi sono i romanzi “Io non ci volevo venire” e “La strategia dell’opossum”.
Roberto Alajmo e la Sicilia indolente di Giovà, il Giufà palermitano investigatore suo malgrado
E il recente testo, anch’esso molto interessante, “Notizia del disastro”(una ripubblicazione), sul disastro del 23 dicembre del 1978 quando un DC9 dell‘Alitalia precipitò in mare a poche miglia dalla pista di Punta Raisi.
Dopo tanti anni di giornalismo è andato in pensione. Come ha vissuto il passaggio di commiato dalla Testata giornalistica regionale per la Sicilia della Rai? Come è cambiata la sua vita quotidiana?
«Pensione è una parola grossa. La pensione la vedrò fra quattro anni, se va bene. Con la Rai c’è stata una risoluzione consensuale del rapporto professionale. Loro “si erano stancati di me” e io avevo voglia di fare altro ed essere padrone del mio tempo. Finora sono riuscito, mi pare di essere non dico felice, ma infelice in maniera molto, molto migliore. Scrivo e viaggio più che posso. Domani si vedrà».
Per lei la connessione tra scrittura giornalistica e narrativa è sempre stata forte, è una delle sue caratteristiche intellettuali. Lo dimostra la ripubblicazione di un suo libro “Notizia del disastro” (Sellerio).
“Sì e no. Nel senso che spesso la cronaca è stata fonte di ispirazione, però quasi sempre mi sono sforzato di portare la cronaca sul terreno della finzione. “Notizia del disastro” forse è un libro anomalo, nella mia produzione. Dietro forse c’è il desiderio di dimostrare che si poteva essere allo stesso tempo giornalista, per il rigore nella ricerca, e scrittore, per la sorveglianza dello stile e della tonalità della narrazione».
Può raccontare la genesi del testo e la filosofia della scelta della nuova edizione?
«Vent’anni fa era una storia dimenticata. La cronaca dei giornali si era stancata abbastanza presto di seguire la vicenda, annoiata dal fatto che dietro l’incidente aereo di Punta Raisi nel dicembre del 1978 non ci fosse né un complotto né un attentato. Mi ha affascinato l’idea di dare voce alla memoria di quelle persone e indagare sul loro destino. Pur sapendo di scrivere una specie di detective story in cui il colpevole, cioè il destino, è destinato a farla franca. Adesso Sellerio un po’ alla volta sta ripubblicando i miei vecchi libri che erano fuori catalogo, e questo è uno dei primi perché lo considero uno dei migliori».
Può anche delineare ai lettori, in maniera sintetica, l’avvenimento del disastro?
«Era l’antivigilia di Natale. Un volo straordinario da Roma a Palermo, pieno soprattutto di emigranti che facevano ritorno in Sicilia per trascorrere le feste. Per una serie di concomitanze infauste l’aereo finì in mare, a tre miglia dalla costa. Dei passeggeri che c’erano a bordo, 21 si salvarono. Io sono andato a cercarli e mi sono fatto raccontare l’esperienza che è morire in un incidente aereo e sopravvivere per raccontarla».
Qual è la sua idea?
«Molto semplicemente l’idea del libro è che c’è uno spreco assurdo nella perdita di ciascuna vita umana. Noi abbiamo il dovere di indagare le ragioni di questa assurdità e però alla fine accettare che esiste una cosa chiamata destino. Indagare, scoprire, accettare. Non perdonare, e tantomeno dimenticare: accettare».
Cosa ha significato quella vicenda nella storia della Sicilia e d’Italia?
«Temo che quell’incidente abbia inciso molto nella vita delle famiglie dei passeggeri, ma poco nella Storia con la S maiuscola. Forse se oggi a Punta Raisi si atterra senza troppi patemi è perché da allora i sistemi di sicurezza sono stati rafforzati. Ma oltre questo non si è andati. Il fascino della storia per me coincide con la memoria che può essere tramandata. La memoria pura e semplice, senza bisogno di additivi scandalistici o retroscena clamorosi».
Ampliamo il dialogo alla sua poliedrica attività scritturale. Continua il successo dei suoi romanzi gialli. Come è nata l’idea di un protagonista come Giovà, così sui generis e che rappresenta il contrario del dinamismo dell’investigatore classico?
«Ogni volta che scrivo un libro mi riservo di scriverlo come voglio. È anche una sfida a me stesso: dimostrare di poter affrontare generi diversi e piegarli al mio stile. Il poliziesco è un genere che mi affascina, ma quasi sempre da lettore mi lascia insoddisfatto. Allora ho pensato di scriverne qualcuno io, alla mia maniera, rovesciando i cliché del giallo. A cominciare dalla efficacia dell’investigatore, che sembrerebbe il presupposto fondamentale per tenere in piedi una trama poliziesca».
Lei riesce a coniugare nella creazione narrativa aspetti antropologici e sociali, psicologici e filosofici. Cos’è per lei il genere giallo e quanto la sta aiutando a sperimentare dimensioni nuove di racconto?
«E’ proprio la letteratura di genere che rappresenta la sfida. Tramite un giallo si possono raggiungere lettori che abitualmente si tengono alla larga dalla letteratura autoriale, temendo di annoiarsi. Del resto non sono il primo a piegare il poliziesco fino a fargli prendere le forme più disparate e un finale meno consolatorio. Penso a Sciascia, Dürrenmatt, lo stesso Simenon. Io mi sforzo di scrivere romanzi gialli che facciano ridere e nello stesso tempo, alla fine, lascino il lettore spiazzato».
La sua definizione di Palermo.
«Una città che una sera doveva uscire ma è rimasta talmente tanto davanti allo specchio per truccarsi e prepararsi che alla fine è rimasta a casa».
La Palermo di Roberto Alajmo, città del caos istintuale dionisiaco
La Sicilia è una realtà a macchia di leopardo, con profonde differenze culturali, sociali, economiche tra i diversi territori. Aree arretrate e aree avanzate, e all’interno delle stesse realtà più dinamiche vi sono contraddizioni profonde, industrie hi-tech, biotech che competono a livello internazionale e periferie piene di disagi (come accade a Catania). Vi è un qualcosa che rappresenta l’identità della Sicilia accanto alla straordinaria ricchezza delle meravigliose bellezze archeologiche, architettoniche-monumentali e paesaggistiche (che comunque mutano da un territorio all’altro anche a distanza di pochi chilometri)?
«Forse un errore comune è considerare la Sicilia un’isola. La Sicilia è un continente. Contiene moltitudini che è difficile ricondurre a un unicum. Bisognerebbe riuscire a distillare la bellezza da tutto il resto, ma è difficile, dovendo viverci. Il modo migliore per apprezzarla rimane sempre la consapevolezza di avere in tasca un biglietto di ritorno da qualche altra parte. Un posto dove se ti ammali ci sia un ospedale dove ti possano curare e, se va male, un cimitero dove possano seppellirti».
La Regione Siciliana è di nuovo all’attenzione nazionale per scontri politici all’interno del centrodestra, e per atti su cui indagano la Corte dei Conti e la Procura Europea. Come spiegherebbe ad uno straniero cosa sono il governo e il parlamento siciliano?
«Ogni volta, alla vigilia di ogni elezione regionale, penso: la situazione magari non migliorerà, ma almeno peggio di quelli precedenti non potranno essere. E invece, ogni volta, la classe dirigente che esce dalle elezioni risulta più triviale di quella precedente. Al punto che certi governanti di trent’anni fa, che mi parevano pessimi, ai miei occhi oggi appaiono nella dimensione dei grandi statisti. Dovendo spiegare la politica siciliana a uno straniero direi: un posto dove, quando sembra di avere toccato il fondo, qualcuno comincia a scavare».
A quale nuovo romanzo sta lavorando?
«A maggio uscirà la terza avventura del ciclo di Giovà, il mio investigatore riluttante. Terza e ultima, prometto. Almeno per un po’».
Verità e giustizia secondo Giovà. Alajmo e il cuore ambivalente di Palermo
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