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Seguendo gli indizi cristici di Veronica Tomassini: «Dietro ogni empio c’è Lui, l’Amato, sovrano e fanciullo»

Libri e Fumetti Due anni fa la scrittrice siracusana ci aveva lasciato con "Vodka Siberiana", un libro autopubblicato che si rivelò un successo editoriale. Oggi torna con "L'inganno" pubblicato da un'importante editore come La nave di Teseo, ed è subito exploit. Ma non solo: c'è un mistero dietro la nuova scrittura dell'autrice che nel 2010 balzò alle cronache culturali con "Sangue di cane": «Il dolore è l’estrema lucidità, utilissima allo scrittore»

Veronica Tomassini torna dopo due anni al libro, due anni dopo la scelta, di cui non ha mai fatto mistero, di autopubblicarsi con Vodka siberiana. Lettere epiche e alticce. perché snervata dall’illusione e dalle ignominiose manovre di certa editoria. Così almeno ci è sembrato cogliere nel messaggio di allora.

La scelta indipendente di auto pubblicarsi, Vodka Siberiana fu un successo più volte ristampato in brevi periodi

La scelta indipendente di autopubblicare Vodka Siberiana fu un successo prima ancora di andare in stampa

Eppure la scrittrice siracusana era approdata l’anno prima al Premio Strega con Mazzarrona (Miraggi, pp. 180, € 16), romanzo del quale ci aveva parlato su SicilyMag, rilasciando tre anni fa un’intervista forte e potente dove dichiarava anche che si trattava del suo «primo romanzo fortemente e nitidamente siciliano», perché negli altri, seppur si citavano ambienti siculi, quel citar la Trinacria era solo una condizione geo-localizzante.

Veronica Tomassini: «Mazzarrona è il simbolo di un fallimento civile»

Ribadendo che la scelta del fai-da-te di due anni fa ebbe ragione d’esser realizzata, adesso con il nuovo romanzo “L’inganno” (La nave di Teseo, pp. 194, € 20) Veronica Tomassini mette tutto in ordine, com’è giusto che sia per un’autrice, ardita, schietta e diretta. Indecifrabile, per genere da catalogare, “L’inganno” è una spettacolare prova magistrale che supera i confini della lungimiranza. La scrittrice – che vanta radici umbro-siculo-abruzzesi – è certamente la regina della contemporaneità che travalica e asfalta le emozioni e le passioni più vivide con un linguaggio e uno stile difficile da comparare in tutta la storia della letteratura italiana. Il focus del contenuto potrebbe essere così sintetizzato: una donna parte dalla Sicilia alla volta di Milano, per una garanzia d’amore che un uomo le comunicò. Fermiamoci per un solo istante: detta così apre già scenari di ogni genere e tipo, di intuiti di una storia, vera o fiction che sia. Cancelliamo adesso ogni ipotesi, tutto è nuovo, ogni piccolo frame è la totalità della “meraviglia Tomassini”, che regala al lettore la possibilità di scommettere su ciò che leggerà. Adesso dimenticate anche questo ‘tutto’ e non cercate più nulla, lasciate piuttosto questo nulla sospeso nell’attrazione della succitata lungimiranza, ma non provate a capire: qualunque sia l’ipotesi che azzarderete, sfogliando le pagine, vi potrà capitare di rimettervi in discussione, migliaia di volte.

Con la stessa eleganza, almeno ci proviamo, con la quale l’autrice ha redatto anche i soli spazi tra un termine e un altro la avviciniamo, e forte si sente l’idea di giustizia e di purezza.

La soluzione finale di una poetica, di una vita, di un’ossessione

Un estratto concesso dall'autrice per Sicilymag.it

Un estratto concesso dall’autrice per Sicilymag.it

Come è nata l’idea di scrivere questa tua nuova opera?
«“L’inganno” mi trovo a definirlo la soluzione finale di una poetica, di una vita, di un’ossessione. Cercare l’altro, l’ultimo, forse l’amore, l’eterno vuoto, lo spazio tolto, l’assedio di un’assenza. Tutte cose che in fondo ruotavano attorno al perno dei romanzi precedenti dove lo sguardo precipitava nell’indulgenza, ed era sempre un viaggio dello spirito, nella figura del diseredato. Capisco che forse in questi, nel diseredato, cercavo me, ma ancor prima, quasi sepolto nella perennità, il segreto: cercavo Lui, il Volto. Il Re. Il Sovrano. L’Agnello. Precipitavo in attesa di un’ascesi, un indizio, ed era sempre un indizio cristico. Così è nato il romanzo “L’inganno”, poi pubblicato da La nave di Teseo».

C’è qualcosa che lega “L’inganno” a uno dei concetti esposti nelle precedenti opere?
«Sì, indizi cristici si svelano sempre più chiaramente e fortemente. Nei miei romanzi dedicati ai bevitori polacchi, ad esempio. Migliaia e migliaia di Cristi, come avrebbe scritto Curzio Malaparte, perché non è vero che Cristo è morto una volta soltanto, scriveva più o meno, ne “La pelle”. Ne “L’altro addio” (Marsilio, 2017), l’uomo steso su un letto di un sanatorio era il Cristo di Mantegna. In “Christiane deve morire” (Gaffi, 2014), Massimo, il personaggio maschile, stava male, a rota, in un giardino di ulivi (era l’orto di Getsemani?); mentre lei, la voce narrante, pativa una tristezza inenarrabile alle tre del pomeriggio, l’ora in cui è morto il Figlio dell’Uomo. In “Sangue di cane” (Laurana, 2010), il giovane Slawek era forse il volto impresso sul velo della Veronica. E potrei continuare. Rivelazioni che affiorano, oggi, gloriosamente».

Sangue di cane, il caso letterario che portò alla ribalta Veronica Tomassini

Sangue di cane, il caso letterario che portò alla ribalta Veronica Tomassini

I toni de “L’inganno” sin da subito fanno vibrare le corde dell’emotività: ponendoti in terza persona, come descriveresti la protagonista?
«Una donna irrisolta. A tratti inquietante per tanta ottusa innocenza».

Le sensazioni e lo scuotimento viene colto in una ambientazione intrisa di un turbine di sensazioni offuscate dal dolore, letto come terapia per ripresentare un vissuto con occhi diversi: qual è l’origine di questa condizione? Sempre se tale è, e ce ne scusiamo se male abbiamo colto…
«Il dolore è l’estrema lucidità, utilissima allo scrittore. Un prisma d’acciaio, talvolta, è la condizione per guardare il mondo. Diciamo che diventa persino uno status, posto che è un destino che deve riguardarci. Senza le tonnellate di dolore che hanno configurato la mia vita, non avrei scritto un rigo. Triste a dirsi, ma tanto è. Covoni di pianto. Chi semina nel pianto, miete nella gioia, è biblico. Non è pietismo, il pianto o il dolore restituiscono le vertiginose, o abissali, dipende, profondità da cui ingenera la sapienza, l’origine, dove siamo stati già chiamati per nome. Non siamo solo carne e sangue a fremere. No, siamo molto altro, lontanissimi e arcani a noi stessi».

Con “L’inganno”, il nulla nichilista viene assorbito da una forza straziata che permette al viaggio da Sud verso Nord della protagonista, di trasformarsi in una escavazione dove tutto si conosce. Ma questo conosciuto, crea novità?
«Il viaggio della protagonista, la sua permanenza a Milano, è un’esperienza dello spirito. Lei pensava di aspettare un amore mondano, imperfetto e mondano, Javier, jazzista di Tolosa; e invece ripara in una rivelazione, un brano del segreto perenne di cui dicevo sopra si svela. Lei capisce che dietro ogni uomo, ogni empio, ogni errore, c’era Lui, l’Amato. Inchiodato e mite, sovrano e fanciullo».

Milano, piazza Duomo, foto di kuhnmi – Flickr – https://www.flickr.com/photos/31176607@N05/30771153280, CC BY 2.0, Collegamento

Tra scioglimento catartico ed epochè

Veronica Tomassini

Veronica Tomassini

L’inganno non edifica, non è saggistica, non è distopia, né formazione; se volessimo spingerci oltre un parallelismo, entreremmo, forse, in contatto con rari predecessori. “L’inganno” è un superamento di quel lirismo che troviamo lontanamente in Emil Cioran, ad esempio, ma si faccia attenzione, ciò al quale ci riferiamo è un superamento che prospetta l’idea che l’autrice potrebbe non aver mai letto o colto nulla di quanto appena esposto. Dunque riprendendo Cioran, azzardiamo al lirismo, scioglimento catartico che mette in moto una specie di epochè, ma dinamica.

Emil Cioran, padre del lirismo

Emil Cioran, padre del lirismo

Cosa è accaduto in questi anni di silenzio, che ha permesso di consegnare al pubblico questa nuova esperienza di altissimo e unico valore stilistico e contenutistico?
«In realtà, non saprei rispondere ad un primo livello. Apparentemente è solo una questione di solitudine arrotata dai vari fallimenti, pedissequi e rapidissimi, in cui sono andata a sbattere in questi ultimi anni più che mai, per noia forse. Non era che un ulteriore passaggio. Un girone dopo l’altro, in attesa dei sette cieli di cristallo. Non lo so. So piuttosto che le parole arrivano a prescindere, o questa sapienza remota, che sento non mia, in quanto persona infantile e futile. Eppure le parole sono di gran lunga superiori a me, non capisco da dove vengano, ci sono, suggeriscono prima cosa devo scrivere».

Tu sei molto presente nei social, ormai affermato mezzo di comunicazione che ha avvicinato il “personaggio” alle persone. Questo ti ha permesso di incontrare, indagare o conoscere affini?
«Sì, alcune persone sono state determinanti. Una in particolare, ma eviterei di fare nomi».

Presupponiamo la tecnica del mirroring che si sviluppa nei gruppi, anche quelli di psicoterapia e di organizzazioni. Dalla tua comunicazione, sui social e nella stampa, che rende felici i lettori, ma li rende talvolta anche scellerate canaglie, ti sei ritrovata a interrogarti su eventuali pareri prima contrastanti e secondariamente che hai accolto?
«No. Mai. Sono troppo ribelle, selvatica, per i pareri».

La morte, non soltanto come fine di abbandono di questo squallore chiamato terra e di chi lo abita. Che rapporto hai con lei o la intervalli praticando la ἐποχή, la sospensione del giudizio?
«Soltanto in relazione alla mia fede, alla preghiera continua, o invocazione, che è oramai la mia esistenza, senza volere, senza sapere. Non il concetto di morte in sé; piuttosto l’incontro. Finalmente lo vedo. Lui».

La domanda che molte volte si legge per chiudere una chiacchierata, un dialogo, un’intervista… Non merita d’essere fatta, perché il suo posto viene preso dall’iconico: si ripeterà l’animus della Tomassini? E se sì, in quale altra direzione?
«Non lo so, rimango ancora un mistero a me stessa».



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