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Sant’Agata, le tessitrici e la stregoneria

Blog Come Penelope, anche la santa siciliana non terminò mai una tela già iniziata, ma a differenza del mito greco questa azione portò al martirio la fanciulla che aveva votato la sua vita a Dio. A lei andavano le preghiere delle tessitrici che di notte si riunivano per lavorare. E dove c’è religione, spesso alberga anche la superstizione. Così ad attrezzi del mestiere delle tessitrici si attribuivano poteri spesso malefici

A Palermo esisteva il detto Limpia di Sant’Agati, ca lu jornu tissìa e la notti scusìa; a Catania lo stesso detto diventava Tila di Sant’Àita, ca non si finìu mai. Entrambi i detti facevano riferimento a una leggenda che voleva la giovane Agata tessitrice, e di lei innamorato un giovane che la chiese in sposa al padre, ma la ragazza aveva fatto il voto di dedicarsi a Dio soltanto e per non dispiacere il consenso paterno chiese che le nozze avvenissero solo dopo che avesse finito di tessere la tela già iniziata. Il padre acconsentì, ma la bella ragazza il giorno tesseva e la notte disfaceva, da lì il matrimonio non si fece e la condusse fino al martirio.

Sant’Agata o Penelope? La risposta sta nell’antica pratica del sincretismo. Così avvenne che le preghiere delle tessitrici, di cui la Santa è protettrice, sono a lei rivolte e si facciano “le veglie delle filatrici” una volta chiamate “Serie”, ovvero riunioni notturne di donne che per risparmiare compravano insieme l’olio della lampada utile a tutte invece di una per ciascuna e filavano, tessevano, si raccontavano nel frattempo storie allegre, lugubri, fiabe, spettegolavano, recitavano il rosario e prima della mezzanotte si concludevano i lavori con le parole della donna più anziana o esperta: “Sia ludatu e ringraziatu lu Santissimu Sacramentu” e tutte le altre rispondevano: “Santa, bona notti”. Atmosfera di Saba per innocenti donne lavoratrici.

Sant’Agata dipinta da Lorenzo Lippi

Ma dove c’è religione, spesso alberga anche la superstizione. Così ad attrezzi del mestiere delle tessitrici si attribuivano poteri spesso malefici, il fuso, l’aspro e l’arcolaio erano i più consueti arnesi maledetti fuori dall’ambiente di lavoro. Per esempio, se il fuso si trovava nella stanza di una partoriente, questo ne bloccare il parto, perché si sapeva e un proverbio avvertiva: lu fusu, malu mirusu (Il fuso mirava al male). Allo stesso tempo il fuso è utile contro la sfortuna, e lo troviamo addirittura senza fine in una leggenda che vuole che a custodire un grande tesoro ci sia una vecchia donna che fila di continuo e si può accedere alla ricchezza solo togliendo alla donna il fuso.

L’aspro invece è utile come amuleto contro streghe e malefici, che posto nella stanza del parto non permette a spiriti maligni di nuocere contro il neonato. L’arcolaio per il suo modo di girare è simbolo del volo a spirale delle streghe, e nell’antichità si attribuivano poteri malefici alle donne di Calatafimi tanto da ingiuriarle in tutta la Sicilia con il detto Calatafimara, animulara (Le animulari, erano donne capace di volare di notte a vortice come fa l’arcolaio che in siciliano si chiama anùnulu).

“La tessitrice” opera di Giuseppe Graziosi

Inoltre le filatrici, se filavano di sabato sera dovevano consumare tutta la conocchia, perché sennò nella parte rimasta la notte vi si sarebbe introdotta la Morte e avrebbe portato disgrazie e cadaveri in famiglia. Infine, l’ordito si tesseva male se prima di utilizzarlo veniva posto o poggiato sul letto; e se una donna con un filato sotto il braccio fosse entrata in casa di una filatrice, le si faceva divieto di poggiarlo sul letto, perché quel filato si sarebbe “addormentato” e non sarebbe mai diventato tela, ovvero opera compita.

Penelope dipinta da Leandro Bassano

A tutto c’è rimedio: qualora la tessitura non andasse per niente bene, si ricorreva alle cose di Dio, si chiamava il parroco che con le dovute orazioni e infine la benedizione rimetteva ogni cosa a posto, e così tutto – è il caso di dirlo – filava dritto.

Storia antica quella di creare pregiudizi, superstizioni, indurre paure su donne che con l’indipendenza del proprio lavoro potevano emanciparsi dalle condizioni subalterne che la società strozzante di ogni intraprendenza e diversità imponeva loro, chissà se questa storia soggiogante e repressiva d’ogni sana e pura creatività, a differenza della tela si Sant’Agata, finirà mai!



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